Avatar

16/1/2010. Regista: James Cameron. Sceneggiatura: James Cameron. Interpreti: Sam Worthington, Sigourney Weaver, Michelle Rodríguez, Zoe Saldana, Giovanni Ribisi. 165 min. USA. 2009. Giovani. (S)

Anno 2154. L'ex marine paralizzato, Jake Sully, è ingaggiato per una spedizione sul pianeta Pandora, al posto del defunto fratello gemello. La sua corrispondenza genetica lo rende ideale per utilizzare l’avatar fraterno, corpo ibrido -metà uomo, metà na'vi -come si designano i nativi di Pandora-, sviluppato per mezzo di biotecnologie in modo tale da essere controllato dalla mente. L'ideale, per entrare amichevolmente in contatto con i na'vi, che vivono in stato primitivo di perfetta comunione con la natura.



James Cameron è rimasto lontano dalla fiction cinematografia, per ben dodici anni. Un'attesa che valeva la pena. Infatti, Avatar realizza le aspettative di "film esemplare del futuro”, innovativo nell'uso di effetti visivi e di un foto-realismo mai visto prima, in 3D. Creature fantastiche, i na'vi, il largo spazio su grande schermo, robot e navi speciali, tutto è meraviglioso e sembra "reale", ben integrato con il movimento della cinepresa.

Inoltre, Cameron -scrittore e regista- ha prestato attenzione alla trepidante storia, cui imprime un'aria epica di grande avventura, recitata da personaggi che risultano interessanti. Le varie allusioni a precedenti film, propri e di altrui, non sono semplici segnali per iniziati: servono piuttosto a creare una trama intelligente e originale, che segue lo schema classico del viaggio dell'eroe che, dovendo compiere la sua missione infiltrandosi tra i na'vi, si trova costretto ad interrogarsi sul valore delle proprie azioni, a riflettere su ciò che è giusto. In mezzo, c'è spazio per una storia romantica (con breve sequenza erotica) ed approcci suggestivi -all'interno di una condizione mitica, che forse qualcuno collegherà esageratamente al New Age-, sull’ambizione, l'ecologia, la religione e la scienza.

Ovviamente, si evoca la conquista di primitivi luoghi idilliaci -Utopia o paradiso terrestre-, dove l'ordine perfetto è disturbato da “l'uomo bianco”. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: S (ACEPRENSA)

Sherlock Holmes

16/1/2010. Regista: Guy Ritchie. Sceneggiatura: Michael Robert Johnson, Anthony Peckham, Simon Kindberg, Lionel Wigram. Interpreti: Robert Downey Jr., Jude Law, Rachel McAdams, Mark Strong, Eddie Marsan. 128 min. USA. 2009. Giovani. (V)

La parabola calante dell’inglese Guy Ritchie (1968) si è interrotta con questo ottimo film, imperniato su uno dei personaggi più popolari di romanzi polizieschi, creato nel 1887 da Sir Arthur Conan Doyle. Ritchie ha usufruito dell'eccellente lavoro di quattro sceneggiatori, capaci di costruire una storia che attinge a quattro romanzi e ad una cinquantina di racconti. Tutti hanno per protagonista l’eccentrico detective, che risolve i casi grazie ai propri eccezionali poteri di osservazione e ad un’intelligenza analitica e deduttiva, sempre coadiuvato dal fedele amico, dottor Watson.



I 90 milioni di budget sono stati sapientemente spesi, per ottenere una splendida ricostruzione della nebbiosa Londra vittoriana, in cui convivono l'eleganza più chic e lo squallore dei bassifondi. La qualità della produzione non è casuale. Ritchie ha potuto contare su tre donne che sono le migliori per i film d’epoca: Sarah Greenwood, Katie Spencer e Jenny Beavan. La musica di Hans Zimmer è molto adatta, nella sua rotondità maliziosa. Il montaggio di Herbert, collaboratore abituale di Ritchie, riesce davvero ad imprimere al film un ritmo magnifico, simpatico: davvero piacevole.

La tecnica si mette al servizio di un copione che legge in modo molto intelligente l’opera di Conan Doyle, definendo magistralmente i quattro protagonisti: il disastrato e brillante Holmes, il coscienzioso e metodico Watson, la sinuosa e seducente Irene Adler, e il tenebroso Lord Blackwood. Il cast, molto indovinato, consente recitazioni davvero efficaci. Spicca Jude Law, perfetto nel suo ruolo di Watson (che nei romanzi è il narratore, ma qui -molto opportunamente- no). Un colossale Downey ne reinventa il personaggio, dal registro inedito -per carattere e fisico-, rispetto ai cliché già visti al cinema e in televisione.

Tenendo conto dei precedenti eccessi di Ritchie, bisogna congratularsi con lui, per aver perfettamente centrato un film d'avventura adatto a un vasto pubblico (negli Stati Uniti è classificato PG-13), in cui i cultori dei romanzi originali identificheranno -adeguatamente minimizzati- i lati più scuri e inquietanti delle avventure del famoso detective di Baker Street, in un racconto frizzante e spettacolare. In breve, un ottimo film d'avventura, che può indurre tanti a riscoprire le opere di Conan Doyle e, in particolare, quel delizioso racconto intitolato Uno studio in rosso: l'esordio di Holmes. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V (ACEPRENSA)

Il riccio

16/1/2010. Regista: Mona Achache. Sceneggiatura: Mona Achache. Interpreti: Josiane Balasko, Garance Le Guillermic, Togo Igawa, Anne Brochet, Adriane Ascaride. 100 min. Francia. 2009. Giovani-adulti

Intelligente lettura del famoso romanzo L'eleganza del riccio, della professoressa di filosofia Muriel Barbery, da parte della giovane regista Mona Achache. Il testo originale si impone per qualità letteraria e interesse delle cose che racconta. Infatti, i personaggi sono molto ben costruiti, la struttura della storia è intelligente e agile, e traspare forza in un testo che abbina lirismo, un po’ di cattiveria, intelligenza e senso dello humour assai riuscito; tutto, naturalmente, pensando a un lettore adulto e critico. Trovo stupefacente il lavoro che la Achache, regista e sceneggiatrice, riesce a confezionare per questo suo primo film.


La storia è ambientata in un lussuoso edificio di un sobborgo della Parigi benestante. La portinaia della proprietà, Renée, finge di essere semi-analfabeta e tele-dipendente, mentre in realtà divora un libro dopo l’altro: letture che la fanno rivivere, ma che non le evitano un'immensa solitudine. Paloma, figlia di un ex-ministro, è una bambina prodigio di dodici anni, che sfida se stessa a trovare un pensiero profondo, forte abbastanza, per togliersi dalla testa l'idea del suicidio con cui vorrebbe lasciare così, in modo teatrale, il mondo posticcio e banale in cui crede di vivere.

Non è facile trasporre su grande schermo un romanzo che, in fondo, non è altro che la proiezione del mondo interiore di due personaggi frustrati, l'opposto di quello che sembrano, ma che non smettono mai di far funzionare il cervello, commentando il mondo intorno a loro e cercando di trovare un senso alle proprie vite, per uscire così da un lacerante scetticismo.

Achache ha addolcito il romanzo, eliminando alcuni aspetti stridenti del pensiero della portinaia, per offrirci una storia divertente, distinta e molto simpatica, in cui ciò che i personaggi fanno ha più peso di ciò che pensano. Il cast, selezionato con perizia, è diretto con arguzia. È un piacere vedere l’indovinato ritmo della storia calarsi in un insieme ben assemblato, che sapientemente sa ricorrere alla musica di Gabriel Yared, a fare da trait d'union. In sintesi: un film eccellente. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-adulti (ACEPRENSA)

A serious man

16/1/2010. Regista: Joel Coen, Ethan Coen. Sceneggiatura: Joel Coen, Ethan Coen. Interpreti: Michael Stuhlbarg, Richard Kind, Fred Melamed, Sari Lennick, Adam Arkin. 105 min. USA. 2009. Adulti. (XD)

L'uomo serio e preoccupato in questione è Larry Gopnik, professore universitario di fisica, ebreo, sposato, con due figli adolescenti, il cui mondo sta lentamente franando: in primo luogo il matrimonio, poi il lavoro. Infine e soprattutto, la sua tradizione religiosa, incapace di fornirgli quelle risposte che sta cercando ansiosamente.



Dopo il folle divertissement di Burn After Reading, i fratelli Coen ritornano all'universo di Fargo o Blood Simple, una storia cinica popolata da individui patetici, su uno sfondo di humour nero. In questo caso, davvero nero. Per questo film, i fratelli Coen hanno scritto una sceneggiatura autobiografica che potrebbe avere firmato Woody Allen. In realtà, tutto il film è prettamente Allen: dal modo superbo di ambientare la vita in un quartiere, fino alla artificiosa naturalezza delle recite (esaltata da un cast di attori di teatro e tv, poco noti). Nel coniare questo imprinting, stile Allen, i fratelli Coen si sono pienamente calati all'interno di un'acida visione del mondo ebraico, come confessano loro stessi, rappresentata con plausibilità, ma anche con certa cattiveria (anche se i registi lo negano).

Il risultato? A volte brillante, come la presentazione del personaggio principale interpretato da Michael Sthulbarg, che ambisce un Golden Globe, e talvolta -come accade ad Allen- fastidioso. Anche se, fortunatamente, i fratelli Coen, che peccano per eccesso di cinismo circa i loro tormentati personaggi, mai incorrono nel tono moralistico così fastidioso, adottato dal Woody Allen del suo ultimo film. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: X, D (ACEPRENSA)

Piovono polpette

16/1/2010. Regista: Phil Lord, Christopher Miller. Sceneggiatura: Phil Lord, Christopher Miller. 90 min. USA. 2009. Tutti.

Figlio di un venditore di ami ed esche, Flint è un ragazzo iperattivo ed entusiasta che -fin dall'infanzia- ha inventato ogni genere di diavolerie, una più disastrosa dell’altro. Vive nella capitale di un'isola, fondata sull'industria della sardina in scatola. Quando questa attività crolla, il paese sprofonda in una depressione grigia. Finché, un giorno, Flint inventa una macchina in grado di provocare nuvole capaci di far piovere di tutto. Ad esempio polpette che, in effetti, iniziano a cadere sulla città. Per informare di questo strano fenomeno meteo, sempre più preoccupante, ecco arrivare sull'isola una splendida reporter tv, alle prime armi, della quale Flint s’innamora immediatamente.



Diretto da Chris Miller (Shrek Tre) e dall'esordiente Phil Signore, questo film d'animazione in 3D stereoscopico, trae inizio da un argomento originale, adattato dal romanzo di Ron e Judi Barrett, in cui inserisce situazioni coinvolgenti. Inoltre, il film critica con lucidità il mito della scienza e l’opportunismo politico, mentre esalta l'affetto famigliare, l'amore generoso e l'impegno sociale.

Tuttavia, questi accettabili ingredienti sono calati in una sceneggiatura un po’ confusa e sconnessa, che fa perdere quota. Inoltre, sebbene il film includa diverse sequenze mozzafiato, l'animazione -sia nella progettazione, che nel movimento- appare di minor qualità rispetto a quella di altri grandi concorrenti, come Pixar, Disney, Ilion, DreamWorks o Blue Sky. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Tutti. Contenuti: ---- (ACEPRENSA)