Coraline e la porta magica

27/6/2009. Regista: Henry Selick. Sceneggiatura: Henry Selick. Colonna sonora: Bruno Colais. Animazione. 90 min. USA. 2009. Tutti-giovani.

Originale adattamento dell'omonimo libro per ragazzi di Neil Gaiman, realizzato con la tecnica stop-motion -animazione fotogramma per fotogramma-, si inserisce nella sfornata di film d'animazione che abbinano la loro comparsa sia in cinema convenzionali che a 3-D. Dirige il film ed è responsabile della sceneggiatura Henry Selick, che recupera il tono impunito e macabro di Nightmare Before Christmas -anch'essa in stop-motion-, in collaborazione con Tim Burton.



Il film segue l'adolescente Coraline, che ha traslocato con i genitori in un casolare in mezzo alla campagna. In piena crisi adolescenziale, l'irrequieta Coraline è stufa dei noiosissimi genitori, che stanno finendo di scrivere il loro corso di giardinaggio, e non le piace più di tanto Wybie, il vicino coetaneo. Troverà invece una via di fuga, grazie ad una porta magica, murata dentro la propria casa. In effetti, di notte accede attraverso la porta in un mondo alternativo, identico al suo, ma dove le persone hanno bottoni cuciti al posto degli occhi. Lì conosce gli altri suoi paralleli genitori, che sono geniali, le preparano squisiti pranzetti e la vestono come piace a lei. Poco a poco, Coraline comincia a sentirsi più a suo agio in quest’altra realtà, ma può succedere -a volte- che le cose non siano così come sembrano.

Come si può vedere, la trama ha molti punti di connessione con Alice nel paese delle meraviglie, o se pensiamo ad un esempio di animazione recente, La città incantata. In entrambi i casi, un'adolescente impara a maturare in un mondo differente, pieno di strani personaggi, Inoltre, con il film di Hayao Miyazaki condivide l’idea di salvare i genitori in pericolo. La conclusione, come ne Il mago di Oz, è che“there is no place like home”, non c'è posto migliore della propria casa a fianco delle persone amate; anche se talvolta viene voglia di seguire il richiamo della grande avventura.

Colpisce la spettacolare apertura visiva di Selick, pervasa da un’atmosfera gotica, con riprese oblique che contribuiscono a rendere più inquietante il ritmo narrativo. C’è una galleria di caratteri bizzarri, come due anziane ex-artiste, o il signor Bobinsky, realizzatore di un peculiare spettacolo circense. Come succedeva in Nightmare Before Christmas, o ne La sposa cadavere, il film affronta l'aspetto sinistro delle difficoltà, che possono perciò spaventare una parte del pubblico di genere familiare, cui il film intende rivolgersi. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Tutti-giovani. Contenuti: --- (ACEPRENSA)

Terminator Salvation

27/6/2009. Regista: McG. Sceneggiatura: John D. Brancato, Michael Ferris. Interpreti: Christian Bale, Sam Worthington, Bryce Dallas Howard, Moon Bloodgood, Helena Bonham Carter. 115 min. USA, Germania, GB, Italia. 2009. Giovani.

La quarta avventura futurista della saga creata da James Cameron (che il 18 dicembre presenta il suo ultimo film, Avatar) è opera dello specialista di videoclips McG, autore di due piatti film, tratti dal serial tv: Charlie’s Angels. Il regista statunitense manifesta evidenti pecche, nella direzione del cast di attori, permettendo che professionisti di talento -come Christian Bale e Bryce Dallas Howard- offrano il peggio della rispettiva carriera.



Il film è un assortimento d’imprese belliche sconnesse, senza impianto drammatico, senza traccia di humour. E la colpa è degli sceneggiatori. Gli autori del terzo Terminator e The Game indovinano solo a tratti la storia ed i conflitti proposti, ma sbagliano nel profilo dei personaggi, nella distribuzione di spessore tra Marcus, misterioso individuo che sperimenta un viaggio verso il futuro, e John Connor, esausto e disincantato leader della resistenza contro le Macchine, i nuovi padroni della terra, da quando si sono impadronite del controllo del sistema di difesa strategico Skynet. L’insipida e prevedibile trama dei dialoghi non migliora certo l’insieme.

Nel valutare il film bisogna apprezzare comunque lo sforzo dei disegnatori di produzione, per ricreare il mondo post apocalittico, anche se è appare tema già ipersfruttato. Convenzionale appare la colonna sonora dello specialista Danny Elfman. Non mancano sequenze di azioni spettacolari, con alcune trovate pescate al supermercato del perfetto Terminator.

Il film è tipico esempio di un modo di affrontare la partitura di lungometraggi di azione, prossimi all'estinzione ed all'implosione, a forza di imitarsi l'un l'altro. L’evidente mancanza di idee (di conflitti, trame e cambi di scena) si percepisce specialmente nello scarso coinvolgimento nella condotta e motivazioni dell’eroe, di una semplicità spettacolare, che ricorda i protagonisti dei videogiochi (il film stesso si presta agevolmente a farne un videogioco).

Si cerca poi di camuffare queste carenze con strategie di sceneggiatura, con sfacciati ricorsi alla casistica del deus ex machina. Sembra evidente che la proliferazione di episodi successivi e previ può rappresentare una tentazione, dal punto di vista economico, ma non lo è per la creatività nel settore delle superproduzioni di azione ed avventura. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. (ACEPRENSA)

Coco avant Chanel

27/6/2009. Regista: Anne Fontaine. Sceneggiatura: Anne Fontaine, Camille Fontaine. Interpreti: Audrey Tautou, Benoît Poelvoorde, Alessandro Nivola, Marie Gillain, Emmanuelle Devos. 110 min. Francia. 2009. Adulti. (XD)

Prodotto interamente francese. La regista gala Anne Fontaine dirige questo biopic dell'emblematico personaggio della moda, Coco Chanel: francese, evidentemente.

Il film, come indica il titolo originale, racconta la storia di Gabrielle Chanel, prima che diventasse un'icona della moda. L’impresa non è banale, perché Chanel era solita fornire versioni contraddittorie della propria infanzia e giovinezza. Fontaine si basa sulla biografia di Edmonde Carles-Roux (L’irregulière) e parte bene, mostrando una Coco dai tratti decisamente geniali, capricciosa e amorale, con l'obiettivo di entrare nella alta società francese, a qualsiasi prezzo (ovvero, anche selezionando gli amanti).

Il problema è che, man mano che la storia va avanti (ma non si spinge oltre un certo punto), la regista francese sembra innamorarsi del personaggio. Così che il film si trasforma in un ritratto iper-celebrativo, che scansa con cura le questioni assai controverse della vita della Chanel, mostrandosi troppo indulgente con la discutibile moralità e lo squilibrio di alcune reazioni della protagonista.

D’altra parte, Fontaine mette troppo l’accento -rivelando una certa complicità col pensiero politicamente corretto- su alcune opinioni della disegnatrice di moda; ad esempio, circa la visione negativa del matrimonio. In tal senso, fa ridere la difesa ad oltranza di un femminismo superficiale, che curiosamente fa proprio il gioco degli amanti della Chanel.

Il film è ben interpretato da parte di una Audrey Tatou che rivela una somiglianza sorprendente con la nota stilista. La messa in scena, non poteva essere altrimenti, è molto curata, ma alla fine il film va degradando verso il peggio. Smaccato l'intento adulatorio, lento il ritmo, superficiale la relazione di Chanel con la moda, che invece è la cosa più interessante della sua vita. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: X, D (ACEPRENSA)

I love Radio Rock

27/6/2009. Regista: Richard Curtis. Sceneggiatura: Richard Curtis. Interpreti: Philip Seymour Hoffman, Rhys Ifans, Kenneth Branagh, Bill Nighy, Nick Frost. 129 min. Gran Bretagna, Germania. 2009. Adulti. (XD)

L’inglese Richard Curtis, 53 anni, dirige il suo secondo film dopo Love actually (2003). Curtis dimostra una notevole crescita -come sceneggiatore- dai primi anni ottanta, quando ha iniziato a scrivere per serial tv. Poi ha fatto i copioni di Quattro matrimoni e un funerale, Notting Hill, Bean, nonché l’adattamento della serie Bridget Jones.



I love Radio Rock, dà un saggio dello stile ben noto della narrativa di Curtis, anche se c’è una differenza evidente: non compaiono trame romantiche, assenza non da poco, visto che Curtis ha sempre mostrato notevole talento nel trattarle (si pensi ad alcune scene davvero riuscite -quelle dell'episodio Colin Firth- dell'assai irregolare Love actually).

L’aneddoto storico (un'emittente pirata che sfornava musica moderna, con disc-jokey che fanno a gara tra loro per sottrarsi ascoltatori, con variegato repertorio di tic trasgressivi o psichedelici) è promettente; ma il film, oltre a falsificare e schematizzare troppo ciò che veramente è successo, non sa trarre fuori il meglio della trama, in gran parte perché abusa troppo della caricatura, della gag diretta e un po' greve, così che i personaggi finiscono per diventare stucchevoli, provocando distacco dallo spettatore. Abbondanti sono i riferimenti alle cose meno riuscite di altre storie di Curtis. Mancano invece le note migliori, quelle che così bene sapeva inventarsi questo noto autore comico.

Forse il problema principale di I love Radio Rock è che non provoca l’ilarità promessa da una commedia banditesca, scapigliata e cinica. D’altra parte, quando cerca di diventare emotiva e nostalgica, crea fastidio la banale, sommessa nonché edulcorata assunzione del trito cocktail di sesso, droga e rock and roll.

La musica è solo appena piacevole, né ha tutto il peso che dovrebbe meritarsi. Perciò, parlare di un percorso musicale attraverso le canzoni degli anni sessanta significa illudere e deludere il pubblico. 129 minuti, sono davvero troppi, specialmente per la rigidità monocorde di una sceneggiatura di scarso spessore, con la sensazione d’istrionismo che trasmette un cast poco ispirato, capeggiato da Ifans e Hoffman. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: X, D (ACEPRENSA)