The millionaire - Slumdog millonaire

14/2/2009. Regista: Danny Boyle. Co-regista in India: Loveleen Tandan. Sceneggiatura: Simon Beaufoy, dal romanzo Le dodici domande, di Vikas Swarup. Interpreti: Dev Patel, Freida Pinto, Madhur Mittal, Anil Kapoor, Irrfan Khan. 120 min. GB, USA. 2008. Giovani. (VSD)

Dopo aver vinto vari premi, compresi quattro Golden Globe, questa commovente favola morale è ora candidata a ben dieci Oscar. Danny Boyle -con l’aiuto della co-regista Loveleen Tandan- propone l'adattamento del romanzo Le dodici domande, del diplomatico indù Vikas Swarup. Lo realizza grazie ad una complessa struttura narrativa -con continui salti temporali- di forte impatto visivo, in uno stile misto -tra iperrealista ed onirico- di accattivante bellezza poetica. Il regista inglese ha già varato questo cocktail in Trainspotting, Una vita esagerata e Millions; ma qui lo ha arricchito di maggior immediatezza e plasticità, come in altri film su bambini di strada, come Central do Brasil, di Walter Salles, o City of God, di Fernando Meirelles.



Il protagonista è Jamal Malik, giovane cameriere, persona semplice e privo di studi, allevato in un miserrimo suburbio musulmano a Mumbai (già Bombay). Così che viene considerato uno slumdog, spregevole cane di bidonville. Un bel giorno, Jamal si presenta alla versione indiana del popolare quiz Vuoi diventare milionario? arrivando all’ultima domanda. Ma qui viene messa in dubbio la sua onestà dalla polizia, che lo ferma. Nel brutale interrogatorio sulle risposte date in TV, Jamal racconta la propria drammatica esistenza.

Danny Boykle ha evitato la tentazione di soffermarsi con compiacenza sulle degenerazioni morale che descrive: come le persecuzioni degli indù contro i musulmani, la prostituzione infantile e altre forme aberranti di sfruttamento della miseria. Indovina invece la traduzione in immagini della prospettiva caleidoscopica del romanzo di Vikas Swarup, che svaria dalla denuncia sociale al melodramma iperromantico, passando dalla commedia al thriller di gangster. Per perseguire tutti i traguardi, Boyle ricorre ad una pianificazione molto creativa, nonché ad un montaggio straordinariamente frammentato, la cui potenza si rafforza proprio per la coloristica fotografia di A. R. Rahman. Contribuisce alla riuscita d’insieme una straordinaria rassegna di attori, pieni di naturalezza. Il cast è guidato dal giovane londinese di origine indiana Dev Patle, che permea il personaggio di un carattere ambivalente, tra l'ingenuo e il furbone, capace di strappare allo spettatore la lacrima, il sospiro, l’angoscia, il sorriso, se non il riso.

Può accadere che il provocatorio spiegamento scenico di Boyle possa stancare gli spettatori più esigenti. Che l'incrollabile ottimismo sfoggiato, possa irritare i meno idealisti. Che si troverà che è pronto a criticare l’apparente determinismo della visione del destino, orientale e islamica, fondata sul “tutto sta scritto”. Ciononostante, penso che la maggioranza degli spettatori ne apprezzeranno la freschezza e l’eccezionale forza con cui si accoglie la fragilità umana, la capacità di superarsi; meglio ancora, la potente forza di rigenerazione che è l’amore, seppure in circostanze davvero sordide e disumane. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V, S, D (ACEPRENSA)

Ti amerò sempre

14/2/2009. Regista: Philippe Claudel. Sceneggiatura: Philippe Claudel. Interpreti: Kristin Scott Thomas, Elsa Zylberstein, Serge Hazanavicius, Laurent Grévill, Frédéric Pierrot. 115 min. Francia. 2008. Giovani. (V)

Juliette si accinge ad uscire dal carcere dove ha scontato quindici lunghi anni. Fuori l’aspetta la sorella minore, Léa, che l’accoglie in casa, dove vive col marito Luc e due bimbe vietnamite adottate, oltre al suocero che ha perso la parola. La situazione non è facile, perché Juliette -rea confessa- ha commesso il più terribile degli assassini, senza averne mai parlato a nessuno.



Il ritorno alla normalità ha un suo prezzo. Non trova lavoro perché la fedina penale è eloquente. Inoltre Luc, pensando soprattutto alle figlie, ha paura di tenersela in casa. La ex-carcerata riceve però comprensione ed affetto, oltre che dalla sorella e dall'agente addetto alla libertà vigilata che ne segue il caso, da Michel, docente universitario e collega di Léa.

Esordio da regista riuscito, per il romanziere francese Philippe Claudel, già autore di alcune sceneggiature su schermo legate a questo film. Dimostra un grande dominio narrativo. Dosa saggiamente l’informazione sulle circostanze di cui dispongono i vari personaggi, tutti ben definiti, in carne ed ossa: dai protagonisti (le due sorelle, il marito di Léa, Michel, il poliziotto..), che vanno profilandosi in modo credibile, fino ai comprimari (ad esempio, il direttore dell’ospedale che pensa di assumere Juliette, senza azzardarsi a guardarla in faccia, quando dice cose senza senso.

Il film tocca molti argomenti, tutti molto saggiamente, senza facili moralismi. Anzi, invita a riflettere sul problema della sofferenza, sui diversi tipi di prigioni -fisiche o mentali-, sulla morte, la solitudine, l’incapacità di aprirsi all'altro, la fiducia, la famiglia come luogo di accoglienza, il senso di colpa, l’amarezza… Come si desume dalla tematica elencata e dalla trama, Claudel evita il rischio di facili derive drammatiche, restando molto equilibrato e sobrio, così da conferire più forza ai terribili fatti raccontati; inoltre, sa punteggiare la storia con qualche lieve tocco umoristico.

Nel cast, che recita in modo sensazionale, meritano menzione speciale le attrici che interpretano le due sorelle -Kristin Scott Thomas, che trasmette tristezza ad ogni fotogramma, ed Elsa Zylberstein- nonché gli attori Serge Hazanavicius e Laurent Grévill. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. V (ACEPRENSA)

Viaggio al centro della terra

14/2/2009. Regista: Eric Brevig. Sceneggiatura: Michael Weiss, Jennifer Flackett, Mark Levine. Interpreti: Brendan Fraser, Josh Hutcherson, Anita Briem, Seth Meyers, Jean-Michell Paré. 92 min. USA. 2008. Giovani

L’attuale ossessione di Hollywood per le nuove tecnologie tridimensionali sta generando film per famiglie, come questo, destinati alla proiezione in 3D, anche se nella maggioranza delle sale cinematografiche sarà visto in formato convenzionale. Si tratta di una nuova immersione nell’universo di Giulio Verne, riproponendone uno dei romanzi più popolari: Viaggio al centro della terra.




Il libro del profetico scrittore francese cambia la vita di Sean, ragazzo statunitense molto sveglio. Suo padre è scomparso misteriosamente, anni addietro, durante una spedizione scientifica in Islanda. Il volume della biblioteca del padre, che Sean sta leggendo, include strane annotazioni che spingono il ragazzo e il distratto zio Trevor -esperto di sismi ed estimatore di Verne- a un blitz in Islanda dove, assieme alla bella guida locale, rimangono intrappolati in una profonda fenditura vulcanica. Qui si imbattono in sorprendenti scoperte, non sempre gradite.

Il film di esordio da regista del prestigioso tecnico di effetti visivi Eric Brevig, ha saputo rispettare il tono positivo e colto di tutte le produzioni di Walden Media, risultando agile e divertente. Inoltre, il cast fa sul serio. Perciò umanizza lo sfoggio di trovate esplosive che il film propone, tra cui alcune davvero creative e brillanti. Nel complesso, però, il film denuncia una mancanza di profondità e progressione narrativa, risultandone infine un gigantesco videogioco, con continui cambi di schermo, dove importano più gli effetti speciali per la proiezione in 3D, che l’evoluzione drammatica e morale dei personaggi. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. (ACEPRENSA)

Frost/Nixon-Il duello

14/2/2009. Regista: Ron Howard. Sceneggiatura: Peter Morgan. Interpreti: Michael Sheen, Frank Langella, Kevin Bacon, Rebecca Hall, Toby Jones. 122 min. USA. 2008. Giovani. (D)

Lo sceneggiatore e autore teatrale Peter Morgan ama affrontare la vita di persone reali, come già in L’ultimo re di Scozia (il dittatore Idi Amin), The Queen (Elisabetta II e Tony Blair) e L’altra donna del re (Enrico VIII e le sorelle Bolena). Tutte storie in cui si trova un mix di autenticità e interesse drammatico. La fine di Nixon, nel 1974, per lo scandalo Watergate e le interviste televisive a David Frost tre anni dopo, gli sono servite d’ispirazione a un'opera teatrale -Frank Angella e Michael Sheen protagonisti- che ha riscosso grande successo sulle scene di Londra e Broadway. L’adattamento in celluloide -con gli stessi attori- è cinema politico di livello, anche se con inevitabili semplificazioni, sulla stessa linea di Good nigth, and good luck.

La trama viene esposta da Ron Howard (Cinderella man) quasi come su un incontro di pugilato. Sul ring televisivo ecco un Richard Nixon frustrato, dopo il ritiro dal potere e l'appannamento dei propri successi presidenziali a seguito del Watergate; ha bisogno di un'operazione di chirurgia estetica, davanti all’opinione pubblica, che spera di ottenere dall'intervista. E non da un intervistatore qualsiasi, bensì da un aspirante al titolo di super showman della TV, David Frost, reduce dai successi in Gran Bretagna e Australia. Anche se si tratta di un personaggio frivolo, come risaputo.

C’è un momento nel film dove si ha la sensazione di vedere al solito, con buoni attori e una stupenda ricostruzione dell’epoca, tutta l’atmosfera che Hollywood sa offrire alle tipiche mega-produzioni. Acuendo più il disagio provocato da Frost, piuttosto di quello dei difensori di Nixon, pur cercando l'equilibrio tra i due. L’ex-presidente non è naturalmente simpatico, dice parolacce, ammette pratiche non proprio adamantine. Ma ha avuto successo politico, ama il proprio paese, vanta convinzioni, è un avversario temibile. Frost appare audace, assumendosi la sfida di quell’intervista, ed è simpatico al pubblico. Tuttavia mette in mostra l’insicurezza del superficiale, avverte la sfiducia altrui, è mondano e non prepara le interviste con la professionalità che dovrebbe.

E all’improvviso…Ecco che arriva un colpo di scena elettrizzante, la parte migliore del film, che anticipa in modo magistrale i passaggi rivelatori delle interviste. Ne nasce un’imprevedibile intesa tra Nixon e Frost. Non sono poi così diversi, come poteva sembrare all'inizio. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. (ACEPRENSA)

Il curioso caso di Benjamin Button

14/2/2009. Regista: David Fincher. Sceneggiatura: Eric Roth. Interpreti: Brad Pitt, Cate Blanchett, Taraji P. Henson, Tilda Swinton, Julia Ormond, Eric West. 167 min. USA. 2008. Giovani-adulti. (SD)

Quasi novant'anni fa, F. Scott Fitzgerald scrisse una fantastoria che ha per protagonista Benjamin Button, l'uomo che un bel giorno, invece di invecchiare, prese a ringiovanire. Fitzgerald trasse l’idea del racconto da questa citazione di Mark Twain: “come sarebbe infinitamente più allegra la vita, se potessimo nascere ottantenni ed avviarci gradualmente verso i 18 anni”. La fantastica storia era già stato usata in diverse scenografie. Quella portata ora su grande schermo è opera di Eric Roth, veterano autore dei copioni di Forrest Gump, Insider o L’ombra del potere (The good sepherd), mentre la regia è di David Fincher. Dietro al film ci sono due grandi studi -Warner e Paramount- che si sono divise le spese (dicono oltre 250 milioni di dollari).




Il racconto di Fitzgerald è poco più di un divertissement, un capriccio, ma al contempo un gioiellino per concisione e per l'ironico sguardo su vita e morte. Non era semplice tradurlo in versione filmica, non solo per le difficoltà tecniche (risolte molto bene, anche se ad alto costo), ma anche perché -tra l’altro- lo spettatore sa quasi già come si snoderà la storia. Ciò malgrado, ci vorranno due ore e mezzo per arrivare alla fine. Il film parte bene, la prima ora è magnifica, tutto funziona come un orologio svizzero… Poi comincia a ripetersi, l’argomento sembra sempre più un teleromanzo, la voce in off comincia a infastidire, la verve della trovata fantasy va svanendo. Resta la voglia di veder ringiovanire Brad Pitt.

Il film aspira a 13 Oscar. Cifra eccessiva per un film ben realizzato, che sfoggia convincenti interpretazioni, un'attraente impostazione, riuscite riflessioni sul passar del tempo e lo snodarsi effimero della vita, ma estremamente ripetitivo e lungo. Ciò rivela un serio difetto di montaggio. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: S, D (ACEPRENSA)

Il dubbio

14/2/2009. Regista: John Patrick Shanley. Sceneggiatura: John Patrick Shanley. Interpreti: Meryl Streep, Philip Seymour Hoffman, Amy Adams, Viola Davis, Alice Drummon. 104 min. USA. 2008. Adulti.

Lo sceneggiatore e scrittore di New York John Patrick Shanley scrive e dirige Il dubbio, partendo dall'omonima pièce teatrale, vincitrice dei premi Pulitzer e Tony 2004. La trama si snoda a San Nicola, scuola cattolica del Bronx, quartiere dove è nato lo stesso cineasta. Una piccola comunità di suore dirige la scuola con un cappellano, il gioviale padre Flynn, interpretato in modo superbo da Philip Seymour Hoffman. La preside, Suor Aloysius (Meryl Streep) non va d’accordo col sacerdote, per lei troppo “moderno”. La pace si rompe quando suor Aloysius accusa il sacerdote di mantenere un rapporto illecito e immorale con un allievo negro. Sarà nell'innocente testimone Suor James (Amy Adams), che s’identificherà ben presto la coscienza dello spettatore.



Il film tocca tematiche note, come Quelle due di William Wyler (1962) o la più recente Espiazione di Joe Wright (2007): le conseguenze morali della calunnia, la diffamazione o la semplice mormorazione. Nel film, il conflitto acquista profili più problematici, perché in un contesto religioso. Ambientato deliberatamente negli anni del Vaticano II, il sacerdote rappresenta l’aria di novità, la ricerca di formule pastorali più vicine ai fedeli. Suor Aloysius incarna una visione molto più formalista e rigorista. Nel film vengono sottolineati a iosa la caratteristica rigidità e intransigenza di lei, mente il personaggio del sacerdote viene trattato con molta più generosità. Questa mancanza di equilibrio finisce per squilibrare il film.

Il film può funzionare solo grazie a una deliberata ambiguità idonea a inserire il dubbio anche nello spettatore, spinto a credere alla versione del sacerdote; ma solo perché è il personaggio più simpatico con cui identificarsi. Comunque, il personaggio più interessante è quello rappresentato da Suor James. Lei incarna l’innocenza, la giustizia e la misericordia. Il film, non a caso, finisce col canto dell’Ubi caritas: la carità resta al di sopra delle altre virtù.

Il regista insinua, in modo discreto, gli argomenti oggi a tema: Chiesa e omosessualità, pedofilia clericale, donna e gerarchia ecclesiastica; ma prende anche le distanze dalla demagogia e da certo manicheismo alla moda. Insomma, un film molto interessante. Se appare certamente teatrale e imperfetto, ha anche la grande virtù di non scadere nello scandalistico, facile epilogo per una tale vicenda. Juan Orellana. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti (ACEPRENSA)