Invictus

13/2/2010. Regista: Clint Eastwood. Sceneggiatura: Anthony Peckham. Interpreti: Morgan Freeman, Matt Damon, Tony Kgoroge, Patrick Mofokeng, Matt Stern. 133 min. USA. 2009. Giovani. Nelle sale il 26 febbraio.

Liberato dopo 27 anni di carcere, Nelson Mandela si candida alla carica di presidente del Sudafrica. Eletto nel 1994, vuole essere presidente di tutti: bianchi e neri. Ma non è facile per le scorie lasciate dall’apartheid. Un esempio sono gli Springboks, la squadra di rugby nazionale, molto identificata con l’apartheid. Con calcolo politico e comprensione umana, Mandela avverte che gli afrikaner avrebbero preso come un affronto un cambiamento forzato dell’immagine della squadra. Così decide di sostenerla con tutte le forze nel Campionato del Mondo, cui partecipa il Sudafrica.




Clint Eastwood segna un nuovo successo nella sua filmografia con questa storia vera, tratta dal libro di John Carlin The Human Factor. Il rischio era che i personaggi fossero troppo enfatici. Ma lo evita, perché crede nel materiale che utilizza. La storia esemplare non è di peso, ma un incentivo per realizzare un film di prima qualità, permeato di formidabile classicismo, con personaggi in carne ed ossa: pienamente credibili.

Il film parla, con realismo, di riconciliazione e perdono, di superamento dei pregiudizi, di ispirazione e di leadership. Argomenti ben integrati con l'elemento sportivo. La nuova convivenza interrazziale si esalta nel corpo di guardia del presidente, una piccola comunità la cui evoluzione è ben profilata; lo stesso vale per i genitori di François Pienaar, capitano della squadra di rugby.

La leadership e l'ispirazione uniscono Mandela e Pienaar, magistralmente interpretati da Morgan Freeman e Matt Damon: sono eccellenti le sfumature in ambito professionale e personale. Entrambi assumono ruoli, in cui devono far sognare il loro pubblico "non naturale": Mandela si deve proporre ai tifosi del rugby bianchi, oltre che neri; e questi ultimi pensano che si stia "distraendo". Mentre Pienaar si rivolge ai neri, che hanno sempre sostenuto la squadra rivale degli Springboks, per partito preso, oltre ai compagni di squadra bianchi. Entrambi lo fanno con determinazione, simboleggiata dalla durezza del rugby, dove per vincere è inevitabile scontrarsi. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. (ACEPRENSA)

Bella

13/2/2010. Regista: Alejandro Gómez Monteverde. Sceneggiatura: Alejandro Gómez Monteverde, Patrick Million, Leo Severino. Interpreti: Eduardo Verástegui, Tammy Blanchard, Manny Pérez. 91 min. USA, Messico. 2006. Giovani.

Un ristorante messicano a New York, dove ci sono uno chef ispanico segnato da un passato doloroso e una cameriera statunitense angosciata dalla scoperta di aspettare un bambino. Insieme, riusciranno a mettere a posto i pezzi del puzzle delle loro vite travagliate.


Questo debutto di Alejandro Gómez Monteverde, regista messicano di 30 anni, che vive negli Stati Uniti, come anche del produttore e attore protagonista Eduardo Verástegui, versa su questioni interessanti, e lo fa con un approccio e uno sviluppo rari nel cinema commerciale statunitense, sempre più standardizzato, dove gli sceneggiatori sembrano scandire il tempo al ritmo di un vecchio disco in vinile. Piacerà più o meno, ma questo piccolo e toccante film, parlando liberamente e senza complessi, dice a voce alta e chiara cose sulla benefica influenza della famiglia, la difesa della vita nascente e la bellezza della fede cristiana.

La storia si propone con naturalezza e scioltezza, riuscendo a commuovere, anche se a volte risente di qualche traccia da “telenovela” (l'assurda scomparsa della protagonista, ad esempio) e di una performance di calibro più televisivo. L'eccellente lavoro svolto dall'attrice Tammy Blanchard è un compendio dell’intelligenza con cui gli autori del film sono riusciti a mettere tensione ad una bella storia, che ha punti in comune con Mi familia (1995, Gregory Nava) e la recente Once (2006, John Carney).

Con un budget di 3 milioni di dollari, il film ha fatto 8 milioni negli Stati Uniti, stabilendo una nuova pietra miliare nelle strategie che un produttore può usare per rendere redditizio un piccolo film (per di più al debutto), che esce fuori dallo schema "ufficiale". Bella è, in quest'ultimo senso, un buon modello per produttori ed investitori. Alla fine, hanno ragione coloro che dicono: "lamentati meno, scrivi una buona storia, cerca chi sia pronto ad investirci sopra, gira il film in lingua inglese, e fanne tutta la pubblicità possibile." Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. (ACEPRENSA)

Tra le nuvole

13/2/2010. Regista: Jason Reitman. Sceneggiatura: Jason Reitman, Sheldon Turner. Interpreti: George Clooney, Vera Farmiga, Anna Kendrick, Jason Bateman, Danny McBride. 108 min. USA. 2009. Adulti. (XD)

Premiata da diverse associazioni di critici americani, Tra le nuvole aspira ora a sei Golden Globe ed è in tutti i pronostici per gli Oscar. Si consolida così il giovane regista canadese Jason Reitman (figlio di Ivan Reitman, anche lui regista), trionfatore nel 2005 con Thank You for Smoking, e due anni fa con Juno.

Questa volta il protagonista è Ryan, un personaggio che viaggia costantemente attraverso gli States come specialista per aiutare le aziende a comunicare e ammorbidire i licenziamenti dei lavoratori. L'attuale crisi economica porta Ryan ad accelerare ulteriormente il suo ritmo frenetico, in modo che ne risente l'intermittente relazione sessuale con una dirigente, come lui. Raggiungere il traguardo di 10 milioni di miglia, da passeggero, diventa quindi l’unico scopo vitale di Ryan. Le cose cambiano quando il suo lavoro è minacciato da una giovane e ambiziosa consulente della propria azienda, che propone di comunicare i licenziamenti direttamente via Internet.

L'adattamento del romanzo di Walter Kirn attira l’attenzione per la sua non facile tematica, che interpella una vasta gamma di spettatori, soprattutto per il duro ritratto della disumanizzazione, solitudine e mancanza di illusioni creata dall'individualismo materialista. Inoltre, questa lucida analisi, in linea con altri grandi film contemporanei, come In Good Company, Crash o Babel, si avvale di alcuni ottimi attori, che entrano a fondo nei rispettivi personaggi. Sorprende in particolare l'intensità drammatica della giovane e poco nota Anna Kendrick, che sfida ad ogni livello il buon lavoro di George Clooney e di Vera Farmiga.

Tuttavia, la messa in scena di Reitman è un po’ al di sotto della solita spumeggiante sceneggiatura, piena di intelligenti battute. E quindi, risulta meno fresca che nei film precedenti, forse a causa di un eccessivo desiderio di riflettere visivamente il grigiore interno dei personaggi. Va inoltre criticato un trattamento più esplicito del sesso. In ogni caso, è una tragicommedia di valore, ben superiore alla media, che ci costringe a pensare al mondo che stiamo creando insieme.

Pubblico: Adulti. Contenuti: X, D (ACEPRENSA)

Nine

13/2/2010. Regista: Rob Marshall. Sceneggiatura: Michael Tolkin, Anthony Minghella. Interpreti: Daniel Day-Lewis, Marion Cotillard, Nicole Kidman, Penélope Cruz, Kate Hudson, Judi Dench, Sophia Loren, Fergie. 118 min. USA, Italia. 2009. Adulti. (XSD)

La storia -o il mito- è noto. Il nono film di Federico Fellini rimase soltanto 8 e mezzo, a causa del blocco creativo del celebre regista italiano. E ciò che racconta questo capolavoro che è 8 ½ è esattamente la storia -abbastanza autobiografica- di un direttore che si deve confrontare con il peggiore degli incubi: non essere in grado di girare il film che tutti, soprattutto le donne che lo circondano, si aspettano che porti a termine. Il film di Fellini venne poi trasposto anche in un musical, Nine, e ciò che stiamo commentando è proprio la versione cinematografica fattane da Rob Marshall. Il regista di Chicago oltre ad ereditare una buona storia, meta-cinema allo stato puro, ha un casting di lusso: a partire da Sophia Loren, non manca quasi nessuno.


Fellini 8 ½ era -ed è- un film complesso, a volte scomodo, di quelli che permettono molte interpretazioni, e non può essere riassunto in un paio di paragrafi. Gli autori hanno fatto una lettura musicale del film e sono riusciti, talvolta, a renderlo in stile molto felliniano. Questo sì, sono coscienti che questi sono tempi duri per il pensiero, e perciò hanno alleggerito il denso contenuto filosofico dell'originale, lasciando alcune dense riflessioni sul mondo del cinema e il lavoro del regista, rispettando il carattere italiano del film. Ed essere italiano è essere latino, allegro, viveur, macho, spirituale e carnale, elegante, caotico e cattolico. Tutto questo c’è in Nine. Disordine, evasioni, fantasie, infedeltà e rimorsi, desideri di virtù e tentazioni di lussuria, la bellezza -perché Roma è bellissima- e la gioia, la speranza e una finale che non si trovava in Fellini, ma è bene che ci sia e perfino molto italiano. Si potrebbe dire che, contrariamente al paganesimo di Avatar -freddo e senza anima- o il protestantesimo di Haneke -rigoroso e triste-, Nine presenta un cattolicesimo imperfetto, contraddittorio, ma molto più pieno di speranza e allegria.

In definitiva, ciò che Nine racconta, tra la fantasia e l'immaginazione di un regista cinematografico stanco del suo egoismo, è un dramma romantico italiano con lavorazione da cinema classico. Il problema è che si tratta anche di un musical, ed è qui che il film vacilla. L'atemporalità della storia, l'eleganza degli ambienti e l'ingegnosità del tema sono travolti da un music hall francese che non si riesce a capire totalmente. L'ispirazione della maggior parte della coreografia si volge alle Folies-Bergères -come ci ricorda una splendida Judi Dench-. Ma si tratta di Folies Bergères assai scadenti. Basti pensare a Moulin Rouge, musical di ambiente simile, per dire che i balli di Nine sono elementari: passi semplici, tre o quattro movimenti provocanti e molta lingerie con le paillettes e poco più. Le parole delle canzoni variano: alcune aiutano la storia, altre sembrano scritte per un concorso di battute oscene. Fortunatamente, l'orchestra è molto buona, ci sono cantanti più che validi -la stessa Kidman (altri un po’ meno)- e il montaggio, anche se a volte è da videoclip, regge.

Comunque, alla fine, coloro che riescono a dare unità ad un film molto irregolare, hanno un nome: Daniel Day-Lewis e Marion Cotillard, due attori meravigliosi che raggiungono il limite dell'impossibile: riuscire nell'impresa di non far rimpiangere Mastroianni, e molto meno Anouk Aimée, e al contempo evitare che il musical di Marshall si trasformi in un cabaret da tre soldi. In un film così fisico, eccessivo, così da periferia, Day-Lewis e Cotillard recitano con gli occhi, con il gesto di una mano, con un'eleganza che li eleva ad una categoria superiore al resto del cast. Se qualcuno avesse ancora qualche dubbio che la Cotillard sia una grande attrice, la metta a confronto con le altre, oppure osservi la trasformazione nel suo contenere il dolore nell'ultimo numero, il lacerante Take It All. Troppo per una sola attrice.

Fellini titolò così il suo film, perché pensava che fosse solo riuscito a metà. Nine, invece, sono due film in uno: un notevole dramma classico ed un accettabile spettacolo di varieté francese. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: X, S, D (ACEPRENSA)

La principessa e il ranocchio

13/2/2010. Regista: John Musker, Ron Clements. Sceneggiatura: Ron Clements, Rob Edwards, John Musker, Greg Erb, Jason Oremland. Musica: Randy Newman. 97 min. USA. 2009. Giovani

New Orleans, 1912. Tiana è una giovane afro-americana, di origine operaia e orfana di padre, che sogna di aprire un ristorante in proprio. Quando sta quasi per riuscirci, irrompe nella sua vita il principe Naveen, trasformato in rospo dal malvagio dottor Facilier. Tiana cerca di annullare l'incantesimo baciando il rospo, ma il risultato non è quello previsto.



Dopo sei anni in cui si è concentrata su 3D, la Disney torna all'animazione tradizionale con questa versione libera della fiaba moderna, The Frog Princess, di Ed Baker, ispirata alla classica fiaba popolare dei fratelli Grimm La Principessa e la Rana. Il film denuncia le carenze di una sceneggiatura dispersa, con troppi caratteri e un risalto eccessivo del voodoo, che porta a diverse sequenze raccapriccianti. Inoltre, i numeri musicali, anche se ben risolti, non hanno la magia e la vivacità dei migliori classici del leggendario studio.
Comunque, la trama è divertente e offre riflessioni utili per l'integrazione razziale e sociale. E, naturalmente, l'animazione è superba, confermando l'alta qualità del caratterista designer -diretto da Andreas Deja- e dei suoi registi, Ron Clements e John Musker, responsabili di capolavori come La Sirenetta o Aladdyn, e di film di rilievo come Hercules e Il pianeta del tesoro. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: ---- (ACEPRENSA)