Noah

19/4/2014. Regista: Darren Aronofsky. Sceneggiatura: Darren Aronofsky, Ari Handel. Interpreti: Russell Crowe, Emma Watson, Douglas Booth, Logan Lerman, Jennifer Connelly, Anthony Hopkins, Ray Winstone.136 min. USA. 2014.
Giovani. (V)
Spettacolare film di “fantateologia”, che parte delle pagine dedicate nella Genesi a Noè e al diluvio per sviluppare un grande spettacolo. Otto generazioni sono passate dalla coppia primordiale costituita da Adamo ed Eva. Dopo che Caino uccise suo fratello Abele, due lignaggi abitano la Terra. Quello venuto di Caino è irrispettoso con la natura, sono carnivori e hanno ben poco riguardo verso la vita umana. Mentre i discendenti di Seth, di cui son rimasti soltanto pochi, mangiano le piante e hanno capito che devono prendersi cura della creazione. Noè, uno di loro e patriarca di una famiglia, ha una visione. Dio gli annuncia la distruzione del mondo e gli affida la costruzione di un'arca dove ricoverare  coppie di tutte le specie animali e anche la sua famiglia.

Darren Aronofsky dirige e coscrive con il collaboratore di lunga data Ari Handel questo film biblico, intorno al quale si è generato un dibattito alquanto artificiale sul fatto che fosse o no abbastanza fedele alla fonte che lo ispira, e se ha rispettato le credenze degli ebrei, cristiani e musulmani. Il film non è problematico in questo senso, ma il fatto è che con molti milioni di dollari in gioco, c'era paura del rifiuto del pubblico credente, e da l’impressione di sentirsi in un film freddo e molto calcolato, con strategie così ovvie come il tentativo di ottenere l' approvazione di Papa Francesco.

Il film funziona su alcuni aspetti e mostra la sua debolezza in altri. La cosa più riuscita è il personaggio di Noah -Russell Crowe - tra patriarcale e profetico, investito di una missione, di animo afflitto, e con caratteristiche di altri personaggi biblici: fa pensare a Giona quando mostra mancanza di compassione per l’essere umano peccatore,  e ad Abramo quando nasce il dilemma di sacrificare la vita di uno del proprio sangue. E intorno a questo nascono temi di interesse, come la realtà del peccato, la punizione che si merita, e le opportunità che concede il Creatore, il tutto in un quadro veterotestamentario. Cioè, non vediamo un Dio personale che interagisce con l'uomo, solo per mezzo di segni e visioni. Idee come nascondersi dietro che l'uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio proprio per soppiantare Dio, sono suggestive.

Ma per quello che fa riferimento alla pura trama, il risultato è irregolare. Il filo ambientalista è esagerato, non è necessario essere vegetariani per avere preoccupazione per l’ambiente. Inoltre, si cerca di impostare un dramma familiare e domestico,  ma non tutti i membri del clan hanno la stessa forza. Il nonno Matusalemme, una specie di eremita in una grotta, è un po’ perso, ed dei tre figli di Noè, Sem e Jafet sono molto sfocati: solo il ribelle Cam viene un po’ meglio disegnato, così come i personaggi femminili Naame - Jennifer Connelly-, la moglie di Noè, e l’orfana e figlia adottiva Ila - Emma Watson-. Il cattivo del momento di lignaggio cainita viene salvato dalla eccellente recitazione di Ray Winstone.

Aronofsky è un regista che è sempre stato visivamente molto potente, ma qui sembra affogare -se posso usare l' espressione- negli effetti speciali, appariscenti: le foreste miracolose, gli animali che entrano nell'arca, il mondo coperto da acqua... . In questo senso la cosa più strana sono una specie di angeli della roccia semi caduti, che sembrano concepiti con lo stesso software dei Transformers. José María Aresté. ACEPRENSA.



Pubblico: Giovani. Contenuti: V (ACEPRENSA)

Grand Budapest Hotel

19/4/2014. Regista: Wes Anderson. Sceneggiatura: Wes Anderson. Interpreti: Jude Law, F. Murray Abraham, Ralph Fiennes, Tony Revolori, Edward Norton, Bill Murray, Saoirse Ronan, Owen Wilson, Adrien Brody, Willem Dafoe. 99 min. USA, Germania. 2014. Giovani. (VS)
Fantasioso gioco di bambole russe da parte del inclassificabile e spiritoso Wes Anderson, che dice di essere stato ispirato dal lavoro del grande scrittore Stefan Zweig, ma altrettanto si potrebbe dire che i suoi personaggi con baffi sono debitori di Hergé e il suo album di Tintin Lo Scettro di Ottokar.

Una giovane di oggi si sente profondamente commossa dal romanzo Il Grand Budapest Hotel; l’autore, qualche anno prima, ammette di aver sentito la sua storia su quel hotel situato in una montagna solitaria, dalle labbra di Mr. Mustafa; e Mustafa ricorda il suo tempo di portiere d'albergo, quando era Zero, sotto il comando del signor Gustave, proprietario dello stabilimento e gran signore. Poi, quando ha trovato l'amore, ed è rimasto immerso in una vertiginosa avventura cospiratoria di crimini per una eredità.

Anderson offre una narrazione d’avventura di un enorme dinamismo con evocativi tocchi surreali, al momento dello smembramento dell'impero austro-ungarico previo alla seconda guerra mondiale, ma sempre riferendosi a paesi fittizi. E quando si tratta di scommettere sul grottesco, fa sì che la rozzezza contrasti con i modi impeccabili del signor Gustave.

Come ha fatto in Moonrise Kingdom, il regista texano opta per una visione romantica, con una tavolozza di colori pastello, utilizzando inquadramenti audaci e l' uso di lenti grandangolari per riuscire a ottenere un aria naïf. Nella sua attenta sceneggiatura c'è spazio per una idealizzata storia d'amore, e un bel rapporto padrone-subordinato quasi padre - figlio. Dispone anche di un divertente cast di stravaganti personaggi. José María Aresté. ACEPRENSA.



Pubblico: Giovani. Contenuti: V, S (ACEPRENSA)

Captain America. The winter soldier

19/4/2014. Regista: Anthony Russo, Joe Russo. Sceneggiatura: Christopher Markus, Stephen McFeely. Interpreti: Chris Evans, Scarlett Johansson, Cobie Smulders, Samuel L. Jackson, Robert Redford, Anthony Mackie, Emily VanCamp, Hayley Atwell,Sebastian Stan, Frank Grillo, Toby Jones. 136 min. USA. 2014.
Dopo essere stato in letargo decenni, Steve Rogers, alias Capitan America, ha molte difficoltà ad adattarsi al XXI secolo. Gli mancano i suoi coetanei, è costretto a imparare tante cose nuove, soprattutto il suo codice d'onore di soldato si scontra con il pragmatismo attuale e le nuove tecnologie: lo preoccupa come si introducono nella vita delle persone, con il pretesto di combattere un nemico pericoloso e anonimo, e lì è molto importante l'agenzia SHIELD con cui collabora. Un nuovo e sofisticato sistema promosso dal segretario della difesa, Alexander Pierce, potrebbe avere alcuni buchi, secondo Nick Fury, che soffrirà un terribile attentato. Per chiarire le cose Captain America può contare solo sulla Vedova Nera e su un veterano della guerra in Iraq, Sam Wilson. Ma si trovano ad affrontare nemici potenti, tra cui il letale soldato inverno.

Piacevole sorpresa questo nuovo film del universo Marvel che ha come protagonista Capitan America, dopo Captain America: Il primo vendicatore. Il fatto che dietro la macchina da presa ci siano i fratelli Anthony e Joe Russo non era a priori la migliore garanzia di un buon risultato, perché non hanno realizzato un granché: il lungometraggio Welcome to Collinwood e Tu, io e Dupree; più un sacco di tv, soprattutto Community, dove certamente hanno guadagnato in esperienza. Comunque, ecco un follow-up di azione frenetica e umorismo di Marvel The Avengers, che si sommano a una bella solida trama intrigante, con un sacco di sorprese. La sceneggiatura è di Christopher Markus e Stephen McFeely, con una solida esperienza in copioni di film Marvel, più il loro contributo alla saga di Le cronache di Narnia, sanno trovare l'equilibrio perfetto per non sopraffare da una parte o l'altra.

Il film basato sul popolare fumetto sfrutta la paura attuale del terrorismo, che può diventare un alibi perfetto per tagliare libertà e per l’abuso di potere, e così fornisce una narrazione che prende lo spettatore. Inoltre vi è un disegno attento dei personaggi, in particolare di Steve Rogers, interpretato da Chris Evans, che affronta il conflitto per trovare il suo posto in un tempo che non è il suo, e dove i volti del passato compaiono con un nuovo e inaspettato volto. Ha anche una buona sintonia con la Vedova Nera Scarlett Johansson, o con il boss che compartimentalizza informazioni, Samuel L. Jackson. Incorporare a un veterano come Robert Redford è un successo, inoltre sembra che l'attore se la sia spassata alla grande nel fare il film.
Gli effetti visivi sono di ottimo livello. Quell'enorme edificio industriale che ospita un progetto di difesa super- segreto rende la sensazione che con le nuove tecnologie qualsiasi cosa nella attualità è suscettibile di essere visualizzata sullo schermo con successo. Le scene d'azione, sia all'interno delle quattro mura di un ascensore a bordo di una enorme nave, o nel mezzo di una strada, sono un ostentazione del detto circense ‘più difficile ancora’ e ​​sono ben integrate nella narrazione. DECINE21.


Contenuti: Azione: 4. Amore 1. Lacrime. 1 Risate: 1. Sesso 0. Violenza 0. (Da 0 a 4. Decine21)

Storia di una ladra di libri

19/4/2014. Regista: Brian Percival. Sceneggiatura: Michael Petroni. Interpreti: Sophie Nelisse, Geoffrey Rush, Emily Watson, Ben Schnetzer, Nico Liersch, Kirsten Block. 125 min. USA, Germania. 2013. Giovani. 125 min.
Nel 1938, Adolf Hitler dilaga in Germania. L' adolescente Liesel viene adottata dai Hubberman, Hans e Rosa, una coppia senza figli. Sua madre è in un campo di internamento per le sue idee politiche, e suo fratello è morto sulla strada alla nuova casa. Già installata lì, deve ingoiare le difficoltà della guerra, analfabeta in un primo momento, scopre poi il piacere della lettura, di ascoltare e raccontare storie.

Questo adattamento del bestseller omonimo di Markus Zusak ha in suo favore un buon lavoro di produzione e la colonna sonora di John Williams, un maestro che medita molto i progetti in cui si lascia coinvolgere. La sceneggiatura di Michael Petroni fa un grande sforzo per rimanere fedele all'originale, compreso il mantenere, anche se meno presente, la voce in off della narratrice della storia, niente di meno che la morte. Tuttavia, il film fatto da Brian Percival, meglio conosciuto per il suo lavoro in televisione nella serie Downton Abbey, è troppo freddo e cerebrale e non finisce per mettere in evidenza le desiderate emozioni.

Al film manca finezza, sottolinea troppo gli elementi drammatici di alcuni passaggi, cadendo nella ovvietà e anche, paradossalmente, nella contenzione. Il tono è meno scuro di quello originale, ma non si può accusare il film di falso sentimentalismo. E’ chiaro che l'approccio, relativamente parlando, invita ai confronti con Il bambino con il pigiama a righe o Il diario di Anna Frank, che hanno pure loro giovani protagonisti e base letteraria.

Tuttavia, la storia è così potente, che piacerà a molti spettatori. Ha il suo fascino vedere il legame tra Liesel Nelisse -Sophie, la ragazza di Monsieur Lazhar – e i suoi genitori, ben composte da Geoffrey Rush e Emily Watson; o assistere all'amore “adolescente“ di lei per Rudy, o all’affetto per il “fratello maggiore” che diventa Max. La passione per i libri e la lettura si suggerisce, ma soffre lo stesso problema dell'opera originale. I testi che vengono letti, fittizi, non impegnano, a partire dal primo, l’ironico manuale del becchino. E si comprende che sia stata necessaria una vera storia, L’uomo invisibile di H.G. Wells, come una falsa riga della presenza nascosta di Max. Tuttavia, non viene utilizzata sufficientemente la magia offerta da posti come la biblioteca della moglie del sindaco, o la cantina dei bombardamenti dove si raccontano storie. José María Aresté. ACEPRENSA.


Pubblico: Giovani. Contenuti: V (ACEPRENSA)

Emperor

19/4/2014. Regista: Peter Webber. Sceneggiatura: Vera Blasi, David Klass. Interpreti: Matthew Fox, Tommy Lee Jones, Eriko Hatsune, Toshiyuki Nishida, Takataro Kataoka. 105 min. USA, Giappone. 2012. Giovani.
La Seconda Guerra Mondiale si conclude nel 1945. Il Giappone si arrende dopo l'orrore atomico. MacArthur -un comandante supremo che ha già la testa nella sua carriera politica- dirigerà la transizione verso la pace. E c'è una questione molto importante che dovrà decidere: cosa facciamo con l'imperatore? La questione è delicata, perché si tratta di guadagnare il rispetto di un popolo e di un paese che vuole diventare un alleato. Al tempo stesso, davanti al mondo e agli americani, bisogna fare giustizia.

Il tema di questo film è emozionante. Come erano Norimberga e il Piano Marshall in Europa, espressioni della strategia dell'impero americano al gettare le basi della sua politica estera e il suo status di leader mondiale. Il regista britannico Peter Webber –La ragazza con l’orecchino di perla - adatta un romanzo di Shiro Okamoto mettendo l'accento su una figura chiave nel processo, il generale Bonner Feller, uno dei più importante dello Stato Maggiore statunitense, che riceverà l’incarico di realizzare una informazione sulla responsabilità dell'imperatore nel conflitto, in particolare sul suo ruolo nell’attacco a Pearl Harbor.

La trama si serve da un'indagine realizzata da Feller (per inciso, un quacchero), che conosce molto bene la cultura giapponese (in realtà, al di là della sottotrama romantica romanzata, la sua tesi di dottorato ben nota e influente presso la scuola di Stato Maggiore s’intitola “La psicologia del soldato giapponese”). Emperor è una coproduzione americano- giapponese. Giapponesi sono molti degli attori e l'uscita del film è stata fatta in Giappone, senza risultati particolarmente buoni.

Certamente vi è dispersione nella storia, che naviga tra il thriller investigativo giudiziario e il dramma personale con appunti affettivi, ma il film è bello, ben recitato e ha forza. Penso che uno spettatore colto disposti a pensare alle conseguenze della guerra e alle difficoltà che affrontano vincitori e vinti lo vedrà con molto piacere. Saper vincere e saper trattare il vinto è un tema formidabile.

In questo caso, una questione fondamentale è l'imperatore e il suo status divino. Si tratta di smontare gli schemi vitali di un antico popolo che vede gli occidentali come selvaggi, con molte cose buone e altre nefaste, che non è il momento di spiegare qui. Il ruolo di Feller (1896-1973) sarà epocale, molto di più di quello che il film mostra. In gran parte il Giappone è come è grazie a Feller.

Webber è un buon regista di cinema basato su romanzi storici. Il ritmo sereno del film contrasta con il cinema sconnesso ed episodico  prevalente in molte produzioni tachicardiche in cui sembra obbligatoria l'epilessia narrativa in modo che lo spettatore meno esigente sia intrattenuto. Ringrazio Webber per non piegarsi alla frivolezza, pur riconoscendo che la sceneggiatura avrebbe potuto essere molto meglio. Alberto Fijo. ACEPRENSA.


Pubblico: Giovani. (ACEPRENSA)

12 anni schiavo

29/3/2014. Regista: Steve Mcqueen. Sceneggiatura: John Ridley. Interpreti: Chiwetel Ejiofor, Michael Fassbender, Brad Pitt, Paul Dano, Lupita Nyong'o, Benedict Cumberbatch, Paul Giamatti. 133 min. USA, GB. 2013. 3 Oscar: film, attrice non protagonista (Lupita Nyong'o), sceneggiatura adattata. Adulti. (V).
A Steve McQueen (Hunger, Shame)  piacciono le storie dure e questa lo è. Il suo lavoro è prezioso, c'è una volontà di stile più che evidente nella narrazione, che annovera un cast formidabile e una messa in scena sensazionale con un lavoro fotografico e di montaggio accurato. Di certo in questo film chi cerca una storia accomodante e sentimentalista non la troverà.

McQueen assume un rischio, che fa parte del suo stile: rappresentare il tedio, la noia, il disgusto che genera la malvagità. D'altra parte, è un regista che quando deve ritrarre i buoni sentimenti e le virtù e il lato illuminato della condizione umana ha molti problemi. Alcuni diranno che il film è buono ma non entusiasma. Che manca intensità ed emozione, che c’è qualche squilibrio nei tre tempi della storia. Non condivido questo punto di vista, ma lo capisco.

Il film è freddo, a volte quasi meccanico, perché c’è un sacco di rabbia nella storia (adattato da un'autobiografia del proprio Solomon Northup), molta flemma britannica, per evitare il sentimentalismo manicheo. 12 anni... non raggiunge l'equilibrio, ma ne è molto vicino. Ma forse il grande film sul razzismo in America, a parte il periodo storico scelto, è ancora Mississippi burning, il capolavoro del 1988 di Alan Parker, che trasuda intelligenza da tutti i pori.

Il lavoro dello scrittore e produttore esecutivo John Ridley vuole rispettare la visione di Solomon Northup, un uomo a chi tentano di negare la sua umanità per trasformarlo in un oggetto, una bestia di somma che può avere destrezze e abilità, ma non anima, intelligenza e volontà, il libero arbitrio.

I rapporti che Solomon  (un magnifico Chiwetel Ejiofor) ha con i bianchi e i neri che attraversano la sua vita sono molteplici. Ci sono molte sfumature nella storia, perché quello che si racconta qui, come ne La capanna dello zio Tom, è una narrazione chiave per svegliare la coscienza che si doveva abolire la schiavitù, in primo luogo, e poi finire con la segregazione razziale. Tutti sono bravi, ma mi affascina il personaggio di Mr. Ford che interpreta Benedict Cumberbatch. A le volte uno pensa come è possibile tanta abiezione e, a sua volta, deve fare tutti gli sforzi del mondo, non per giustificare, ma per capire. Alberto Fijo. ACEPRENSA.


Pubblico: Adulti. Contenuti: V (ACEPRENSA)

Monuments Men

29/3/2014. Regista: George Cloney. Sceneggiatura: George Clooney, Grant Heslov (romanzo: Robert Edsel). Interpreti: George Clooney, Matt Damon, Bill Murray, John Goodman, Cate Blanchett, Bob Balaban, Jean Dujardin, Hugh Bonneville.118 min. USA, Germania. 2014. Giovani-adulti.
Gli uomini dei monumenti sono esistiti: era una banda di artisti maturi, architetti, curatori, storici e uno scultore, che, negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, si arruolarono nell'esercito alleato per salvare le opere d'arte cadute in possesso dei nazisti.

Con questa appassionante storia, Clooney costruisce un film di taglio eminentemente classico più vicina -come lui stesso ammette-  ai film di rapina che a quelli di guerra. Il versatile attore ha detto che la sua intenzione era di fare un film all’antica, che non fosse cinico, e riunire un interessante cast di attori contemporanei che potrebbero interpretare una nuova versione di film come La grande fuga, La sporca dozzina, I cannoni di Navarone o Il ponte sul fiume Kwai.

Anche se le critiche sono piovute su Monuments Men (probabilmente, tra le altre cose, perché le aspettative erano molto alte) bisogna riconoscere che il film ha il tono classico ed eroico di alcuni di quei titoli e il cast è impeccabile. Clooney parte da un materiale di prima classe -la storia reale- con un messaggio di rispetto per la cultura e le radici in grado di illuminare e dare vita a un prodotto di finzione. Peccato che, con questi ingredienti, riesce a commuovere solo in alcuni momenti.

Monuments Men aveva le carte per diventare un classico ed è un film notevole, in molti momenti interessante, ma un po’  noioso e mancante di forza in altri. Non è un film a tutto tondo e alcuni parleranno di uno scivolone di Clooney. Forse, in ogni caso, questo scivolone è al di sopra, molto al di sopra, di gran parte dei film attualmente nelle sale. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.


Pubblico: Giovani-adulti. (ACEPRENSA)

300. L'alba di un impero

29/3/2014. Regista: Noam Murro . Sceneggiatura: Frank Miller . Interpreti: Eva Green, Rodrigo Santoro, Sullivan Stapleton, Lena Headey, Hans Matheson, Callan Mulvey, David Wenham, Jack O'Connell, Andrew Tiernan, Igal Naor, Andrew Pleavin, Caitlin Carmichael . 102 m. USA. 2014. (V, X)
Sempre la stessa minestra, ma con una struttura di script meno solida rispetto al suo predecessore 300. Lo sconosciuto Noam Murro prende il posto di Zack Snyder e si applica all'adattamento di “Xerxes”, graphic novel di Frank Miller, che ha anche scritto il fumetto che portò ad un film a suo tempo molto apprezzato per l’immaginario visivo, ma che sette anni dopo può essere considerato chiaramente sopravvalutato.

Questa volta Persia cerca vendetta per la morte del loro re Dario ed è la guerriera Artemisia, di origine greca, ma integrata nel lato persiano, che persuade Serse a farlo, malgrado suo padre morente l’implora di evitare scontri con i greci. Artemisia l’assicura che quello che Dario aspettava è che lui diventasse un dio, ed sfidasse i suoi nemici. Temístokles comunque si sforza di raggiungere l'unità della Grecia, anche se ogni città - stato va per la propria strada, e Gorgo, la regina di Sparta, non vuol saper niente della guerra. Alla fine partono l'eroe ateniese e alcune navi, in chiara inferiorità numerica, disposti a sfidare la crudele Artemisia.

Azione, un sacco di azione, c’è in 300. L’alba di un impero. C’è anche voci fuori campo, una spossante voce fuori campo. Non possiamo dimenticare i discorsi esaltanti, ripetuti più volte, per vedere se lo spettatore vibra con le parole pre-combattimento. Inoltre, ed è abbastanza ridicolo, un incontro sessuale tra Temístokles e Artemisia, ipotetici nemici mortali che negoziano non si sa cosa, e che finiscono in qualcosa che può essere uno stupro reciproco, o forse no, ma in ogni caso in qualche cosa di irrimediabilmente grottesco.

Alla fine rimane lo spreco di effetti visivi, le battaglie navali, con molto computer, e l’abbondante sangue, gore ammorbidito con decapitazioni e altre sottigliezze di questo tipo. Il film ha scarso interesse, e i personaggi tipo “fusti” sono molto limitati, sia i nuovi arrivati ​​Sullivan Stapleton e Eva Green, che i veterani Lena Headey e Rodrigo Santoro. DECINE21


Contenuti: Azione: 4. Amore 0. Lacrime. 0 Risate: 0. Sesso 2. Violenza 2. (Da 0 a 4. Decine21)

Mr. Peabody e Sherman

29/3/2014. Regista: Rob Minkoff. Sceneggiatura: Craig Wrigth, basata nella serie prodotta da Jay Ward. 92 m. USA. 2014. Tutti.
Mr. Peabody è il cane più intelligente del mondo. Adottò legalmente Sherman quando era ancora un neonato, formandolo meglio che poteva, facendolo diventare un ragazzo molto intelligente, ma malizioso. Spesso viaggiano insieme in una macchina del tempo, attraverso la quale scoprono aspetti sconosciuti degli eventi più importanti della storia.

Minkoff brilla in un'animazione digitale con una certa aria retrò, ma piena di gesti espressivi, molto fantasiosa negli sfondi e realizzata a un ritmo frenetico, che nasconde la struttura episodica della sceneggiatura di Craig Wright (Lost, Six Feet Under). Inoltre, Wright rafforza l' unità del tutto sviluppando con una certa profondità drammatica i rapporti padre-figlio tra Mr. Peabody e Sherman e i sospetti razzisti che generano. Tutto questo, naturalmente, senza rinunciare ai continui colpi di humour, quasi sempre efficaci. In questo senso, qualche scorrettezza politica è apprezzata; ad esempio demistificare, e anche criticare apertamente la Rivoluzione francese. Il risultato è divertente e recupera lo stile dei cartoni animati classici. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.


Pubblico: Tutti. Contenuti: --- (ACEPRENSA)

Ida

29/3/2014. Regista: Paweł Pawlikowski. Sceneggiatura: Paweł Pawlikowski, Rebecca Lenkiewicz. Interpreti: Agata Kulesza, Agata Trzebuchowska, Joanna Kulig, Dawid Ogrodnik.  90 m. Polonia. 2013. Giovani-adulti. (V, S)
Polonia anni  60. Una giovane novizia orfana, prima di prendere i voti, si reca nella sua casa natale in compagnia di sua zia, per conoscere il tragico avvenimento che portò alla morte dei suoi genitori. Questo pluripremiato film in diversi festival è uno di quei titoli che rimangono in testa per giorni, uno di quei film che causano molti problemi. In breve, uno di quei film che, a parte la sua forza visiva e la potenza evocativa, chiedono una risposta dal regista.

Soprattutto in quanto Ida è un film autobiografico al cento per cento. Pawlikowski ammette che il viaggio di Ida è, in un certo senso, il suo ritorno alle sue radici polacche. Un ricordo dei paesaggi che vide, della musica che udì, la traccia della sua memoria. Il personaggio di Wanda, la zia, ha la sua origine in una donna conosciuta e ammirata da lui –una persona brillante- la cui contraddizione –è stata accusata da orribili crimini- il regista non è ancora riuscito a capire. Con il personaggio di Ida, Pawlikowski vuole parlare di una fede che trascende l'immagine del tradizionale cattolico polacco, entrando in una dimensione diversa quando al inizio del film Ida scopre che in realtà è ebrea. Una fede che, forse perché vuole allontanarsi dallo stereotipo, è più protestante che cattolica. E’ certamente più Bergman che Fellini. E’, in ogni caso, un Dio che non parla. Un Dio silenzioso.

Dice il regista che le anime di Ida e Wanda sono un campo di battaglia. Dice bene, ma per riportare questa lotta intensa e straziante (perché gli eventi sono drammatici) opta per una straordinaria messa in scena. La telecamera si muove a malapena e il film è costruito attraverso inquadrature statiche, sorprendenti, espressive nel loro minimalismo e di una bellezza mozzafiato. Più che inquadrature, sono dipinti, semplici opere d'arte.

Dobbiamo mettere in guardia lo spettatore che Ida non è un prodotto di massa. E’ necessario gusto estetico, capacità di silenzio, pazienza e apertura mentale per entrare in un film che si capisce soltanto –e non totalmente- dalla sfumatura. Dallo sguardo su questo campo di battaglia dell'anima. Un film con più letture, con un finale che si presta a molte interpretazioni, nessuna di loro certamente troppo speranzosa. Una storia tragica, un film con una tristezza di fondo molto forte. Un piccolo gioiello per un pubblico in grado di apprezzarlo.


Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: V, S (ACEPRENSA)