Harry Potter e il principe mezzosangue

25/7/2009. Regista: David Yates. Sceneggiatura: Steve Kloves. Interpreti: Daniel Radcliffe, Rupert Grint, Emma Watson, Jim Broadbent, Michael Gambon. 153 min.USA, GB. 2009. Giovani.

Autore del sesto film della saga di Harry Potter è il britannico David Yates, che ha già diretto l'episodio precedente e sta girando le due parti in cui verrà diviso l’ultimo libro, Harry Potter e i doni della morte, allestite per il 2010 e 2011. Lo statunitense Steve Kloves è ancora una volta lo sceneggiatore (unica eccezione: Harry Potter e l’ordine della Fenice).



La lotta tra Potter e Voldemort prosegue nel corso di un episodio girato con efficacia, grazie anche ad un generoso budget (200 milioni di dollari). Lo segue con interesse perfino chi non conosce bene i romanzi della Rowling.

Certamente, si tratta di uno degli episodio meno dotati di scene d'azione -quindi con meno scene spettacolari-, che cede il posto ai molti dialoghi e al pugno di personaggi che ruotano attorno al trio formato da Harry, Hermione e Ron. È vero che il ritratto della esplosione ormonal-adolescenziale che ha luogo ad Hogwarts è grottesco, e appare un po' forzata nel resto del film, ma bisogna riconoscere che la storia ne guadagna in rapporto ai tre protagonisti. Il montaggio è buono. La trama si fa seguir bene, per tutti i suoi 150 min. di durata. I fans della saga non si sentiranno delusi, neppure dal drammatico e intricato finale, che considero abbastanza soddisfacente.

Rowling mi sembra scrittrice davvero abile. Infatti, questo film -che come il romanzo è meno spettacolare- ne ribadisce le capacità. I dialoghi e le descrizioni, il maneggio delle trame e della tensione drammatica rendono la misura del talento della Rowling e del suo perfetto concatenarsi alla fantasia già esibita nelle precedenti avventure. In tal senso, è manifesta la scelta decisa di mettere meglio a fuoco il personaggio di Hermione Granger (parte davvero ben recitata da un'Emma Watson, cui auguro un notevole avvenire di attrice): personaggio eccellentemente costruito e sviluppato. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. (ACEPRENSA)

L'era glaciale 3: l'alba dei dinosauri

25/7/2009. Regista: Carlos Saldanha, Mike Thurmeier. Sceneggiatura: Carlos Saldanha, Mike Thurmeier. Colonna sonora: John Powell. Animazione. 100 min. USA. 2009. Tutti. Dal 28 agosto nelle sale.

Il terzo film delle avventure di animali, nel corso di un'era glaciale, è film assai divertente e spettacolare, con situazioni molto divertenti, anche -come è logico- se privo di sostanziali novità. La sceneggiatura abile, lo rende più filante ed allusivo del secondo episodio. Geniale, il ricorso ai dinosauri che, in principio, si erano estinti per colpa della precedente glaciazione. Lo scoiattolo Scrat continua sempre ad inseguire la ghianda delle su brame; i mammuths Manny ed Ellie si preparano a diventare genitori; Diego, la tigre dai denti a sciabola, attraversa una crisi d’identità; e Sid, il bradipo, continua ad essere una calamita per problemi che si concretizzeranno in forma di... dinosauri.



La storia -che rivela indovinate sorprese- è uno scivolar via tra avventure emozionanti, con invidiabile senso del ritmo. L’animazione è eccellente: su tutto, predomina l’intelligente e creativo disegno degli scenari, dove si succedono sequenze d'azione di grande dinamismo, che si possono godere in versione normale o in 3D. Frutto della fantasia del brasiliano Saldanha, emerge un simpatico personaggio, il furetto Buck che, sviluppando una straripante vitalità, rivela al contempo nobiltà e grazia. Buck si trasforma in un catalizzatore stupendo che impedisce al film di insabbiarsi. Insomma, un fresco divertimento che, pur inferiore in qualità ai magistrali film della Pixar e della giapponese Miyazaki, rivela una magnifica cura dei particolari. Gli studi Blu Sky devono ancora dimostrare che c’è altra vita (animata), oltre questi semplici animali chiacchieroni. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Tutti. (ACEPRENSA)

Transformers: la vendetta del caduto

25/7/2009. Regista: Michael Bay. Sceneggiatura: Roberto Orci, Alex Kurtzman, Ehren Kruger. Interpreti: Shia LaBeouf, Megan Fox, John Turturro. 144 min. USA. 2009. Giovani.

Dopo aver incassato 700 milioni di dollari da Transformers, si poteva prevedere che Michael Bay e Steven Spielberg avrebbero realizzato un secondo episodio, basato sui giocattoli giapponesi degli anni Settanta, da cui la saga dei popolari fumetti della Marvel.



Dice un lemma pubblicitario che Bay realizza blockbuster dal 1995. Certamente, il regista californiano ha incassato molti soldi da film d'azione che rispondono al principio: esplosioni continue, pensieri zero. Ne costituiscono i precedenti tentativi: Bad boys, The Rock, Pearl Harbour e The Island. Ma non è men vero che questi film hanno pure fatto esplodere i timpani -e la pazienza- a molti spettatori, oppressi dalla pomposa esibizione, vuota e insipida, che li caratterizza.

In questa secondo episodio c’è però una vis comica più sottile, che ossigena il film, altrimenti insopportabile. La passione di Bay per le divise militari, per le appariscenti ragazze-portafiori, per armi e macchine speciali, si trasforma -ma fino a certo punto- in scaltrezza, dando luogo ad una prima parte della pellicola simpatica, disinvolta e spettacolare. Ma come capita spesso a Bay, ignaro del senso della misura, il brillante inizio perde poi smalto, a causa di una ridondanza troppo insistente che ne evidenzia l'incapacità di girare e montare, sapendo ben dosare la potenzialità amplificatrice degli effetti digitali. Nei montaggi di Bay spicca la consueta prospettiva circa le donne, ridotte ad oggetto di arredamento accanto al maschio dominante. Se Bay fosse capace di smettere di gridare, cinematograficamente parlando, il suo film -eccessivamente lungo-, sarebbe migliore in tutti i sensi. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. (ACEPRENSA)

Ricatto d'amore

25/7/2009. Regista: Anne Fletcher. Sceneggiatura: Pete Chiarelli. Interpreti: Sandra Bullock, Ryan Reynolds, Mary Steenburgen, Craig T. Nelson, Betty White. 108 min. USA. 2009. Giovani-adulti. (X) Nelle sale, dal 3 settembre.

Margaret è una dirigente d'acciaio, di una potente società editrice. Andrew, il suo assistente, sopporta tutto nella speranza che lei pubblichi, infine, il “suo libro”. Ci sono però tanti di quei problemi amministrativi, che i servizi d’immigrazione voglio rispedire Margaret al paese d’origine: il Canada. Per evitarlo, lei dichiara di essere in procinto di sposare Andrew, che accetta di stare al gioco, a patto che la società editrice pubblichi finalmente il libro.

Ricatto d’amore è una gradevole commedia romantica, prevedibile ma efficace in disinvoltura e vivacità. È fatta a misura di Sandra Bullock, buona attrice, che perde il favore del pubblico appena si allontana dal giusto registro. La sceneggiatura è convenzionale -due personaggi opposti, obbligati a convivere-, e molte gags non particolarmente originali. Ma non importa, perché il film rivela uno charme speciale, quello dei due protagonisti, ben accompagnati da Mary Steenburgen e dalla veterana Betty White (87 anni). La coppia protagonista appare ben assortita, che è quello che importa in questo tipo di film, con dialoghi e situazioni divertenti. L’insieme si involgarisce alquanto, per due scene gratuite, che esulano dal tono generale del film. Anne Fletcher ne è la convenzionale regista, mentre il copione segna l'esordio di Peter Chiarelli. Fernando Gil-Delgado ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: X (ACEPRENSA)

Ritorno a Brideshead

25/7/2009. Regista: Julian Jarrold. Sceneggiatura: Andrew Davies, Jeremy Brock. Interpreti: Matthew Goode, Ben Whishaw, Hayley Atwell, Emma Thompson, Michael Gambon. 100 min. GB, USA. 2008. Sconsigliato.

Charles Ryder, aspirante pittore di origini modeste, conosce ad Oxford, dove è andato a studiare, Sebastian Flyte, fragile e originale rampollo della nobile famiglia cattolica dei Marchmain, che affoga nel bere i suoi conflitti interiori. Sebastian, che prova per Charles un attaccamento molto più che affettuoso, lo porta nella dimora di famiglia di Brideshead, dove Charles conosce il resto della famiglia: la religiosa Lady Marchmain, che ha un controllo assoluto sulle vite dei figli, e soprattutto Julia, la sorella di Sebastian, di cui Charles si innamora ricambiato. Ma il peso della loro educazione religiosa e l’influenza materna faranno sì che la felicità continui a sfuggire sia ai giovani Flyte che a Charles…

Ogni storia, al di là del suo plot, che magari a distanza di anni può in parte sfuggire anche al lettore attento e appassionato, ha un cuore e un senso suo proprio, quello che il suo autore ha voluto infondervi, la ragione stessa per cui quella storia è stata raccontata. Così, per esempio, le varie prove che Dante affronta nella Divina Commedia non avrebbero senso se non nella prospettiva del cammino di salvezza per cui il poeta è condotto, e I promessi sposi traggono il loro significato dalla valutazione finale che Manzoni mette in bocca a Lucia.

Anche Ritorno a Brideshead, l’opera forse più acclamata di Evelyn Waugh, non è semplicemente il racconto della giovinezza di un artista, Charles Ryder, o delle disavventura della famiglia Marchmain, ma, nelle intenzioni del suo autore «ha a che fare con la Grazia, cioè l’immeritato e unilaterale atto d’amore con cui Dio continuamente chiama un’anima verso di Sé». Date queste premesse, c’è da stupirsi di fronte alla leggerezza con cui gli autori di questo adattamento (tra cui, sfortunatamente, c’è anche Andrew Davis, che a suo tempo dimostrò ben altra sensibilità adattando una celebre versione di Orgoglio e pregiudizio per la BBC) procedono ad un generale travisamento dell’opera originale. Così la trasformano in un manifesto anticattolico calligrafico e piuttosto noioso, infarcito di luoghi comuni e pregiudizi, a partire da quello, tanto diffuso quanto fasullo, del cattolicesimo come religione del «senso di colpa» (traduzione della cultura contemporanea del «senso di responsabilità»), in opposizione alla «libertà» offerta dalla modernità, fuori dai legami famigliari e confessionali, una licenza di cui il sesso diventa il simbolo e la più completa espressione.

In questi casi viene da chiedersi se gli autori non avrebbero fatto meglio a lasciar perdere l’operazione, se erano così convinti di far dire a una storia esattamente il contrario di quello che l’autore aveva voluto comunicare. I due fratelli, Sebastian e Julia Flyte, sono presentati come due individui repressi dall’asfissiante religiosità materna: lui con chiare tendenze omosessuali (giusto perché nessuno abbia dubbi fin dal primo momento Ben Whishaw ne fa una specie di caricatura tra Il vizietto e il bambinesco, orsacchiotto alla mano, occhioni e sculettamenti), lei imprigionata in un fidanzamento e poi in un matrimonio di convenienza (Lady Marchmain è chiara sul fatto che la figlia dovrà sposare un cattolico, quindi l’ateo Charles è fuori gioco) da cui non ha la forza di liberarsi.

Niente di tutto questo corrisponde se non in modo vaghissimo e superficiale a quanto è raccontato nel romanzo: l’amicizia «romantica e affettuosa» tra i due ragazzi viene esplicitamente riconosciuta (anche da un personaggio «irregolare» come Cara, l’amante di lord Marchmain) come passaggio d’età, necessario, eppure necessariamente effimero, verso la maturità dei legami adulti. Il problema di Sebastian, nel romanzo, è l’incapacità di diventare adulto, che il ragazzo affronta dandosi al bere in modo sempre più autodistruttivo, mentre qui il personaggio viene trasformato in un omosessuale represso da una madre arpia e invadente, che vorrebbe invece solo essere libero e felice (se non avessero temuto di eccedere nell’anacronismo, gli autori avrebbero certamente usato il termine gay) e che a Oxford si accompagna con una cerchia di amici dalle stesse tendenze, mentre a casa è costretto a fingere.

Viene da chiedersi se un fraintendimento così plateale derivi semplicemente da una strategia di marketing (gli autori speravano di «vendere» alla comunità gay il film spacciandolo per un nuovo Another country o Maurice, come dimostrano anche certi manierismi recitativi dei giovani protagonisti) o più profondamente dall’incapacità di una certa cultura contemporanea di concepire un legame di affetto tra persone dello stesso sesso che non abbia risvolti sessuali, in questo precludendosi la comprensione di una buona metà della produzione letteraria dell’Occidente.

Se le cose stessero come vorrebbe Jarrold, si faticherebbe a capire, comunque, perché questa madre tirannica e fondamentalista (anche la recita di un Padre Nostro e di un Salve Regina nella bella cappella di famiglia ha toni oppressivi e inquietanti che non stonerebbero in un madrassa islamica) insisterebbe per far accompagnare il figlio dissennato in viaggio a Venezia per visitare il padre che vive colà con l’amante, da un giovane che si dichiara ateo e per cui il figlio nutre una così sospetta simpatia. Tutto l’impegno che gli autori hanno infuso nel caricare sessualmente il legame tra Charles e Sebastian, fa sì che il pubblico si perda per strada la vera grande storia d’amore del romanzo, quella tra Charles e Julia, che resta priva quindi di molta della sua carica romantica (sia nella sua parte «affermativa» che in quella finale di rinuncia) e si riduce ad un affaire un po’ squallido.

A completare la falsificazione, il marito di Julia, Rex, che in originale lei sposa con l’opposizione materna proprio perché non è cattolico, diventa qui ricco, cattolico, ottuso, e, per non faci mancare nulla, anche filo-nazista…
La falsità di questa ricostruzione raggiunge il suo apice nel finale, che stravolge completamente il significato di quanto Waugh aveva messo nella sua storia: anziché la possibilità della Grazia, che raggiunge anche l’uomo più peccatore nell’ultimo istante della vita, la condanna al senso di colpa e alla privazione. E così la rinuncia di Julia a Charles, che è il climax della sua crescita morale (per capirlo non ci vuole nemmeno il catechismo, basterebbe riguardarsi Casablanca) diventa il sigillo estremo della sua incapacità di liberarsi della sua pesante eredità familiare.

Forse la pellicola, nelle intenzioni degli autori, voleva «modernizzare» un genere classico come l’adattamento letterario, ma di fatto ha i numeri per finire su un manuale di «come non fare un adattamento»: non soltanto la voluta e arbitraria falsificazione del concept originale, ma anche le interpretazioni manieristiche, l’impostazione calligrafica, le ambientazioni eleganti ma piene di cliché, si tratti della campagna inglese, delle vie di Oxford, di una Venezia da cartolina o dell’Africa in cui si rifugia Sebastian. Lasciamolo pure ad impolverarsi sugli scaffali di una videoteca, meglio optare per qualche sanguigna americanata, quelle che gli intellettuali snobbano come anacronistiche ma che alla fin fine sono molto meno sleali verso le loro fonti. Laura Cotta Ramosino. Per gentile concessione di FAMILYCINEMATV.


Valori/Disvalori: Il sesso diventa il simbolo e la più completa espressione della "libertà" moderna. Manifesto anticattolico grossolano, infarcito di luoghi comuni e pregiudizi.

Si suggerisce la visione a partire da: Sconsigliato. Per i disvalori presenti, come indicato accanto, per le scene sensuali e di nudo, baci omosessuali.

Giudizio tecnico: Fraintendimento plateale dell'opera letteraria originale. Manierismi recitativi dei giovani protagonisti.