The tree of life

8/10/2011. Regista: Terrence Malick. Sceneggiatura: Terrence Malick. Interpreti: Brad Pitt, Sean Penn, Jessica Chastain, Fiona Shaw, Irene Bedard, Hunter McCracken. 139 min. USA. 2011. Giovani. (V)

Il beato John Henry Newman disse che “per i cristiani, c'è poesia in ogni cosa”, proprio perché ovunque sanno trovare i volti amabili del Padre, di suo figlio Gesù Cristo e dello Spirito Santo. Sembra che Terrence Malick (Badlands, I giorni del cielo, La sottile linea rossa, The New World) abbia elevato questa frase a motto della sua quinta pellicola cinematografica, L'albero della vita, con cui ha guadagnato -per il momento- la Palma d’Oro a Cannes 2011 e il Premio della Critica Internazionale (FIPRESCI) 2011. In questo film, con forte accento autobiografico, l'introverso e poco prolifico regista texano, siro-libanese di origine (nato nel 1943, formatosi ad Harvard e Oxford, giornalista e docente universitario), spreme quasi tutte le possibilità narrative, poetiche, discorsive e anche mistiche del cinema come linguaggio, fino a raggiungere un'impressionante preghiera a Dio, fuori da qualsiasi schema, indimenticabile.



Così, Malick entra nel novero dei grandi sperimentatori della storia del cinema, come Tarkovskij, Dreyer, Bergman, Bresson, Kurosawa, Wenders, Kieslovski, ma con un formato ibrido, realistico e onirico al tempo stesso, che ricorda quello utilizzato da Stanley Kubrick in 2001, Odissea nello Spazio. In effetti, questo film è esaltato da una colonna sonora, di Alexandre Desplat, da antologia, con brani di Bach, Brahms, Mozart, Mahler, Schumann, Smetana, Respighi, Gorecki, Berlioz... Molti di questi, selezionati da Malick stesso, risultano tutti incastonati con maestria nella vigorosa progressione drammatica della trama.

Tra natura e grazia

Sovrasta il film una citazione biblica completa, dal libro di Giobbe, (38, 4-7): “Dov'eri tu quando io fondavo la terra? Dillo, se hai tanta intelligenza. Chi ne fissò le dimensioni, se lo sai, o chi tirò sopra di essa la corda da misurare? Su cosa furono poggiate le sue fondamenta, o chi ne pose la pietra angolare, quando le stelle del mattino cantavano tutte assieme e tutti i figli di Dio alzavano grida di gioia?” Poi diverse voci maschili recitano in off: “Madre ... padre... fratello ....” E questa specie di introito culmina quando si sente una voce femminile che stabilisce le due coordinate del film: “ci sono due percorsi che si possono seguire nella vita: quello della natura e quello della grazia”. La stessa voce avverte che “devi scegliere quale seguire”. E Malick spiega che la via della grazia non ha paura di produrre dispiaceri né rifugge dal sacrificio, mentre la via della natura tende all'autocompiacimento e all’auto-affermazione sugli altri. Fortunatamente, ci è stata data l'opportunità di tornare in qualsiasi momento, anche l’ultimo, sulla via della grazia.

In questi dilemmi, sottolineati dalla schiacciante sfida della sofferenza, si confronta negli anni 60-70 anni del secolo scorso una donna cattolica praticante di Waco (Texas), la signora O'Brien (Jessica Chastain). E grida a Dio con sincerità straziante, perché si sente incapace di superare la disperazione per la morte del più piccolo dei tre figli. “Ora è nelle mani di Dio”, la consola il marito, il signor O'Brien, anche lui cattolico (Brad Pitt). “Ma non è sempre stato nelle sue mani?” risponde lei, con sorprendente lucidità.

Un disagio simile a quello della signora O'Brien attanaglia ai nostri giorni il figlio maggiore, Jack (Sean Penn), un insoddisfatto dirigente di impresa di successo che, sentendosi vuoto, anela a ricongiungersi con le proprie radici e con Dio. Per far ciò, ricorda con Lui la sua infanzia e adolescenza, illuminate dalle felici scorribande con i fratelli R.L. e Steve, e oscurata dal proprio progressivo allontanamento dal padre, uomo integro, compassionevole e amichevole, ma volontarista: che tratta i figli con eccessivo rigore.

La creazione del mondo

Malick ferma allora queste due trame principali, -che poi sviluppa fino all’apoteosi finale- e illustra con immagini l’iniziale citazione del libro di Giobbe e le prime rivendicazioni dei rispettivi personaggi nei confronti della divina provvidenza. Per farlo, in venti minuti dispiega un’affascinante sinfonia visiva e uditiva, attraverso la quale immagina la creazione dell'universo da parte di Dio, dal Big Bang all'estinzione dei dinosauri, soffermandosi sul primo atto di compassione di una creatura verso un'altra. L'intero passaggio ipnotizza dall’esterno, mentre all'interno, mette in evidenza l'amore traboccante di Dio e l'unicità e trascendenza dell’essere umano, come signore e custode della creazione per disegno divino. E lo fa con un uso della musica e delle metafore naturaliste -la terra, l’acqua, il fuoco, le nuvole, i fiori...- che ricorda le narrazioni della creazione dei mondi paralleli immaginati da J.R.R. Tolkien, in Il Silmarillion o C.S. Lewis in Il nipote del mago.

Un capolavoro

Malick articola formalmente questi temi esistenziali e religiosi attraverso una sceneggiatura frammentata e sincopata, con pochissimi dialoghi rigorosi e un sacco di silenzi e pensieri in off, diretti alla propria coscienza e a Dio. Ed esprime l’uno e l'altro con una bellezza letteraria e una profondità morale che riesce a commuovere. In tal senso, va il nostro plauso alle ottime recitazioni, più espressive e gestuali, che verbali. Brad Pitt e Sean Penn sono perfetti, ma soprattutto spiccano il bambino esordiente Hunter McCracken (nei panni di Jack, preadolescente) e la californiana Jessica Chastain, che dimostra perché è diventata l’attrice di moda, dopo aver recitato da protagonista in questo film, nel notevole thriller di spionaggio Il debito e nella superba tragicommedia The Help.

Nel frattempo, la cinepresa di Malick -con l'accattivante fotografia di Emmanuel Lubezki- vola da un luogo all'altro, riuscendo a coinvolgere gradualmente lo spettatore nella propria audace proposta, dai grandi piani astratti della creazione dell'universo fino ai primi piani di dettaglio, di questo film manifestamente riuscito. E perfino momenti della vita quotidiana -apparentemente banali- producono emozioni e profondità, grazie ad una pianificazione narrativa molto accurata, che avvalora il piano drammatico di tutti gli elementi inquadrati.

Sguardo cattolico

Resta così un commovente inno alla vita e un vero capolavoro, sia per l'uso delle risorse filmiche, come per la coraggiosa immersione nella natura trascendente dell'essere umano. Ed alla fine si resta anche commossi. Un'immersione per nulla New Age e profondamente cristiana -cattolica concretamente-, che affronta alcuni dei profili più profondi e complessi dell'essere umano, come paternità e filiazione, grazia e peccato, fede e volontà, il senso purificante della sofferenza, la forza redentrice dell'amore... ed infine, il pentimento e il perdono come le più alte manifestazioni della libertà umana e della provvidenza divina.

In certo senso, protagonista di questo film è Dio stesso. Come diceva l'attrice francese Arielle Dombasle: "Dio è l’argomento più affascinante". Ed anche uno dei meno affrontati dal cinema, si potrebbe aggiungere. Questo film, però, lo affronta: eccome! Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. (ACEPRENSA)

The Eagle

8/10/2011. Regista: Kevin Macdonald. Sceneggiatura: Jeremy Brock. Interpreti: Channing Tatum, Donald Sutherland, Jamie Bell, Mark Strong, Denis O’Hare. 120 min. GB, USA. 2011. Giovani.

Gran Bretagna, secondo secolo dopo Cristo. Un giovane soldato romano, Marcus Aquila, si appresta a recuperare il vessillo della Nona Legione, una testa di aquila dorata, per ripristinare l'onore della famiglia.



Kevin MacDonald ha dimostrato di essere un regista capace di affrontare generi molto diversi. Ha vinto un Oscar per il miglior documentario nel 2000, Life in a Day. Ha realizzato un biopic intenso e difficile con cui Forest Whitaker ha ottenuto l'Oscar di miglior attore (L'ultimo re di Scozia). Poi ha girato un interessante thriller, State of Play con Russell Crowe e Ben Affleck. Ora, adatta allo schermo un romanzo giovanile storico, L'aquila della nona legione, pubblicato da Rosemary Sutcliff nel 1954.

Girare un peplum nel XXI secolo è rischioso, soprattutto quando un film è al 100% maschile (nessun personaggio femminile) e con un'unica trama. Il film è costruito con pochi elementi: un conflitto epico semplice: la perdita dell'onore militare; due personaggi, un romano e il suo schiavo, e un lungo inseguimento. La cosa divertente è che, senza essere un film brillante, intrattiene. Alla fine, è una dimostrazione che epica e cinema costituiscono una buona accoppiata. Come nei suoi altri film, lo scozzese MacDonald si rivela dotato di buona sensibilità, nel ritmo narrativo. La messa in scena fa riferimento al cinema classico: è al servizio della la trama, senza fanfare e senza stridere. Il progetto di produzione e la caratterizzazione sono ben fatte. Channing Tatum difende bene il suo personaggio, ma è chiaro che è Jamie Bell a risultare l'attore migliore. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. (ACEPRENSA)

Lanterna verde

8/10/2011. Regista: Martin Campbell. Sceneggiatura: Greg Berlanti, Michael Goldenberg. Interpreti: Ryan Reynolds, Blake Lively, Peter Sarsgaard, Mark Strong, Tim Robbins, Angela Bassett. 105 min. USA. 2011. Giovani. (V)

Le Lanterne Verdi sono come i cavalieri Jedi, poliziotti siderali dotati di grandi poteri. Ognuno indossa un anello che dà loro un'energia formidabile. La storia inizia con la comparsa di Parallax, strana e potente creatura, incarnazione del male, che sfida e sconfigge varie Lanterne Verdi e minaccia di distruggere l'equilibrio dell'universo. Una Lanterna Verde ferita, arriva sulla Terra e, quando muore, incarica il proprio anello di trovargli un sostituto. La scelta ricade su Hal Jordan, pilota collaudatore -frivolo e un po’ arrogante-, che sarà il primo essere umano a diventare Lanterna Verde.



Questo tentativo di trasporre un altro super-eroe dei fumetti su grande schermo -e in 3D- non aggiunge nulla di nuovo o di originale. Racconta la mitologia che c’è dietro la torcia e la tempra del protagonista, che deve assumere i propri limiti e usare responsabilmente il gran dono che ha ricevuto. Lanterna Verde è soprattutto un grande spettacolo di luci e suoni e, in misura minore, un racconto rivolto prevalentemente agli appassionati di fumetti, gli unici in grado di apprezzarne i dettagli. Lo spettatore non iniziato sarà travolto da una valanga di dati impossibili da ricordare, penserà che la storia di Hal è troppo semplicista, non si sentirà attratto dai personaggi -ad eccezione di Hector Hammond (Peter Sarsgaard)- e concluderà che l'intero film è privo di sostanza. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V (ACEPRENSA)

La pelle che abito

8/10/2011. Regista: Pedro Almodóvar. Sceneggiatura: Pedro Almodóvar. Interpreti: Antonio Banderas, Elena Anaya, Marisa Paredes, Jan Cornet, Roberto Álamo. 117 min. Spagna. 2011. Adulti. (VXD)

Vera è una giovane donna, bloccata nel seminterrato di un palazzo. Il Dr. Robert Ledgard provvede a monitorarne ogni movimento, tramite una tv a circuito chiuso. Chirurgo plastico di fama, Robert ha sviluppato una tecnica transgenica per creare pelle artificiale, in ricordo della moglie, morta carbonizzata in un incidente stradale.

Primo approccio di Pedro Almodovar ai film fantasy? In realtà, l'unico genere che il regista della Mancia coltiva è l’almodovariano, diverso da qualsiasi altro: la sua è una saga, con tratti distintivi e unici. Quindi, dire che il film si ispira al romanzo Tarantula di Thierry Jonquet o rivisita il mito di Prometeo, non dice molto. Il problema di Almodóvar -per alcuni non lo è- emerge dalla sua vita chiusa in un mondo di sentimenti esagerati, strazianti, ma epidermici. Non c’è profondità negli argomenti che tocca e che nasconde con trame contorte e lambiccate, pur rivelando talento nella messa in scena. Ma esagerando, il regista ci porta a situazioni impossibili e imbarazzanti, e gli attori devono stare al gioco.

Esageriamo a parlare di superficialità? Un personaggio si riferisce ai problemi di bioetica delle tecniche di Ledgard, ma appare troppo costruito. Certi comportamenti sono spiegati con un vago riferimento alla follia, contratta alla nascita. Un altro commette uno stupro, ma finiamo per simpatizzare con lo stesso, davanti alla vendetta orchestrata da uno degli offesi. La possibilità di cambiamento di sesso non aiuta a riflettere sull'identità sessuale. Come nel precedente film, Gli abbracci spezzati, Pedro Almodóvar si dispone a raccogliere idee, che abbiamo già visto altrove: personaggi trattenuti contro la loro volontà, trasformismi, morti traumatiche che inseguono dal passato, stupri... ciò che manca, tranne in un breve scena con Agustín Almodóvar, è il senso dell'umorismo: decisamente assente, a meno che un certo apparente umorismo casuale, sia in realtà voluto. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, X, D (ACEPRENSA)