Nemico pubblico -Public enemies

14/11/2009. Regista: Michael Mann. Sceneggiatura: Ronan Bennet, Michael Mann, Ann Biderman, dal romanzo di Bryan Burrough. Interpreti: Johnny Depp, Christian Bale, Marion Cotillard, Billy Crudup, Stephen Dorff, Stephen Lang. 143 min. USA. 2009. Adulti. (VXD)

Nel luglio 1934, durante la Grande Depressione, il popolare bandito John Dillinger evade dal carcere, iniziando una audace serie di rapine alle banche, soprattutto a Chicago e dintorni. Due fatti complicheranno la sua rischiosa vicenda: il primo: che si innamora di Billie Frechette, una ragazza che lavora da guardarobiera; il secondo: che al comando della squadra di polizia, mobilitata sulle sue tracce, si trova l’agente federale Melvin Purvis, tiratore scelto, meticoloso e senza troppi scrupoli. È proprio grazie a questo super-poliziotto che il temuto J. Edgar Hoover inizia a trasformare il suo Bureau of Investigation, in quello che più tardi diverrà il celebre FBI.



Delude un po’ questo irregolare, violento e agiografico ritratto di John Dillinger, vicino nell'impostazione a Bonny&Clyde e Gli Intoccabili, ma meno riuscito. Da un lato, la sceneggiatura prende troppo le parti del fuorilegge -presentato come novello Robin Hood, in guerra contro banche corrotte- e critica ad oltranza la polizia, che sembra aver assimilato, senza problema morale di sorta, il principio “il fine giustifica i mezzi”. Ed anche i più brutali.

D’altra parte, la fin troppo coinvolgente messa in scena di Michael Mann (Heat, Alì, Collateral) -in qualità digitale e con un frequente ricorso a riprese da cinepresa a mano- finisce per esaurire lo spettatore e saturarlo del clima degli anni '30 del Novecento. Gli attori sono bravi, ma non riescono a liberare i loro personaggi dalle maschere archetipe, assegnate loro dal copione. Mann presenta tuttavia diverse sparatorie brillanti, con alcune sequenze di alta intensità emotiva. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, X, D (ACEPRENSA)

Un alibi perfetto

14/11/2009. Regista: Peter Hyams. Sceneggiatura: Peter Hyams, Douglas Morrow. Interpreti: Michael Douglas, Amber Tamblyn, Jesse Metclafe, Calvin Payton, John MacCarthy. 110 min. USA. 2009. Adulti. (X)

Nel 1956, quel maestro di Fritz Lang diresse due thriller interpretati da un'eccellente Dana Andrews, dove il regista di M diede un'ulteriore dimostrazione del suo talento, questa volta con budget molto modesto, per la sigla RKO, con l’incipiente televisione facendo una concorrenza tremenda al cinema.

Sono state le ultime opere del fecondo periodo trascorso da Lang negli States (1939-1956), caratterizzato da una comprensione intelligente di due generi così tipici della Hollywood anni '40: il noir e il dramma passionale. La prima di queste opere ha per titolo Quando la città dorme. Della seconda, L’alibi era perfetto, esce adesso una nuova versione, a cura di un regista veterano, ma per ora, mai andato oltre la sufficienza: Peter Hyams (Relic –L’evoluzione del terrore).

La storia (un giornalista che tende una tranello ad un pubblico ministero, per mostrare a tutti che si tratta di un prevaricatore) è bella, ma la sceneggiatura troppo schematica dello stesso Hyams, non diffonde a dovere la tensione. La regia appare assai trascurata, tutto al contrario del film originale. In questo senso, non mancano scene girate in ambienti dalle tinte così fosche, che appare arduo motivare.

Il cast lavora molto bene (specialmente la giovane Amber Tamblyn), ma il regista non sa che pesci pigliare. Spreca così l'interpretazione di un grande Michael Douglas, che affronta con professionalità uno de quei ruoli da malvagi mefistofelici, che sono il suo forte. Poco altro resta da dire su questo remake, che presentiamo solo perché ci offre l'estro di ricordare con forza il film di Lang, interpretato -oltre che da Dana Andrews- dalla grande Joan Fontaine. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: X (ACEPRENSA)

Julie&Julia

14/11/2009. Regista: Nora Ephron. Sceneggiatura: Nora Ephron. Interpreti: Meryl Streep, Amy Adams, Stanley Tucci. 123 min. USA. 2009. Giovani-adulti. (SD)

La storia è tratta da due libri: uno scritto da Julia Child (1912-2004), chef statunitense che -dopo aver studiato cucina francese a Parigi ed aver pubblicato un celebre libro di ricette nel 1961- si è trasformata in una popolare protagonista della tv; l’altro libro è opera di Julie Powell, nata nel 1973 in Texas e trasferitasi a New York dal 2002, che inizia a scrivere un blog -poi trasformato in libro di successo- su esperienze culinarie utilizzando le ricette del libro di Julia Child.




La regista Nora Ephron (C’è post@ per te, Insonnia d’amore) ha potuto far leva su due attrici sensazionali, ma il modo di inserirle nella trama delle vite delle due donne, che hanno quasi cinquant'anni di differenza, non regge molto. D’altra parte, se il personaggio di Streep è decisamente sovraeccitato (grida, troppa gestualità e mosse, alcune volgarità difficili da capire), quello di Amy Adams appare insipido (pur essendo bravissima attrice, il personaggio risulta incolore, quasi piatto). Anche Stanley Tucci è un superbo attore, ma il personaggio che interpreta, un diplomatico, non è ben costruito. Anzi, propende alla farsa.

Malgrado l’ambientazione eccellente e la regia curata, Ephron non capta -neanche a farlo apposta- l’anima della storia. E cioè: la cucina è arte e cultura, ed è capace di mettere in gioco tutta la persona, fino a renderla capace di una forma di amore oblativo: donarsi agli altri.

È facile immaginare che questa storia, nelle mani di un regista più autorevole, avrebbe dato vita ad un grande film. Ciò che resta è simpatico e divertente, ma talvolta reiterativo, sentimentale e banale. In materia di cucina, i capolavori sono sempre quelli: un magistrale Il pranzo di Babette e l’incantevole Ricette d’amore. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: S, D (ACEPRENSA)

Gli abbracci spezzati

14/11/2009. Regista: Pedro Almodóvar. Sceneggiatura: Pedro Almodóvar. Interpreti: Lluís Homar, Penélope Cruz, Blanca Portillo, José Luis Gómez, Rubén Ochandiano, Tamar Novas. Spagna. 2009. Adulti. (XD)

Il diciassettesimo film di Pedro Almodóvar è anche il più costoso: dodici milioni di euro. Per girarlo, ha impiegato quindici settimane di riprese, tra Madrid e le Canarie. Malgrado questo dispendio di mezzi, non ci pare il suo miglior film, anche se resta pregevole.

La storia percorre due periodi diversi della vita di Mateo Blanco, regista di cinema: il presente attuale e gli anni Novanta. Adesso è un uomo cieco, che scrive sceneggiature sotto lo pseudonimo di Harry Caine; in passato, era un regista capace di girare una bella commedia, interpretata dall’amore della sua vita, l’attrice e prostituta occasionale Lena. Sempre accanto al protagonista c'è Judith, direttrice di produzione, nonché suo indispensabile angelo custode. Come antagonista, Ernesto Martel, un imprenditore che fa il produttore e che ama la stessa donna del regista: l’affascinante e fatale Lena. Intorno a questo conflitto di passioni, Almodóvar ha tessuto un insieme di disamori, gelosie, segreti, rancori, che sfociano in una tragedia non impermeabile alla speranza.

Almodóvar, abbandonando il tradizionale disinteresse per i personaggi maschili, affronta ora una storia che, proprio dai ruoli virili, trae gran parte della sua forza drammatica. Come sempre si verifica nei film del regista iberico, esistono diversi livelli di lettura o nuclei, intorno ai quali girano le trame. Uno di questi, forse il principale, è metalinguistico: il cinema, inteso come catarsi o redenzione. Il personaggio di Mateo, cieco e depresso per il tragico passato, trova nella creazione cinematografica -specialmente nella sala di montaggio- la possibilità di chiudere ferite ancora aperte, superando le precedenti sventure: “Anche se io non ci vedo, i film devono essere ben rifiniti”, dice il protagonista. Inoltre, Almodóvar allude a sé stesso, nella commedia spropositata che lo ha reso famoso e che appare nel finale, quando vediamo qual è il film, girato proprio da Mateo. Per molti spettatori questo costituirà, senza dubbio, il pregio migliore di Abbracci spezzati.
D’altra parte, Almodóvar torna a toccare la questione dell'assenza del padre. Il momento più duro del film è quando ci mostra il padre di Lena, malato di cancro terminale. Ma la ricerca inconclusa del padre, in Tutto su mia madre, culmina qui con successo, ricomponendo un vincolo tra padre e figlio, anche se manca sempre un riferimento di famiglia valido. Come al solito, i personaggi di Almodóvar sono celibi o divorziati, dai rapporti atipici (in questo caso, per esempio, Judit racconta di aver avuto un amante gay; Mateo va a letto con una donna, solo perché lo ha aiutato ad attraversare la strada; o il figlio di Martel, innamorato di quel Mateo che, tra l'altro, ha il doppio della sua età).

Il tema caro al regista, dell’amore e del desiderio, torna qui a ripresentarsi. Vi si declinano diversi tipi di amore: il possessivo, malaticcio e distruttivo, incarnato da Martel; l’amore della madre celibe -cioè, l’amore che si mantiene in un'intimità esclusiva, non condiviso-, da sempre l’amore preferito da Almodóvar; il più durevole, nel film rappresentato da Judith, e l’amore passionale, che unisce Mateo a Lena e che rappresenta l’oggetto del desiderio. Lena ricorda molti personaggi di film, alla stregua di quello incarnato dalla stessa Penélope Cruz in Lezioni di amore, o di tante donne che si dibattono tra l’amore ossessivo di un uomo potente e l’amore sincero di un perdente (Moulin Roge, Titanic, La niña dei tuoi sogni).

Un tema che non era stato mai troppo presente nel cinema di Almodóvar, accennato per la prima volta in Volver (Tornare) e che adesso prende forza, è quello della coscienza della colpa. Come per il Woody Allen arrivato alla maturità, compare nel cinema del regista iberico il peso del male, dominante nella coscienza del presente. Judith è schiacciata da un segreto colpevole, e in minor misura, anche il figlio di Martel. Ma gli offesi sanno perdonare e, in tal senso il tono del film, malgrado le sue tinte tragiche, non è negativo, né carico di rancore verso la vita. L’ultima parola c’è l’ha, in certo qual modo, la gioia di essere vivi e il superamento degli errori del passato.

La recitazione è buona. Sorprende un Lluis Homar, che sembra da sempre un “attore di Almodóvar”. Penelope recita molto bene ed è oggetto delle più raffinate attenzioni, da parte della fotografia, dei costumi e del maquillage. Sono davvero bravi anche Blanca Portillo e José Luis Gómez, così come i giovani Ruben Ochandiano e Tamar Novas.

Ciò malgrado, si resta davanti ad un film minore di Almodóvar, meno ricco nello sviluppo degli argomenti, più irregolare nel ritmo e nella forza della messa in scena, nonché molto più erratico nelle proposte, meno forti e nitide che nei precedenti. Da Gli abbracci spezzati emerge puntualmente la lucidità dell'autore, ma questo non basta a far fluire il film attraverso i canali di quel talento, che pure il regista iberico ha dimostrato talvolta di possedere. Juan Orellana. ACEPRENSA.


Pubblico: Adulti X, D (ACEPRENSA)