A Christmas Carol

12/12/2009. Regista: Robert Zemeckis. Sceneggiatura: Robert Zemeckis. Doppiaggio originale: Jim Carrey, Colin Firth, Gary Oldman, Bob Hoskins, Robin Wright Penn. 96 min. USA. 2009. Tutti.

Di Christmas Carol, il popolare racconto di Charles Dickens, sono stati fatti decine di adattamenti in tutti i formati cinematografici e di televisione. Ora, la tradizione viene continuata dal regista americano Robert Zemeckis, che lo porta sul grande schermo attraverso le moderne tecniche di animazione motion capture, che lui stesso ha sviluppato in The Polar Express e Beowulf.



Ci ritroviamo ancora una volta nella Londra nel 1843, dove Ebenezer Scrooge, uomo cupo, solitario e avido, porta a spasso il suo egoismo. Soffrono della sua mancanza di solidarietà soprattutto il suo segretario Bob Cratchit – sofferto padre di famiglia numerosa, con un figlio disabile-, e il suo allegro nipote Fred. Ma l'avaro Scrooge reagisce soltanto quando una vigilia di Natale gli appare l'anima perduta del suo socio Marley -morto un anno prima-, che gli presenta i fantasmi del Natale passato, presente e futuro.

Il film allunga troppo il breve racconto di Dickens, cede subito all'istrionismo di Jim Carrey, ed a volte risulta molto fantasioso, altre convenzionale. In ogni caso, la sceneggiatura è fedele allo spirito della storia originale, in particolare nella sua lucida critica del materialismo e l’esaltazione emotiva della carità cristiana. Inoltre, il film risolve le sequenze oniriche e di ambientazione con grande spettacolarità, grazie al formato 3D stereoscopico. Viene fuori così una brillante produzione di carattere famigliare, molto adatta per queste date vicine a Natale. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

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The Twilight saga: New Moon

12/12/2009. Regista: Chris Weitz. Sceneggiatura: Melissa Rosenberg. Interpreti: Kristen Stewart, Robert Pattinson, Taylor Lautner, Ashley Greene, Peter Facinelli, Elizabeth Reaser, Dakota Fanning. 135 min. USA. 2009. Giovani. (S)

Stephenie Meyer, come J.K. Rowling, ha ricordato ai genitori, agli insegnanti e agli editori che ai giovani può piacere leggere, ma bisogna trovare il prodotto giusto. La sua saga di vampiri ha il linguaggio di un’adolescente, una struttura classica, tutti gli elementi dei romanzi d'avventura, e un fondo di buone intenzioni. L'adattamento per il grande schermo ha provocato grande entusiasmo, e i fans di Twilight, malgrado le loro numerose obiezioni, hanno finito per dare il via libera. La seconda puntata degli amori di Bella Swann e del suo fidanzato Edward Cullen era attesa senza remore.



La storia comincia dove finiva Twilight. Bella Swann rimane profondamente innamorata dell’attraente vampiro e vuole entrare nel clan per restare sempre accanto a lui. Naturalmente, Edward si rifiuta. La situazione diventa insostenibile: insieme ai Cullen, Bella è in pericolo, come viene evidenziato da un piccolo incidente durante una festa. Per proteggerla, Edward decide di allontanarsi della sua vita. Bella, triste e sola, trova conforto nel suo vecchio amico indiano Jacob Black, il che darà il via a nuove avventure.

Ci sono poche variazioni rispetto alla prima puntata e il tema di fondo resta immutato: il vero amore richiede sacrificio e rinuncia. I produttori mantengono lo stesso tono e quasi non si nota che è cambiato il regista. Chris Weitz (About a Boy-Un ragazzo) segue le orme di Catherine Hardwicke; tutti vogliono tradurre fedelmente i romanzi di Stephenie Meyer -sempre presente sul set-, il che non è certamente una cattiva idea, visto il successo di Twilight.

Questo film ha più azione di quello precedente e una trama più complessa: per molti, è il miglior romanzo della saga. Ora sono due i pretendenti in lizza per l'amore della dama, e due stirpi che si confrontano. L'atmosfera migliora, e ha un delizioso tocco surreale, al quale contribuiscono il direttore della fotografia, lo spagnolo Javier Aguirresarobe, e la musica di Alexandre Desplat. Per i fan della saga. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

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2012

12/12/2009. Regista: Roland Emmerich. Sceneggiatura: Roland Emmerich, Harald Kloser. Interpreti: John Cusack, Chiwetel Ejiofor, Amanda Peet, Oliver Platt, Thandie Newton. 158 min. USA, Canada. 2009. Giovani.

Un particolare allineamento di pianeti in cielo porta ad un aumento dell'attività solare e, quindi, la Terra ha i giorni contati: il 21 dicembre 2012 sarà il giorno del Giudizio. Alcuni pochi scienziati hanno capito e hanno avvisato le autorità. I governi leader del mondo si uniscono nel tentativo di far sì che la razza umana sopravviva al disastro.



2012 viene dalla fantasia di Roland Emmerich, autore di Independence Day e The Day After Tomorrow, avventure nelle quali è stato sul punto di distruggere il pianeta, e con le quali 2012 ha molte somiglianze. Ora, se in quei film un pugno di eroi salvava il nostro pianeta e l'umanità, questa volta ciò non è possibile: il calendario Maya, da cui deriva il titolo, finisce il 21 dicembre 2012. Non è un caso che in questo periodo siano apparsi numerosi titoli e film catastrofici come la pretenziosa Segnali dal futuro, di Alex Proyas, interpretato da Nicolas Cage.

In 2012 Emmerich non inganna nessuno e non delude nessuno; offre ciò che è e ciò che ha, vale a dire la sua passione per i film di genere, insieme a una gran cultura cinematografica, molto mestiere, e potenza visiva. Dal primo momento, lo spettatore sa esattamente che cosa accadrà e come accadrà, ma comunque segue il film con interesse per ben due ore e mezzo. Il peso della narrazione ricade su due personaggi, quello di John Cusack, un genitore che vuole riconquistare l'amore della moglie e dei figli, e quello di Chiwetel Ejiofor, consulente scientifico della Casa Bianca, circondati da una squadra di ottimi attori veterani. Le loro storie si intersecano e si separano, ad un ritmo sempre più intenso, in una cascata continua di sentimenti, umorismo e azione. Non importa che la sceneggiatura sia incredibile -questo è un punto di partenza-: importa la messa in scena, lo spettacolo, l’ingenuità delle impostazioni, e il fondo positivo che ha il film: famiglia, pietà, bontà e dedizione.

Una cascata di effetti speciali ben fatti, di strizzatine di occhio a quasi tutto il cinema catastrofico precedente, e un lieto fine godibile da tutta la famiglia, a patto di sospendere lo spirito critico e di prepararsi, come un bambino, a mangiare popcorn . Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

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Planet 51

12/12/2009. Regista: Javier Abad, Jorge Blanco, Marcos Martínez. Sceneggiatura: Joe Stillman. Animazione. 90 min. Spagna, GB, USA. 2009. Tutti.

Il film più costoso nella storia del cinema spagnolo è una piacevole sorpresa. Lo dico fin dall'inizio: mi piace molto Planet 51. Ovviamente, un film così costoso, che ha come sceneggiatore lo scrittore americano Joe Stillman (co-autore delle sceneggiature per i due Shrek) deve essere considerato come un film di serie A, e come tale deve essere giudicato.



Non voglio raccontare molto della trama del film, perché la sua bellezza sta soprattutto nell'originalità dell’approccio, a partire dall'arrivo di un’astronave americana al Pianeta 51, mai calpestato prima da essere umano.

Credo che la sceneggiatura di Stillman abbia il bello di Shrek, col vantaggio di evitare le barzellette oscene, le continuane strizzatine d'occhio allo spettatore adulto non troppo sottile, e le stanche parodie di tante storie e filmati precedenti. Come si può intuire, Shrek non mi entusiasma.

Dal punto di vista della realizzazione, Planet 51 è molto ben realizzato, con un’animazione di buona qualità, anche se ovviamente non raggiunge il livello di Pixar. Il film ha ritmo, simpatia, e dei personaggi divertenti e accattivanti. Si può criticare il fatto che la trama contiene alcuni elementi convenzionali, ma penso che questo sia compensato da una vitalità nei personaggi e nelle loro avventure mai finora raggiunta nel cinema spagnolo d'animazione; tutto ciò, confrontato con i film americani di bilancio simile, lascia Planet 51 nella parte alta della classifica.

In breve: un film notevole, molto divertente, perfettamente vendibile sul mercato internazionale, cui è destinato (il doppiaggio originale è in lingua inglese). Alberto Fijo. ACEPRENSA.

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Il mio amico Eric

12/12/2009. Regista: Ken Loach. Sceneggiatura: Paul Laverty. Interpreti: Steve Evets, Eric Cantona, Stephanie Bishop, Gerard Kearns, Stefan Gumbs. 116 min. GB, Francia, Italia, Spagna. 2009. Giovani-adulti. (SD)

Simpatico film di Loach con il suo abituale sceneggiatore Paul Laverty. La vicenda si occupa di Eric, un postino un po’ depresso: la sua seconda moglie lo ha lasciato, e i suoi due figliastri sono degli irresponsabili che lo mettono nei guai. Inoltre, la figlia che aveva dal suo primo matrimonio gli chiede di occuparsi del suo neonato, cosa che favorisce il ricongiungimento con la moglie iniziale, Lily, che Eric aveva abbandonato in un attacco di panico. Ora ha soltanto il sostegno dei suoi colleghi postini, dei veri amici ... e del calciatore Eric Cantona, che, come un amico immaginario, gli fornisce dei consigli per raddrizzare la sua vita.



È una novità che Loach inserisca un elemento magico nel suo cinema. Perché Eric Cantona, interpretato da lui stesso, diventa una sorte di angelo custode, con funzione simile a quello del classico La vita è meravigliosa. Il calcio diventa una metafora di come Eric deve affrontare i suoi problemi; in questa chiave è importante l’affermazione del giocatore, quando afferma che il momento di cui va più orgoglioso nella sua carriera sportiva è quando ha realizzato un assist.

Il regista e lo sceneggiatore non rinunciano al realismo e naturalismo tipici dei loro film, soprattutto nelle conversazioni tra i postini. Forse le due storie principali –la seconda opportunità matrimoniale e i problemi dei figliastri con alcuni prepotenti- non si armonizzano fino in fondo, ma la presenza di Cantona è un ponte che maschera il problema.

Il finale, anche se a livello di commedia leggera, ha la sua bellezza, fa sorridere amabilmente e risulta ottimista. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: S, D (ACEPRENSA)

Nemico pubblico -Public enemies

14/11/2009. Regista: Michael Mann. Sceneggiatura: Ronan Bennet, Michael Mann, Ann Biderman, dal romanzo di Bryan Burrough. Interpreti: Johnny Depp, Christian Bale, Marion Cotillard, Billy Crudup, Stephen Dorff, Stephen Lang. 143 min. USA. 2009. Adulti. (VXD)

Nel luglio 1934, durante la Grande Depressione, il popolare bandito John Dillinger evade dal carcere, iniziando una audace serie di rapine alle banche, soprattutto a Chicago e dintorni. Due fatti complicheranno la sua rischiosa vicenda: il primo: che si innamora di Billie Frechette, una ragazza che lavora da guardarobiera; il secondo: che al comando della squadra di polizia, mobilitata sulle sue tracce, si trova l’agente federale Melvin Purvis, tiratore scelto, meticoloso e senza troppi scrupoli. È proprio grazie a questo super-poliziotto che il temuto J. Edgar Hoover inizia a trasformare il suo Bureau of Investigation, in quello che più tardi diverrà il celebre FBI.



Delude un po’ questo irregolare, violento e agiografico ritratto di John Dillinger, vicino nell'impostazione a Bonny&Clyde e Gli Intoccabili, ma meno riuscito. Da un lato, la sceneggiatura prende troppo le parti del fuorilegge -presentato come novello Robin Hood, in guerra contro banche corrotte- e critica ad oltranza la polizia, che sembra aver assimilato, senza problema morale di sorta, il principio “il fine giustifica i mezzi”. Ed anche i più brutali.

D’altra parte, la fin troppo coinvolgente messa in scena di Michael Mann (Heat, Alì, Collateral) -in qualità digitale e con un frequente ricorso a riprese da cinepresa a mano- finisce per esaurire lo spettatore e saturarlo del clima degli anni '30 del Novecento. Gli attori sono bravi, ma non riescono a liberare i loro personaggi dalle maschere archetipe, assegnate loro dal copione. Mann presenta tuttavia diverse sparatorie brillanti, con alcune sequenze di alta intensità emotiva. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, X, D (ACEPRENSA)

Un alibi perfetto

14/11/2009. Regista: Peter Hyams. Sceneggiatura: Peter Hyams, Douglas Morrow. Interpreti: Michael Douglas, Amber Tamblyn, Jesse Metclafe, Calvin Payton, John MacCarthy. 110 min. USA. 2009. Adulti. (X)

Nel 1956, quel maestro di Fritz Lang diresse due thriller interpretati da un'eccellente Dana Andrews, dove il regista di M diede un'ulteriore dimostrazione del suo talento, questa volta con budget molto modesto, per la sigla RKO, con l’incipiente televisione facendo una concorrenza tremenda al cinema.

Sono state le ultime opere del fecondo periodo trascorso da Lang negli States (1939-1956), caratterizzato da una comprensione intelligente di due generi così tipici della Hollywood anni '40: il noir e il dramma passionale. La prima di queste opere ha per titolo Quando la città dorme. Della seconda, L’alibi era perfetto, esce adesso una nuova versione, a cura di un regista veterano, ma per ora, mai andato oltre la sufficienza: Peter Hyams (Relic –L’evoluzione del terrore).

La storia (un giornalista che tende una tranello ad un pubblico ministero, per mostrare a tutti che si tratta di un prevaricatore) è bella, ma la sceneggiatura troppo schematica dello stesso Hyams, non diffonde a dovere la tensione. La regia appare assai trascurata, tutto al contrario del film originale. In questo senso, non mancano scene girate in ambienti dalle tinte così fosche, che appare arduo motivare.

Il cast lavora molto bene (specialmente la giovane Amber Tamblyn), ma il regista non sa che pesci pigliare. Spreca così l'interpretazione di un grande Michael Douglas, che affronta con professionalità uno de quei ruoli da malvagi mefistofelici, che sono il suo forte. Poco altro resta da dire su questo remake, che presentiamo solo perché ci offre l'estro di ricordare con forza il film di Lang, interpretato -oltre che da Dana Andrews- dalla grande Joan Fontaine. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: X (ACEPRENSA)

Julie&Julia

14/11/2009. Regista: Nora Ephron. Sceneggiatura: Nora Ephron. Interpreti: Meryl Streep, Amy Adams, Stanley Tucci. 123 min. USA. 2009. Giovani-adulti. (SD)

La storia è tratta da due libri: uno scritto da Julia Child (1912-2004), chef statunitense che -dopo aver studiato cucina francese a Parigi ed aver pubblicato un celebre libro di ricette nel 1961- si è trasformata in una popolare protagonista della tv; l’altro libro è opera di Julie Powell, nata nel 1973 in Texas e trasferitasi a New York dal 2002, che inizia a scrivere un blog -poi trasformato in libro di successo- su esperienze culinarie utilizzando le ricette del libro di Julia Child.




La regista Nora Ephron (C’è post@ per te, Insonnia d’amore) ha potuto far leva su due attrici sensazionali, ma il modo di inserirle nella trama delle vite delle due donne, che hanno quasi cinquant'anni di differenza, non regge molto. D’altra parte, se il personaggio di Streep è decisamente sovraeccitato (grida, troppa gestualità e mosse, alcune volgarità difficili da capire), quello di Amy Adams appare insipido (pur essendo bravissima attrice, il personaggio risulta incolore, quasi piatto). Anche Stanley Tucci è un superbo attore, ma il personaggio che interpreta, un diplomatico, non è ben costruito. Anzi, propende alla farsa.

Malgrado l’ambientazione eccellente e la regia curata, Ephron non capta -neanche a farlo apposta- l’anima della storia. E cioè: la cucina è arte e cultura, ed è capace di mettere in gioco tutta la persona, fino a renderla capace di una forma di amore oblativo: donarsi agli altri.

È facile immaginare che questa storia, nelle mani di un regista più autorevole, avrebbe dato vita ad un grande film. Ciò che resta è simpatico e divertente, ma talvolta reiterativo, sentimentale e banale. In materia di cucina, i capolavori sono sempre quelli: un magistrale Il pranzo di Babette e l’incantevole Ricette d’amore. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: S, D (ACEPRENSA)

Gli abbracci spezzati

14/11/2009. Regista: Pedro Almodóvar. Sceneggiatura: Pedro Almodóvar. Interpreti: Lluís Homar, Penélope Cruz, Blanca Portillo, José Luis Gómez, Rubén Ochandiano, Tamar Novas. Spagna. 2009. Adulti. (XD)

Il diciassettesimo film di Pedro Almodóvar è anche il più costoso: dodici milioni di euro. Per girarlo, ha impiegato quindici settimane di riprese, tra Madrid e le Canarie. Malgrado questo dispendio di mezzi, non ci pare il suo miglior film, anche se resta pregevole.

La storia percorre due periodi diversi della vita di Mateo Blanco, regista di cinema: il presente attuale e gli anni Novanta. Adesso è un uomo cieco, che scrive sceneggiature sotto lo pseudonimo di Harry Caine; in passato, era un regista capace di girare una bella commedia, interpretata dall’amore della sua vita, l’attrice e prostituta occasionale Lena. Sempre accanto al protagonista c'è Judith, direttrice di produzione, nonché suo indispensabile angelo custode. Come antagonista, Ernesto Martel, un imprenditore che fa il produttore e che ama la stessa donna del regista: l’affascinante e fatale Lena. Intorno a questo conflitto di passioni, Almodóvar ha tessuto un insieme di disamori, gelosie, segreti, rancori, che sfociano in una tragedia non impermeabile alla speranza.

Almodóvar, abbandonando il tradizionale disinteresse per i personaggi maschili, affronta ora una storia che, proprio dai ruoli virili, trae gran parte della sua forza drammatica. Come sempre si verifica nei film del regista iberico, esistono diversi livelli di lettura o nuclei, intorno ai quali girano le trame. Uno di questi, forse il principale, è metalinguistico: il cinema, inteso come catarsi o redenzione. Il personaggio di Mateo, cieco e depresso per il tragico passato, trova nella creazione cinematografica -specialmente nella sala di montaggio- la possibilità di chiudere ferite ancora aperte, superando le precedenti sventure: “Anche se io non ci vedo, i film devono essere ben rifiniti”, dice il protagonista. Inoltre, Almodóvar allude a sé stesso, nella commedia spropositata che lo ha reso famoso e che appare nel finale, quando vediamo qual è il film, girato proprio da Mateo. Per molti spettatori questo costituirà, senza dubbio, il pregio migliore di Abbracci spezzati.
D’altra parte, Almodóvar torna a toccare la questione dell'assenza del padre. Il momento più duro del film è quando ci mostra il padre di Lena, malato di cancro terminale. Ma la ricerca inconclusa del padre, in Tutto su mia madre, culmina qui con successo, ricomponendo un vincolo tra padre e figlio, anche se manca sempre un riferimento di famiglia valido. Come al solito, i personaggi di Almodóvar sono celibi o divorziati, dai rapporti atipici (in questo caso, per esempio, Judit racconta di aver avuto un amante gay; Mateo va a letto con una donna, solo perché lo ha aiutato ad attraversare la strada; o il figlio di Martel, innamorato di quel Mateo che, tra l'altro, ha il doppio della sua età).

Il tema caro al regista, dell’amore e del desiderio, torna qui a ripresentarsi. Vi si declinano diversi tipi di amore: il possessivo, malaticcio e distruttivo, incarnato da Martel; l’amore della madre celibe -cioè, l’amore che si mantiene in un'intimità esclusiva, non condiviso-, da sempre l’amore preferito da Almodóvar; il più durevole, nel film rappresentato da Judith, e l’amore passionale, che unisce Mateo a Lena e che rappresenta l’oggetto del desiderio. Lena ricorda molti personaggi di film, alla stregua di quello incarnato dalla stessa Penélope Cruz in Lezioni di amore, o di tante donne che si dibattono tra l’amore ossessivo di un uomo potente e l’amore sincero di un perdente (Moulin Roge, Titanic, La niña dei tuoi sogni).

Un tema che non era stato mai troppo presente nel cinema di Almodóvar, accennato per la prima volta in Volver (Tornare) e che adesso prende forza, è quello della coscienza della colpa. Come per il Woody Allen arrivato alla maturità, compare nel cinema del regista iberico il peso del male, dominante nella coscienza del presente. Judith è schiacciata da un segreto colpevole, e in minor misura, anche il figlio di Martel. Ma gli offesi sanno perdonare e, in tal senso il tono del film, malgrado le sue tinte tragiche, non è negativo, né carico di rancore verso la vita. L’ultima parola c’è l’ha, in certo qual modo, la gioia di essere vivi e il superamento degli errori del passato.

La recitazione è buona. Sorprende un Lluis Homar, che sembra da sempre un “attore di Almodóvar”. Penelope recita molto bene ed è oggetto delle più raffinate attenzioni, da parte della fotografia, dei costumi e del maquillage. Sono davvero bravi anche Blanca Portillo e José Luis Gómez, così come i giovani Ruben Ochandiano e Tamar Novas.

Ciò malgrado, si resta davanti ad un film minore di Almodóvar, meno ricco nello sviluppo degli argomenti, più irregolare nel ritmo e nella forza della messa in scena, nonché molto più erratico nelle proposte, meno forti e nitide che nei precedenti. Da Gli abbracci spezzati emerge puntualmente la lucidità dell'autore, ma questo non basta a far fluire il film attraverso i canali di quel talento, che pure il regista iberico ha dimostrato talvolta di possedere. Juan Orellana. ACEPRENSA.


Pubblico: Adulti X, D (ACEPRENSA)

Up

24/10/2009. Regista: Bob Peterson, Pete Docter. Sceneggiatura: Pete Docter, Bob Peterson, Thomas McCarthy. Animazione. 96 min. USA. 2009. Tutti.

Da quando è rimasto vedovo, l’anziano Carl Fredericksen sopporta con maggior difficoltà gli acciacchi dell'età. Molto innamorato dalla defunta moglie Ellie, gli duole di non aver adempiuto il comune sogno d’infanzia: un viaggio pieno d'avventure. Adesso, questo sogno sembra ormai tramontato. Per di più, la bella casetta che era il loro focolare, è adesso un isolotto circondato da gru, che innalzano imponenti grattacieli. Quando, per ordine del giudice, Carl sta per essere internato in un ospizio per anziani, ecco che organizza un piano incredibile: con una nuvola di palloncini sradica la propria casa dalle fondamenta di cemento e intraprende un volo verso il Sudamerica. Non sa però, che a bordo c'è un clandestino: Russell, un ragazzino boy-scout.




La chiave di questo gioiello di cartone animato della Pixar è data dalla qualità della storia e dal senso artistico dell’animazione. Ai due veterani della Pixar, Pete Docter e Bob Peterson, si aggiunge un terzo protagonista a sorpresa: l’attore e regista Thomas McCarthy (The Station Agent, L’ospite inatteso). Il risultato è un film autentico e profondo, che dà vita alla prima storia d’amore significativa, per i film della Pixar. C’era amore tra i robot, tra le auto di Cars, o tra lo sguattero e la cuoca di Ratatouille, ma niente di paragonabile all’amore di Carl ed Ellie. Come viene raccontata, quasi senza parole, la loro vita in comune, il dolore di non aver potuto avere figli, la felicità nelle situazioni ordinarie e l’eco nel situare lo spettatore nella vicenda… tutto risulta commovente, a sostegno dell’idea che non c’è niente di paragonabile alle avventure della vita quotidiana, spesso più preziose di quelle di solito definite: “straordinarie”. Inoltre, c’è il rapporto tra Carl e Russell, capace di arricchire entrambi, perché il primo trova quel figlio che mai aveva potuto avere, mentre l’altro vede estinguersi il vuoto affettivo lasciato dal padre divorziato.

Inoltre, c’è molto senso dello humour, un ritmo di azione coinvolgente ed emozioni senza limiti, tutto favorito dalla casa volante e da un dirigibile, chiara allusione al film di Hayao Miyazaki: Il castello errante di Howl. Anche l’originale disegno dei personaggi -dalla testa grande-, ricorda alcuni personaggi creati dal regista giapponese. La sapiente combinazione di vari elementi orienta il film a soddisfare ogni genere di pubblico: bambini, giovani in cerca di emozioni forti, nonni, genitori. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Tutti. Contenuti: --- (ACEPRENSA)

Bastardi senza gloria

24/10/2009. Regista: Quentin Tarantino. Sceneggiatura: Quentin Tarantino. Interpreti: Brad Pitt, Diane Kruger, Mélanie Laurent, Christoph Waltz, Michael Fassbender, Daniel Brühl. 153 min. USA. 2009. Adulti. (VXD)

Con un cocktail di cinefilia, dialoghi scintillanti, violenza brutale e humour macabro, a Quentin Tarantino è riuscito a girare un film capolavoro, -Pulp Fiction-, ed anche alcune scene memorabili in Le iene – Cani da rapina, Jackie Brown, la saga Kill Bill… Il cineasta di Tennessee ha clamorosamente fallito soltanto in A prova di morte, sanguinoso festival di squartamenti e scemenze assortite. Eccolo ora riprendere il suo standard con Bastardi senza gloria, squilibrata ma divertente commedia bellica dagli echi classici, sulla scorta di film come Quella sporca dozzina (Robert Aldrich, 1967) o I guerrieri (Brian G. Hutton, 1970).




A partire dalla splendida sequenza iniziale -tributo ai western-spaghetti di Leone e Castellari-, il copione e la cinepresa rimangono catturati dal ruolo del “cattivo”: il colonnello Hans Landa, nazista intelligente e machiavellico, chiamato “l’ammazza-ebrei” nella Francia occupata: ci troviamo nel 1940. Mentre Landa ne massacra la famiglia, la giovane Shosanna Dreyfus -sfuggita per il rotto della cuffia- si stabilisce a Parigi, dove dirige una vecchia sala da cinema. La vendetta unirà i destini della giovane e del commando di ebrei statunitensi, specializzata nell'eliminare nazisti, senza pietà.

Di nuovo, Tarantino calca la mano in una rapida sequenza erotica e in alcune brutalità, che obbliga il normale spettatore a distogliere lo sguardo dallo schermo. Ma si tratta di sequenze istantanee, rese più soft da un grottesco senso dello humour. D’altra parte il film, piuttosto leggero e superficiale, perde continuità per il carattere episodico della sceneggiatura e il dilungarsi di alcune scene poco significative, che Tarantino avrebbe dovuto tagliare nel montaggio.

Ma al di là dei difetti fin qui denunciati, s’impone il sensazionale lavoro di tutti gli attori, specialmente di un divertente Brad Pitt e dell'austriaco Christoph Waltz, giustamente premiato al Festival di Cannes 2009. Questa potenza di recitazione degli attori si apprezza specialmente in alcune sequenze memorabili, dove Tarantino si conferma maestro del suspense, della commedia e della messa in scena. Sotto questi aspetti, confeziona un prodotto di alta qualità, con misurata combinazione di pianificazione e montaggio. Una vera rarità, tra i registi della sua generazione. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, X, D (ACEPRENSA)

Basta che funzioni

24/10/2009. Regista: Woody Allen. Sceneggiatura: Woody Allen. Interpreti: Ed Begley Jr., Patricia Clarkson, Larry David, Conleth Hill, Michael McKean, Evan Rachel Wood. 92 min. USA. 2009. Adulti. (D)

Boris, un tipo già un po' avanti negli anni, professore di fisica in pensione, a suo tempo potenziale premio Nobel, divorziato, suicida mancato, è dotato di incredibile loquela nell'esprimere la propria visione disincantata della vita. Per lui, la stragrande maggioranza degli esseri umani sono semplici vermi, molto al disotto del proprio livello. Una notte aiuta Melodie, una ragazzina del Sud degli Stati Uniti, fuggita dalla famiglia tradizionalista ed arrivata a New York. La ragazza si stabilisce in casa di lui, anche se Boris -sulle prime- la guarda dall’alto in basso, la trova poco carina e non troppo intelligente. Ma durante la convivenza, nasce una storia sentimentale tra loro che cresce fino ad arrivare ad un legame sempre più stabile e serio. Un giorno, inaspettatamente, irrompe nel loro ménage la madre di lei.




Il Woody Allen di sempre. Buon narratore di storie, abile in alcuni trovate -il protagonista che parla davanti alla cinepresa in alcuni momenti, sia all’inizio che nel finale-, divertente… ma anche cinico e senza speranza, fluttuante tra l’amore e il disamore, la felicità e l’infelicità, il senso della vita e la religione. Se qualcosa cambia nello sguardo di Allen è l'incipiente vecchiaia del protagonista: Boris, interpretato da Larry David, comico affermatosi a partire da Sitcom Seinfeld, che qui diventa l’alter ego di Woody Allen, con innegabili parallelismi autobiografici.

Uno psicoanalista potrebbe parlare di narcisismo e di tentativi di alibi, da parte di Allen, per giustificare la propria condotta reale, al momento di fare un bilancio nell'autunno della propria vita. E cerca di trarsi d'impaccio con la massima da cui trae il titolo il film e che il protagonista ripete in continuazione: “basta che funzioni”… Altrimenti detto: qualsiasi decisione si prenda in questa vita può definirsi corretta, nella misura in cui consenta di raggiungere una certa tranquillità, pace, equilibrio… anche se niente garantisce che i rapporti o gli impegni nati da tale decisione dureranno in eterno. Perciò Allen si diverte a rigirare le vite dei diversi protagonisti del film, per prendere in giro il razionalismo di Boris, sfociando infine nell'irrazionalità del mero caso.

Comunque sia, è significativo che -pur di rompere gli schemi- il suo “basta che funzioni” sembra adattarsi anche ad un rapporto omosessuale e ad un ménage-a-trois, negandone peraltro l'applicabilità al cristianesimo conservatore dei personaggi originari del Sud degli States, che Allen mette in ridicolo, dipingendoli come gente arretrata, ferma ad uno stadio mentale infantile e frustrante. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: D (ACEPRENSA)

G-Force: superspie in missione

24/10/2009. Regista: Hoyt Yeatman. Sceneggiatura: Cormac Wibberley, Marianne Wibberley, Ted Elliott, Terry Rossio, Tim Firth. 88 min. USA. 2009. Tutti.

G-Force rappresenta una simpatica parodia dei film d'azione, che racconta la storia della singolare squadra di agenti segreti, composta da tre porcellini d’India e una talpa. L’azione inizia quando il celebrato FBI è in procinto di sopprimere questa unità speciale; e proprio nel momento in cui i suoi componenti sono gli unici a sapere che c’è un piano diabolico per distruggere il mondo.



Non è il miglior film di Disney, né la miglior produzione di Bruckheimer. Si tratta solo di una farsa, amabile e familiare, destinata ai bambini. La trama s’ispira e allude ad altre note pellicole, come Alvin, Bolt o Transformers; vanta vari effetti speciali e moltissima azione, che non deluderanno certo i più piccini, ed include l’abituale messaggio di cameratismo, di slancio nel superare i propri limiti, e di fiducia in se stessi.

A parziale riscatto della scarsa originalità, risulta molto accurata la rifinitura tecnica ed il fatto che il film sia stato girato in 3D, con molti inseguimenti, voli, colpi di scena e capitomboli. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Tutti (ACEPRENSA)

Pelham 1-2-3: ostaggi in metropolitana

26/9/2009. Regista: Tony Scott. Sceneggiatura: Brain Helgeland, tratto dal romanzo di John Godey. Interpreti: Denzel Washington, John Travolta, John Turturro, James Gandolfini, Luis Guzmán, Jason Butler Harner. 121 min. USA. 2009. Giovani-adulti. (VD)

Il convoglio della metropolitana di New York, che parte da Pelham alle 1.23, viene sequestrato. I criminali esigono 10 milioni di dollari, che devono essere loro consegnati entro un'ora, oppure uccideranno un ostaggio per ogni minuto di ritardo.



Credo che la nuova versione del romanzo di John Godey non deluderà neanche coloro che hanno visto il film precedente, girato da Joseph Sargent nel 1974, assai più aderente al romanzo. Questo adattamento è stato ripensato per una New York molto cambiata, a 35 anni dalla prima pellicola. I film catastrofici si concludono ora con finali felici, e gli eventi apocalittici si vedono come perfettamente realizzabili. Anche adesso.

Così, davanti alla notizia del sequestro, la domanda che si pongono le autorità e la stampa non è più “Come è stato possibile?” Ma invece: “Saranno terroristi?”. L’enigma resta quello di sempre: come i sequestratori possano pensare di uscire dalla metropolitana, facendola franca. E su questo punto, bisogna ammettere che il film è stato ripensato in modo impareggiabile: la recente tecnologia rende ora più difficile non solo il compito della polizia, ma anche quello dei criminali. Lo sceneggiatore, Brian Helgeland (L.A. confidential, Mystic River), ha fatto un lavoro di grande spessore. Per di più, ha introdotto un paio di temi morali interessanti: i limiti della corruzione e la possibilità di redimersi.

Il cattivo alla guida della banda dei sequestratori è John Travolta, che crea un personaggio moderno e caratterizzato: da manuale. Il personaggio di contrasto è Denzel Washington, che interpreta un dirigente della società di trasporti. Il film è incentrato su loro due, al novanta per cento; mentre il restante dieci per centro spetta agli SWAT, le scene di azione e gli effetti speciali. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: V, D (ACEPRENSA)

Drag me to hell

26/9/2009. Regista: Sam Raimi. Sceneggiatura: Sam Raimi, Ivan Raimi. Interpreti: Alison Lohman, Justin Long, Adriana Barraza, Lorna Raver, Dileep Rao. 99 min. USA. 2009. Giovani (V).

Nessun è obbligato ad amare i film horror, nel cui genere rientrano comunque maestri, artigiani e principianti. Sam Raimi può esservi catalogato come maestro. Drag Me to Hell è un ritorno alle origini di questo regista cinquantenne, che da troppo tempo latitava dal genere che gli aveva garantito la celebrità (Evil dead).



Drag Me to Hell è un film meravigliosamente accademico e denota tutto il savoir faire di Raimi: come sceneggiatore, come regista e come esperto. Il prologo, raccapricciante e breve, introduce al tema. Poi, con sorprendente facilità, ecco in rassegna tutti i personaggi del dramma: da una parte Cristina, affascinante impiegata di banca; a seguire, Clay, il fidanzato perfetto di lei, ricco e scettico, ma disposto a tutto, per l'amata; infine, in ufficio, l'amabile capo e l’arrampicatore sociale, rivale e nemico di Cristina.

Raimi s’ispira al maestro Tourneur, non soltanto nell’arte dell'allusione -più che il far vedere-, o nell’elaborazione di atmosfere inquietanti, ma soprattutto per la trama, che sembra uscire direttamente dal sensazionale romanzo La notte del demonio, dove un uomo maledetto ha tre giorni di tempo per sfatare l’oggetto che lo trasforma nel bersaglio dell’ira e della persecuzione di un demonio; inoltre, come nel prototipo, vi ha luogo un’interessante discussione sulla fede nelle cose spirituali, con tanto di morale della storia. A differenza di Tourneur, Raimi vi appare come simpatico mascalzone ed i suoi film horror spaventano, ma anche fanno ridere. Raimi sembra divertirsi un mondo, nel gusto per la presa in giro macabra, miscelando sottili e inquietanti accenni al sopranaturale, a forza di colpi d’ascia, bagni di sangue o bave che scendono giù dai posti più inverosimili. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V (ACEPRENSA)

Il mistero della pietra magica

26/9/2009. Regista: Robert Rodriguez. Sceneggiatura: Robert Rodriguez. Interpreti: Jimmy Bennett, Kat Dennings, Trevor Gagnon, Rebel Rodriguez, Jake Short. 89 min. USA. 2009. Tutti.

Ci troviamo in un quartiere residenziale di lusso, nel Texas, dove tutti e tutte le cose sono proprietà della società del cattivo Carbon Black. Toby non ha amici, e ogni giorno a scuola è tormentato dai perversi figli di Black. Ma un giorno, per caso, cade nelle sue mani una pietra magica multicolore…



Robert Rodriguez, autore della trilogia Spy Kids, torna con un’altra avventura di bambini, per bambini. Il quarantunenne regista texano sembra ammonire a fare attenzione, quando si desidera qualcosa. Rodriguez parla di famiglia, comunicazione, ambizioni ed amici. Torna a impersonare il regista tuttofare: sceneggiatore, produttore, responsabile di fotografia, montatore, autore della colonna sonora e… se non bastasse, eccolo coinvolgere -ancora una volta-, nel progetto, vari membri della sua famiglia. Il risultato è una delirante e talvolta confusa esplosione d’immagini, suoni e idee, che volano a tutta velocità attraverso lo schermo. È un Rodriguez all'ennesima potenza, carico di valori, barocco, deliberatamente imperfetto, intriso di assurdità, tocchi di genialità, ma infine molto divertente. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Tutti. (ACEPRENSA)

Le avventure del topino Desperaux

26/9/2009. Regista: Rob Stevenhagen, Sam Fell. Sceneggiatura: Gary Ross. Animazione. 93 min. GB, USA. 2008. Tutti.

L’idillica felicità del regno di Doremi, il paradiso della zuppa, viene infranta quando un topo pirata, chiamato Roscuro, provoca -senza volerlo- la morte della regina. Ed è allora che il re espelle dal regno tutti i roditori, proibisce la zuppa e nella propria tristezza ottiene di sprofondare nella melanconia anche la bella figlia. Ma poi nasce Despereaux, curioso e temerario topolino, minuto ma dalle immense orecchie, incapace di aver paura, e che sogna di poter lottare come un cavaliere di ventura. L’opportunità arriva quando la principessa si ritrova vittima di un intrigo, nel quale sono implicati il topo Roscuro e una domestica.



Sam Fell e Rob Stevenhagen hanno lavorato alla DreamWorks Animation. Il primo è stato uno dei registi di Giù per il tubo. Ora sono in due a far bella figura in Le avventure del topino Despereaux, magnifica coproduzione britannico-statunitense, che adatta il popolare romanzo infantile di Kate Di Camillo, venduto già in diversi milioni di esemplari in tutto il mondo, specialmente in area anglosassone. Si tratta di una raffinata favola a sfondo morale che, sottolineando l’importanza di perdonare ed essere perdonati, al contempo fomenta l’amore per i libri ed esalta i valori dell’ideale cavalleresco.

Da tutto ciò ne esce un'eccellente animazione in 3D, molto espressiva nei gesti, spettacolare nelle scene di azione e con ambientazione molto creativa, circa i tre ambienti dove si svolge l’azione: il triste universo umano, il caotico e sudicio sotto-mondo dei topi di fogna e l’ordinato regno dei topolini. Sorprende, inoltre, il vigore e la profondità dei conflitti drammatici che coinvolgono i personaggi -alcuni abbastanza complessi-, e tutto in una trama ricca, dove bene e male non sono mai contrapposti in modo manicheo. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Tutti (ACEPRENSA)

Harry Potter e il principe mezzosangue

25/7/2009. Regista: David Yates. Sceneggiatura: Steve Kloves. Interpreti: Daniel Radcliffe, Rupert Grint, Emma Watson, Jim Broadbent, Michael Gambon. 153 min.USA, GB. 2009. Giovani.

Autore del sesto film della saga di Harry Potter è il britannico David Yates, che ha già diretto l'episodio precedente e sta girando le due parti in cui verrà diviso l’ultimo libro, Harry Potter e i doni della morte, allestite per il 2010 e 2011. Lo statunitense Steve Kloves è ancora una volta lo sceneggiatore (unica eccezione: Harry Potter e l’ordine della Fenice).



La lotta tra Potter e Voldemort prosegue nel corso di un episodio girato con efficacia, grazie anche ad un generoso budget (200 milioni di dollari). Lo segue con interesse perfino chi non conosce bene i romanzi della Rowling.

Certamente, si tratta di uno degli episodio meno dotati di scene d'azione -quindi con meno scene spettacolari-, che cede il posto ai molti dialoghi e al pugno di personaggi che ruotano attorno al trio formato da Harry, Hermione e Ron. È vero che il ritratto della esplosione ormonal-adolescenziale che ha luogo ad Hogwarts è grottesco, e appare un po' forzata nel resto del film, ma bisogna riconoscere che la storia ne guadagna in rapporto ai tre protagonisti. Il montaggio è buono. La trama si fa seguir bene, per tutti i suoi 150 min. di durata. I fans della saga non si sentiranno delusi, neppure dal drammatico e intricato finale, che considero abbastanza soddisfacente.

Rowling mi sembra scrittrice davvero abile. Infatti, questo film -che come il romanzo è meno spettacolare- ne ribadisce le capacità. I dialoghi e le descrizioni, il maneggio delle trame e della tensione drammatica rendono la misura del talento della Rowling e del suo perfetto concatenarsi alla fantasia già esibita nelle precedenti avventure. In tal senso, è manifesta la scelta decisa di mettere meglio a fuoco il personaggio di Hermione Granger (parte davvero ben recitata da un'Emma Watson, cui auguro un notevole avvenire di attrice): personaggio eccellentemente costruito e sviluppato. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. (ACEPRENSA)

L'era glaciale 3: l'alba dei dinosauri

25/7/2009. Regista: Carlos Saldanha, Mike Thurmeier. Sceneggiatura: Carlos Saldanha, Mike Thurmeier. Colonna sonora: John Powell. Animazione. 100 min. USA. 2009. Tutti. Dal 28 agosto nelle sale.

Il terzo film delle avventure di animali, nel corso di un'era glaciale, è film assai divertente e spettacolare, con situazioni molto divertenti, anche -come è logico- se privo di sostanziali novità. La sceneggiatura abile, lo rende più filante ed allusivo del secondo episodio. Geniale, il ricorso ai dinosauri che, in principio, si erano estinti per colpa della precedente glaciazione. Lo scoiattolo Scrat continua sempre ad inseguire la ghianda delle su brame; i mammuths Manny ed Ellie si preparano a diventare genitori; Diego, la tigre dai denti a sciabola, attraversa una crisi d’identità; e Sid, il bradipo, continua ad essere una calamita per problemi che si concretizzeranno in forma di... dinosauri.



La storia -che rivela indovinate sorprese- è uno scivolar via tra avventure emozionanti, con invidiabile senso del ritmo. L’animazione è eccellente: su tutto, predomina l’intelligente e creativo disegno degli scenari, dove si succedono sequenze d'azione di grande dinamismo, che si possono godere in versione normale o in 3D. Frutto della fantasia del brasiliano Saldanha, emerge un simpatico personaggio, il furetto Buck che, sviluppando una straripante vitalità, rivela al contempo nobiltà e grazia. Buck si trasforma in un catalizzatore stupendo che impedisce al film di insabbiarsi. Insomma, un fresco divertimento che, pur inferiore in qualità ai magistrali film della Pixar e della giapponese Miyazaki, rivela una magnifica cura dei particolari. Gli studi Blu Sky devono ancora dimostrare che c’è altra vita (animata), oltre questi semplici animali chiacchieroni. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Tutti. (ACEPRENSA)

Transformers: la vendetta del caduto

25/7/2009. Regista: Michael Bay. Sceneggiatura: Roberto Orci, Alex Kurtzman, Ehren Kruger. Interpreti: Shia LaBeouf, Megan Fox, John Turturro. 144 min. USA. 2009. Giovani.

Dopo aver incassato 700 milioni di dollari da Transformers, si poteva prevedere che Michael Bay e Steven Spielberg avrebbero realizzato un secondo episodio, basato sui giocattoli giapponesi degli anni Settanta, da cui la saga dei popolari fumetti della Marvel.



Dice un lemma pubblicitario che Bay realizza blockbuster dal 1995. Certamente, il regista californiano ha incassato molti soldi da film d'azione che rispondono al principio: esplosioni continue, pensieri zero. Ne costituiscono i precedenti tentativi: Bad boys, The Rock, Pearl Harbour e The Island. Ma non è men vero che questi film hanno pure fatto esplodere i timpani -e la pazienza- a molti spettatori, oppressi dalla pomposa esibizione, vuota e insipida, che li caratterizza.

In questa secondo episodio c’è però una vis comica più sottile, che ossigena il film, altrimenti insopportabile. La passione di Bay per le divise militari, per le appariscenti ragazze-portafiori, per armi e macchine speciali, si trasforma -ma fino a certo punto- in scaltrezza, dando luogo ad una prima parte della pellicola simpatica, disinvolta e spettacolare. Ma come capita spesso a Bay, ignaro del senso della misura, il brillante inizio perde poi smalto, a causa di una ridondanza troppo insistente che ne evidenzia l'incapacità di girare e montare, sapendo ben dosare la potenzialità amplificatrice degli effetti digitali. Nei montaggi di Bay spicca la consueta prospettiva circa le donne, ridotte ad oggetto di arredamento accanto al maschio dominante. Se Bay fosse capace di smettere di gridare, cinematograficamente parlando, il suo film -eccessivamente lungo-, sarebbe migliore in tutti i sensi. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. (ACEPRENSA)

Ricatto d'amore

25/7/2009. Regista: Anne Fletcher. Sceneggiatura: Pete Chiarelli. Interpreti: Sandra Bullock, Ryan Reynolds, Mary Steenburgen, Craig T. Nelson, Betty White. 108 min. USA. 2009. Giovani-adulti. (X) Nelle sale, dal 3 settembre.

Margaret è una dirigente d'acciaio, di una potente società editrice. Andrew, il suo assistente, sopporta tutto nella speranza che lei pubblichi, infine, il “suo libro”. Ci sono però tanti di quei problemi amministrativi, che i servizi d’immigrazione voglio rispedire Margaret al paese d’origine: il Canada. Per evitarlo, lei dichiara di essere in procinto di sposare Andrew, che accetta di stare al gioco, a patto che la società editrice pubblichi finalmente il libro.

Ricatto d’amore è una gradevole commedia romantica, prevedibile ma efficace in disinvoltura e vivacità. È fatta a misura di Sandra Bullock, buona attrice, che perde il favore del pubblico appena si allontana dal giusto registro. La sceneggiatura è convenzionale -due personaggi opposti, obbligati a convivere-, e molte gags non particolarmente originali. Ma non importa, perché il film rivela uno charme speciale, quello dei due protagonisti, ben accompagnati da Mary Steenburgen e dalla veterana Betty White (87 anni). La coppia protagonista appare ben assortita, che è quello che importa in questo tipo di film, con dialoghi e situazioni divertenti. L’insieme si involgarisce alquanto, per due scene gratuite, che esulano dal tono generale del film. Anne Fletcher ne è la convenzionale regista, mentre il copione segna l'esordio di Peter Chiarelli. Fernando Gil-Delgado ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: X (ACEPRENSA)

Ritorno a Brideshead

25/7/2009. Regista: Julian Jarrold. Sceneggiatura: Andrew Davies, Jeremy Brock. Interpreti: Matthew Goode, Ben Whishaw, Hayley Atwell, Emma Thompson, Michael Gambon. 100 min. GB, USA. 2008. Sconsigliato.

Charles Ryder, aspirante pittore di origini modeste, conosce ad Oxford, dove è andato a studiare, Sebastian Flyte, fragile e originale rampollo della nobile famiglia cattolica dei Marchmain, che affoga nel bere i suoi conflitti interiori. Sebastian, che prova per Charles un attaccamento molto più che affettuoso, lo porta nella dimora di famiglia di Brideshead, dove Charles conosce il resto della famiglia: la religiosa Lady Marchmain, che ha un controllo assoluto sulle vite dei figli, e soprattutto Julia, la sorella di Sebastian, di cui Charles si innamora ricambiato. Ma il peso della loro educazione religiosa e l’influenza materna faranno sì che la felicità continui a sfuggire sia ai giovani Flyte che a Charles…

Ogni storia, al di là del suo plot, che magari a distanza di anni può in parte sfuggire anche al lettore attento e appassionato, ha un cuore e un senso suo proprio, quello che il suo autore ha voluto infondervi, la ragione stessa per cui quella storia è stata raccontata. Così, per esempio, le varie prove che Dante affronta nella Divina Commedia non avrebbero senso se non nella prospettiva del cammino di salvezza per cui il poeta è condotto, e I promessi sposi traggono il loro significato dalla valutazione finale che Manzoni mette in bocca a Lucia.

Anche Ritorno a Brideshead, l’opera forse più acclamata di Evelyn Waugh, non è semplicemente il racconto della giovinezza di un artista, Charles Ryder, o delle disavventura della famiglia Marchmain, ma, nelle intenzioni del suo autore «ha a che fare con la Grazia, cioè l’immeritato e unilaterale atto d’amore con cui Dio continuamente chiama un’anima verso di Sé». Date queste premesse, c’è da stupirsi di fronte alla leggerezza con cui gli autori di questo adattamento (tra cui, sfortunatamente, c’è anche Andrew Davis, che a suo tempo dimostrò ben altra sensibilità adattando una celebre versione di Orgoglio e pregiudizio per la BBC) procedono ad un generale travisamento dell’opera originale. Così la trasformano in un manifesto anticattolico calligrafico e piuttosto noioso, infarcito di luoghi comuni e pregiudizi, a partire da quello, tanto diffuso quanto fasullo, del cattolicesimo come religione del «senso di colpa» (traduzione della cultura contemporanea del «senso di responsabilità»), in opposizione alla «libertà» offerta dalla modernità, fuori dai legami famigliari e confessionali, una licenza di cui il sesso diventa il simbolo e la più completa espressione.

In questi casi viene da chiedersi se gli autori non avrebbero fatto meglio a lasciar perdere l’operazione, se erano così convinti di far dire a una storia esattamente il contrario di quello che l’autore aveva voluto comunicare. I due fratelli, Sebastian e Julia Flyte, sono presentati come due individui repressi dall’asfissiante religiosità materna: lui con chiare tendenze omosessuali (giusto perché nessuno abbia dubbi fin dal primo momento Ben Whishaw ne fa una specie di caricatura tra Il vizietto e il bambinesco, orsacchiotto alla mano, occhioni e sculettamenti), lei imprigionata in un fidanzamento e poi in un matrimonio di convenienza (Lady Marchmain è chiara sul fatto che la figlia dovrà sposare un cattolico, quindi l’ateo Charles è fuori gioco) da cui non ha la forza di liberarsi.

Niente di tutto questo corrisponde se non in modo vaghissimo e superficiale a quanto è raccontato nel romanzo: l’amicizia «romantica e affettuosa» tra i due ragazzi viene esplicitamente riconosciuta (anche da un personaggio «irregolare» come Cara, l’amante di lord Marchmain) come passaggio d’età, necessario, eppure necessariamente effimero, verso la maturità dei legami adulti. Il problema di Sebastian, nel romanzo, è l’incapacità di diventare adulto, che il ragazzo affronta dandosi al bere in modo sempre più autodistruttivo, mentre qui il personaggio viene trasformato in un omosessuale represso da una madre arpia e invadente, che vorrebbe invece solo essere libero e felice (se non avessero temuto di eccedere nell’anacronismo, gli autori avrebbero certamente usato il termine gay) e che a Oxford si accompagna con una cerchia di amici dalle stesse tendenze, mentre a casa è costretto a fingere.

Viene da chiedersi se un fraintendimento così plateale derivi semplicemente da una strategia di marketing (gli autori speravano di «vendere» alla comunità gay il film spacciandolo per un nuovo Another country o Maurice, come dimostrano anche certi manierismi recitativi dei giovani protagonisti) o più profondamente dall’incapacità di una certa cultura contemporanea di concepire un legame di affetto tra persone dello stesso sesso che non abbia risvolti sessuali, in questo precludendosi la comprensione di una buona metà della produzione letteraria dell’Occidente.

Se le cose stessero come vorrebbe Jarrold, si faticherebbe a capire, comunque, perché questa madre tirannica e fondamentalista (anche la recita di un Padre Nostro e di un Salve Regina nella bella cappella di famiglia ha toni oppressivi e inquietanti che non stonerebbero in un madrassa islamica) insisterebbe per far accompagnare il figlio dissennato in viaggio a Venezia per visitare il padre che vive colà con l’amante, da un giovane che si dichiara ateo e per cui il figlio nutre una così sospetta simpatia. Tutto l’impegno che gli autori hanno infuso nel caricare sessualmente il legame tra Charles e Sebastian, fa sì che il pubblico si perda per strada la vera grande storia d’amore del romanzo, quella tra Charles e Julia, che resta priva quindi di molta della sua carica romantica (sia nella sua parte «affermativa» che in quella finale di rinuncia) e si riduce ad un affaire un po’ squallido.

A completare la falsificazione, il marito di Julia, Rex, che in originale lei sposa con l’opposizione materna proprio perché non è cattolico, diventa qui ricco, cattolico, ottuso, e, per non faci mancare nulla, anche filo-nazista…
La falsità di questa ricostruzione raggiunge il suo apice nel finale, che stravolge completamente il significato di quanto Waugh aveva messo nella sua storia: anziché la possibilità della Grazia, che raggiunge anche l’uomo più peccatore nell’ultimo istante della vita, la condanna al senso di colpa e alla privazione. E così la rinuncia di Julia a Charles, che è il climax della sua crescita morale (per capirlo non ci vuole nemmeno il catechismo, basterebbe riguardarsi Casablanca) diventa il sigillo estremo della sua incapacità di liberarsi della sua pesante eredità familiare.

Forse la pellicola, nelle intenzioni degli autori, voleva «modernizzare» un genere classico come l’adattamento letterario, ma di fatto ha i numeri per finire su un manuale di «come non fare un adattamento»: non soltanto la voluta e arbitraria falsificazione del concept originale, ma anche le interpretazioni manieristiche, l’impostazione calligrafica, le ambientazioni eleganti ma piene di cliché, si tratti della campagna inglese, delle vie di Oxford, di una Venezia da cartolina o dell’Africa in cui si rifugia Sebastian. Lasciamolo pure ad impolverarsi sugli scaffali di una videoteca, meglio optare per qualche sanguigna americanata, quelle che gli intellettuali snobbano come anacronistiche ma che alla fin fine sono molto meno sleali verso le loro fonti. Laura Cotta Ramosino. Per gentile concessione di FAMILYCINEMATV.


Valori/Disvalori: Il sesso diventa il simbolo e la più completa espressione della "libertà" moderna. Manifesto anticattolico grossolano, infarcito di luoghi comuni e pregiudizi.

Si suggerisce la visione a partire da: Sconsigliato. Per i disvalori presenti, come indicato accanto, per le scene sensuali e di nudo, baci omosessuali.

Giudizio tecnico: Fraintendimento plateale dell'opera letteraria originale. Manierismi recitativi dei giovani protagonisti.

Coraline e la porta magica

27/6/2009. Regista: Henry Selick. Sceneggiatura: Henry Selick. Colonna sonora: Bruno Colais. Animazione. 90 min. USA. 2009. Tutti-giovani.

Originale adattamento dell'omonimo libro per ragazzi di Neil Gaiman, realizzato con la tecnica stop-motion -animazione fotogramma per fotogramma-, si inserisce nella sfornata di film d'animazione che abbinano la loro comparsa sia in cinema convenzionali che a 3-D. Dirige il film ed è responsabile della sceneggiatura Henry Selick, che recupera il tono impunito e macabro di Nightmare Before Christmas -anch'essa in stop-motion-, in collaborazione con Tim Burton.



Il film segue l'adolescente Coraline, che ha traslocato con i genitori in un casolare in mezzo alla campagna. In piena crisi adolescenziale, l'irrequieta Coraline è stufa dei noiosissimi genitori, che stanno finendo di scrivere il loro corso di giardinaggio, e non le piace più di tanto Wybie, il vicino coetaneo. Troverà invece una via di fuga, grazie ad una porta magica, murata dentro la propria casa. In effetti, di notte accede attraverso la porta in un mondo alternativo, identico al suo, ma dove le persone hanno bottoni cuciti al posto degli occhi. Lì conosce gli altri suoi paralleli genitori, che sono geniali, le preparano squisiti pranzetti e la vestono come piace a lei. Poco a poco, Coraline comincia a sentirsi più a suo agio in quest’altra realtà, ma può succedere -a volte- che le cose non siano così come sembrano.

Come si può vedere, la trama ha molti punti di connessione con Alice nel paese delle meraviglie, o se pensiamo ad un esempio di animazione recente, La città incantata. In entrambi i casi, un'adolescente impara a maturare in un mondo differente, pieno di strani personaggi, Inoltre, con il film di Hayao Miyazaki condivide l’idea di salvare i genitori in pericolo. La conclusione, come ne Il mago di Oz, è che“there is no place like home”, non c'è posto migliore della propria casa a fianco delle persone amate; anche se talvolta viene voglia di seguire il richiamo della grande avventura.

Colpisce la spettacolare apertura visiva di Selick, pervasa da un’atmosfera gotica, con riprese oblique che contribuiscono a rendere più inquietante il ritmo narrativo. C’è una galleria di caratteri bizzarri, come due anziane ex-artiste, o il signor Bobinsky, realizzatore di un peculiare spettacolo circense. Come succedeva in Nightmare Before Christmas, o ne La sposa cadavere, il film affronta l'aspetto sinistro delle difficoltà, che possono perciò spaventare una parte del pubblico di genere familiare, cui il film intende rivolgersi. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Tutti-giovani. Contenuti: --- (ACEPRENSA)

Terminator Salvation

27/6/2009. Regista: McG. Sceneggiatura: John D. Brancato, Michael Ferris. Interpreti: Christian Bale, Sam Worthington, Bryce Dallas Howard, Moon Bloodgood, Helena Bonham Carter. 115 min. USA, Germania, GB, Italia. 2009. Giovani.

La quarta avventura futurista della saga creata da James Cameron (che il 18 dicembre presenta il suo ultimo film, Avatar) è opera dello specialista di videoclips McG, autore di due piatti film, tratti dal serial tv: Charlie’s Angels. Il regista statunitense manifesta evidenti pecche, nella direzione del cast di attori, permettendo che professionisti di talento -come Christian Bale e Bryce Dallas Howard- offrano il peggio della rispettiva carriera.



Il film è un assortimento d’imprese belliche sconnesse, senza impianto drammatico, senza traccia di humour. E la colpa è degli sceneggiatori. Gli autori del terzo Terminator e The Game indovinano solo a tratti la storia ed i conflitti proposti, ma sbagliano nel profilo dei personaggi, nella distribuzione di spessore tra Marcus, misterioso individuo che sperimenta un viaggio verso il futuro, e John Connor, esausto e disincantato leader della resistenza contro le Macchine, i nuovi padroni della terra, da quando si sono impadronite del controllo del sistema di difesa strategico Skynet. L’insipida e prevedibile trama dei dialoghi non migliora certo l’insieme.

Nel valutare il film bisogna apprezzare comunque lo sforzo dei disegnatori di produzione, per ricreare il mondo post apocalittico, anche se è appare tema già ipersfruttato. Convenzionale appare la colonna sonora dello specialista Danny Elfman. Non mancano sequenze di azioni spettacolari, con alcune trovate pescate al supermercato del perfetto Terminator.

Il film è tipico esempio di un modo di affrontare la partitura di lungometraggi di azione, prossimi all'estinzione ed all'implosione, a forza di imitarsi l'un l'altro. L’evidente mancanza di idee (di conflitti, trame e cambi di scena) si percepisce specialmente nello scarso coinvolgimento nella condotta e motivazioni dell’eroe, di una semplicità spettacolare, che ricorda i protagonisti dei videogiochi (il film stesso si presta agevolmente a farne un videogioco).

Si cerca poi di camuffare queste carenze con strategie di sceneggiatura, con sfacciati ricorsi alla casistica del deus ex machina. Sembra evidente che la proliferazione di episodi successivi e previ può rappresentare una tentazione, dal punto di vista economico, ma non lo è per la creatività nel settore delle superproduzioni di azione ed avventura. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. (ACEPRENSA)

Coco avant Chanel

27/6/2009. Regista: Anne Fontaine. Sceneggiatura: Anne Fontaine, Camille Fontaine. Interpreti: Audrey Tautou, Benoît Poelvoorde, Alessandro Nivola, Marie Gillain, Emmanuelle Devos. 110 min. Francia. 2009. Adulti. (XD)

Prodotto interamente francese. La regista gala Anne Fontaine dirige questo biopic dell'emblematico personaggio della moda, Coco Chanel: francese, evidentemente.

Il film, come indica il titolo originale, racconta la storia di Gabrielle Chanel, prima che diventasse un'icona della moda. L’impresa non è banale, perché Chanel era solita fornire versioni contraddittorie della propria infanzia e giovinezza. Fontaine si basa sulla biografia di Edmonde Carles-Roux (L’irregulière) e parte bene, mostrando una Coco dai tratti decisamente geniali, capricciosa e amorale, con l'obiettivo di entrare nella alta società francese, a qualsiasi prezzo (ovvero, anche selezionando gli amanti).

Il problema è che, man mano che la storia va avanti (ma non si spinge oltre un certo punto), la regista francese sembra innamorarsi del personaggio. Così che il film si trasforma in un ritratto iper-celebrativo, che scansa con cura le questioni assai controverse della vita della Chanel, mostrandosi troppo indulgente con la discutibile moralità e lo squilibrio di alcune reazioni della protagonista.

D’altra parte, Fontaine mette troppo l’accento -rivelando una certa complicità col pensiero politicamente corretto- su alcune opinioni della disegnatrice di moda; ad esempio, circa la visione negativa del matrimonio. In tal senso, fa ridere la difesa ad oltranza di un femminismo superficiale, che curiosamente fa proprio il gioco degli amanti della Chanel.

Il film è ben interpretato da parte di una Audrey Tatou che rivela una somiglianza sorprendente con la nota stilista. La messa in scena, non poteva essere altrimenti, è molto curata, ma alla fine il film va degradando verso il peggio. Smaccato l'intento adulatorio, lento il ritmo, superficiale la relazione di Chanel con la moda, che invece è la cosa più interessante della sua vita. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: X, D (ACEPRENSA)

I love Radio Rock

27/6/2009. Regista: Richard Curtis. Sceneggiatura: Richard Curtis. Interpreti: Philip Seymour Hoffman, Rhys Ifans, Kenneth Branagh, Bill Nighy, Nick Frost. 129 min. Gran Bretagna, Germania. 2009. Adulti. (XD)

L’inglese Richard Curtis, 53 anni, dirige il suo secondo film dopo Love actually (2003). Curtis dimostra una notevole crescita -come sceneggiatore- dai primi anni ottanta, quando ha iniziato a scrivere per serial tv. Poi ha fatto i copioni di Quattro matrimoni e un funerale, Notting Hill, Bean, nonché l’adattamento della serie Bridget Jones.



I love Radio Rock, dà un saggio dello stile ben noto della narrativa di Curtis, anche se c’è una differenza evidente: non compaiono trame romantiche, assenza non da poco, visto che Curtis ha sempre mostrato notevole talento nel trattarle (si pensi ad alcune scene davvero riuscite -quelle dell'episodio Colin Firth- dell'assai irregolare Love actually).

L’aneddoto storico (un'emittente pirata che sfornava musica moderna, con disc-jokey che fanno a gara tra loro per sottrarsi ascoltatori, con variegato repertorio di tic trasgressivi o psichedelici) è promettente; ma il film, oltre a falsificare e schematizzare troppo ciò che veramente è successo, non sa trarre fuori il meglio della trama, in gran parte perché abusa troppo della caricatura, della gag diretta e un po' greve, così che i personaggi finiscono per diventare stucchevoli, provocando distacco dallo spettatore. Abbondanti sono i riferimenti alle cose meno riuscite di altre storie di Curtis. Mancano invece le note migliori, quelle che così bene sapeva inventarsi questo noto autore comico.

Forse il problema principale di I love Radio Rock è che non provoca l’ilarità promessa da una commedia banditesca, scapigliata e cinica. D’altra parte, quando cerca di diventare emotiva e nostalgica, crea fastidio la banale, sommessa nonché edulcorata assunzione del trito cocktail di sesso, droga e rock and roll.

La musica è solo appena piacevole, né ha tutto il peso che dovrebbe meritarsi. Perciò, parlare di un percorso musicale attraverso le canzoni degli anni sessanta significa illudere e deludere il pubblico. 129 minuti, sono davvero troppi, specialmente per la rigidità monocorde di una sceneggiatura di scarso spessore, con la sensazione d’istrionismo che trasmette un cast poco ispirato, capeggiato da Ifans e Hoffman. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: X, D (ACEPRENSA)

Angeli e demoni

30/5/2009. Regista: Ron Howard. Sceneggiatura: David Koepp, Akiva Goldsman. Interpreti: Tom Hanks, Ewan McGregor, Ayelet Zurer, Pierfrancesco Favino, Stellan Skarsgard. 138 min. USA. 2009. Adulti. (V)

Angeli e demoni è una superproduzione hollywoodiana, alla moda, con le più topiche fanfaronate del cinema d’azione di massa, tutto brillante e lussuoso, appena sfornato. Il regista, gli sceneggiatori, il direttore di fotografia, il compositore della musica e il disegnatore di produzione fanno a gara per superare gli attori in numero e intensità di spropositi.



È un film costoso. L'elevato prezzo è direttamente proporzionale alla rudimentale struttura drammatica, che ricorda quella di un telefilm girato in economia, sullo stile di quelli programmati da tv locali, alle 8 del mattino di sabato, per lavoratori stressati, reduci dal turno e che già hanno iniziato a sonnecchiare.

La prima ora e mezzo del film è, in tal senso, altamente efficace: produce un sopore molto gradevole. Quando lo spettatore è già bello che addormentato, arriva il gran finale, che per l’imprescindibile spettacolarità esaurisce il poco credito residuo di una sceneggiatura che richiama il cappello a cilindro, da cui salta fuori -senza motivo- una legione di conigli, per di più travestiti da pecore. È il finale di fuochi artificiali, tipico delle sagre popolari.

Alcuni burattini (non si può parlare di personaggi) dicono scemenze inverosimili, facendo finta di svelare i segreti più occulti, con fronti aggrottate, per meglio spremerne l’intelligenza. La trama, banale come il buco di una ciambella, è una successioni di corse con tanto di sbandate, per le strade di Roma, dopo aver scoperto in modo sempre elementare, un indizio ottenuto, per di più, senza il minimo sforzo. Una gimcana, dunque, dove due sempliciotti (Langdon superstar e una fisica nucleare svizzera che recita e si esprime con la spigliatezza e il ritmo drammatico di un orologio a cucù) inseguono un assassino. Il tipaccio elimina, in sanguinosi e sinistri rituali -celebrati nelle chiese romane- cardinali che vanno per la maggiore (Dan Brown, come conosci bene i segreti del Vaticano, grazie per averci aperto gli occhi!), spazzati ora via dal conclave in cui la Chiesa potrà cessare di essere oscurantista e perversa, per diventare chiara e scientifica.

Gli sceneggiatori Koepp e Goldsman, pur cercando di rendere presentabili alcune delle scemenze del romanzo e di eliminare taluni sproloqui che vanno per la tangente, si mantengono tuttavia fedeli a quello “spirito fino” di Brown, ritraendo in linguaggio audiovisivo la sua stupidaggine uscita su carta stampata, nero su bianco. Restano però lontani dal livello ottenuto con Il codice Da Vinci, successivo come libro, ma anteriore come film.

Vengono a proposito le parole dello scaltro Orson Welles: “Sono in molti, così educati da non parlare con la bocca piena, a parlare con la testa vuota”. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V (ACEPRENSA)

Una notte al museo 2. La fuga

30/5/2009. Regista: Shawn Levy. Sceneggiatura: Robert Ben Garant, Thomas Lennon. Interpreti: Amy Adams, Ben Stiller, Owen Wilson, Robin Williams, Alain Chabat. 105 min. USA. 2009. Tutti.

Chi ha detto che il seguito dei film di successo non è mai all'altezza, qui ha torto. I produttori di Una notte nel museo hanno dato fiducia allo stesso cast di attori per girare questo secondo episodio, ottenendone un buon lavoro, che supera l’originale, così da proporre una storia di avventure divertente e col batticuore. La fantasia è straripante, pur nei limiti di un film per famiglie, girato nel museo più grande del mondo. Gli effetti speciali sono strabilianti, ma restano al servizio del filo narrativo.


Il protagonista è di nuovo Larry, con Amelia Earhart (la sempre efficace Amy Adams), prima donna pilota ad attraversare l’Atlantico in solitudine ed affascinante avventuriera, nonché gli altri personaggi già noti dal precedente film.

La tecnologia permette di creare situazioni insolite, un tempo possibili solo nei cartoni animati. Le scene riprese prendono vita, così che in mezzo ad inseguimenti e corse pazze, allo spettatore sembra di finirci in mezzo. Comunque, le scene più divertenti sono i dialoghi tra persone (ivi un faraone morto migliaia di anni fa), e bisogna far tanto di cappello davanti a Ben Stiller, che trae l'acuto da ogni scena, come pure ad Amy Adams, che sa replicare allo stesso livello.

In sintesi, un film divertente di avventure, in tono classico, con una notevole cura dei dettagli e recitazioni piene di vitalità: da fruire volentieri. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Tutti. Contenuti: --- (ACEPRENSA)

Star Trek. Il futuro ha inizio

30/5/2009. Regista: J.J. Abrams. Sceneggiatura: Roberto Orci, Alex Kurtzman. Interpreti: Chris Pine, Zachary Quinto, Eric Bana, Winona Ryder, Zoe Saldana. 126 min. USA. 2009. Giovani. (VS)

Non c’è saga di fantascienza più collaudata e pervasiva di Star Trek. Creata nel 1966 per la NBC da Gene Roddenberry, comprendeva -fino ad oggi- cinque serie di telefilm d'azione, una serie di animazione in 2D e 10 film per cinema. Adesso i numerosi fans -i trekkies- avranno tanto da dire sull’undicesimo film, Star Trek. Il futuro ha inizio, una superproduzione diretta da J.J. Abrams, creatore di serie molto popolari, come Lost, e che esordì nel cinema con Mission Impossibile III.



Il film si pone come retrospettiva a monte delle produzioni precedenti, e inizia alla grande con la nascita del protagonista, il capitano James Tiberius Kirk, in parallelo all’eroica morte del padre, in lotta contro Nero, un rinnegato capitano romulano. Anni dopo, Nero ricompare durante il viaggio inaugurale del SS Enterprise, la nuova nave della Squadra Stellare, dove fanno pratica il ribelle Kirk, il suo amico Dr. McCoy, l'esperta in lingue Uhura e il severo Spock, figlio di una umana e di un vulcano, che presto si confronterà con Kirk.

Dopo l’impressionante apertura, J.J. Abrams mantiene un ritmo teso ed un alto livello drammatico, intrecciando le spettacolari sequenze di azione con lo sviluppo dei conflitti dei personaggi, soprattutto la rivalità tra Kirk e Spock, impersonati con convinzione da Chris Pine e Zachary Quinto.

I fans della saga sapranno passar sopra allo schematismo narrativo del film ed all'incomprensibile gergo pseudospaziale, divertendosi per le allusioni, l’equilibrato cocktail di generi e l’amabile tono famigliare, interrotto da una breve scena da letto.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V, S (ACEPRENSA)

Uomini che odiano le donne

30/5/2009. Regista: Niels Arden Oplev. Sceneggiatura: Nicolaj Arcell, Rasmus Heisterberg. Interpreti: Michael Nyqvist, Noomi Rapace, Lena Endre, Sven-Bertil Taube, Peter Haber. 150 min. Svezia, Danimarca. 2009. Sconsigliata. (XD)

Massimiliano Kolbe era un francescano che morì nel campo di concentramento di Auschwitz. Kolbe, che dedicò parte della vita a fondare riviste, difendeva la tesi che il male si autodistrugge, mentre indugiare sulle descrizioni della malvagità serviva solo a diffonderla di più.

È una tesi davvero azzeccata contro quanti difendono la violenza brutale contenuta in Millennium, la trilogia scritta da Stieg Larsson -giornalista svedese morto cinquantenne per infarto- che, con la scusa di denunciare la violenza della società contro la donna, descrive nei suoi libri ogni tipo di aberrazioni.
I romanzi di Larsson devono molto alla saga dell’ispettore Wallander, scritta da Henning Mankell. Quest'ultimo è certo autore di maggior spessore, che maneggia il romanzo poliziesco sullo stile di un Simenon, per proporre uno spaccato della società svedese. Larsson ha attinto al peggior Mankell, restando invece incapace di emularlo nei romanzi più riusciti.

La versione cinematografica del suo voluminoso romanzo è un thriller poliziesco destinato al cinema svedese. Questo lavoro su grande schermo, non gli riesce tanto bene. Il thriller ha bisogno di ritmo, che latita tra i registi svedesi. Tagliando la prima ora di film, lo spettatore non perde proprio nulla.

Coscienti che il materiale disponibile era impossibile da trasporre per grande schermo, i sceneggiatori Nicolaj Arcell e Rasmus Heisterberg hanno alleggerito la confusa trama, cercando di tagliare in parte i passaggi più sordidi (ma non basta!) e togliendo enfasi ad alcune chiavi ideologiche dell’autore. Ma neanche questi lodevoli sforzi riescono ad evitare che Uomini che odiano le donne risulti un indigesto e deludente film poliziesco. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Sconsigliata. Contenuti: X, D (ACEPRENSA)

X-Men le origini: Wolverine

30/5/2009. Regista: Gavin Hood. Sceneggiatura: David Benioff, Skip Woods. Interpreti: Hugh Jackman, Danny Huston, Liev Schreiber, Ryan Reynolds, Dominic Monaghan. 120 min. USA. 2009. Giovani. (V)

X-Men le origini: Wolverine racconta la storia di Logan dalla nascita fino a quando, trasformato in temibile macchina per uccidere, con artigli retrattili e una straordinaria capacità di riprendersi dalle ferite, perde la memoria.



L’argomento si dipana tra Wolverine, Victor (Liev Schreiber) e William Stryker (Danny Huston). La storia finisce dove inizia il primo episodio della saga X-Men.

La complessità della storia dipende dalla vicinanza dello spettatore ai comics della Marvel. In ogni caso, il film è spettacolare ed ha un ritmo frenetico, ammorbidito da un interludio romantico girato nei bei paesaggi della Nuova Zelanda. La rifinitura è buona, grazie al lavoro di McAlpine (Moulin Rouge), direttore di fotografia, e alla musica del grande Gregson-Williams. La sceneggiatura è di Benioff (L’ora 25, Troy, Il cacciatore di aquiloni).

Hugh Jackman, Liev Schreiber e Danny Huston riescono a conferire profondità a personaggi che, da un po' di tempo, hanno smesso di essere disegni piatti per trasformarsi in protagonisti di romanzi noir. È curioso che sia stato scelto come regista il sudafricano Gavin Hood (Il suo nome è Tsotsi, Rendition–Detenzione ilegale), inizialmente non interessato a questa storia, pur non mancando numerosi concorrenti entusiasti, disposti ad assumersene la regia. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V (ACEPRENSA)

State of Play

25/4/2009. Regista: Kevin Macdonald. Sceneggiatura: Matthew Michael Carnahan, Tony Gilroy, Billy Ray. Interpreti: Russell Crowe, Ben Affleck, Rachel McAdams, Robin Wright Penn, Jason Bateman, Jeff Daniels. 132 min. USA, GB. 2009. Giovani. Dal 30 aprile al cinema.

Un deputato dalla carriera promettente (Affleck) si prepara a prender parte al comitato d’inchiesta su un’impresa che ha avuto numerosi contratti collegati ad attività del governo, specialmente nell’area della Difesa. Un inatteso, drammatico avvenimento mette in difficoltà il politico, che chiede aiuto a un buon amico dell’università (Crowe), famoso giornalista di un grande giornale di Washington.



Questo thriller è l’adattamento al grande schermo di una miniserie (6 capitoli di 57 minuti l’uno) della BBC, ritrasmesso con successo nel 2003. Il regista scozzese Kevin Macdonald (L’ultimo re di Scozia) ha potuto contare su tre esperti sceneggiatori, un cast impressionante e una solida messa in scena… ma il film non funziona bene quanto ci si potrebbe aspettare. Il copione di Carnahan (Leoni per agnelli), Gilroy (Duplicity) e Ray (L’inventore di favole) non riesce a ottenere l’intensità necessaria, perché ha problemi di struttura e fluidità narrativa, gli stessi che avevano i tre film appena citati.

State of Play è un film che aveva tutte le carte in regola per stravincere, mentre non va oltre il pareggio, limitandosi ad offrire un ritratto rapido e semplicistico della vita politica e di quella giornalistica. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Mostri contro alieni

25/4/2009. Regista: Conrad Vernon. Sceneggiatura: Maya Forbes, Wallace Wolodarsky, Rob Letterman, Jonathan Aibel, Glenn Berger. Musica: Henry Jackman. Animazione. 94 min. USA. 2009. Tutti.

Susan doveva sposare l’uomo dei suoi sogni, un aitante presentatore televisivo, ma mezz’ora prima delle nozze viene colpita in testa da un meteorite. Susan cresce fino a quindici metri di altezza, e prima che si renda conto di cosa è successo, entrano in azione forze speciali; la portano in una base segreta, le danno il nome di Ginormica e la compagnia di altri mostri: l’Anello mancante, il Professor Scarafaggio, il Bruco di più di cento metri e Bob, gelatinoso e indistruttibile.



Il mondo dell’animazione deve molto a Pixar, che ha realizzato prodotti di grande qualità costringendo la concorrenza a migliorare. Questo film è il primo realizzato integralmente in formato 3D, e Jeffrey Katzenberg, direttore di Dreamworks, ci punta molto. Sono co-registi Rob Letterman (Shark Tale) e Conrad Vernon (Shrek 2). Vero è che, anche se il nuovo formato è stato molto pubblicizzato, il film si vede e si gode perfettamente in due dimensioni.

Mostri contro alieni è un semplice racconto di avventure, molto divertenti e per tutta la famiglia. Il copione si limita ad accumulare situazioni divertenti in un racconto frenetico concepito come un omaggio al cinema di mostri e fantascienza anni Cinquanta (gli adulti riconosceranno personaggi e situazioni di quei film di serie B). Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Tutti. Contenuti: --- (ACEPRENSA)

DragonBall Evolution

25/4/2009. Regista: James Wong. Sceneggiatura: Ben Ramsey; basato nel manga giapponese di Akira Toriyama. Interpreti: Justin Chatwin, Chow Yun Fat, James Marsters, Emmy Rossum, Jamie Chung. 90 min. USA, Hong Kong. 2009. Giovani. (VS)

Justin Chatwin impersona Goku, un giovane timido e solitario che viene allenato dal nonno per un grande destino. Goku vorrebbe essere normale, avere amici a scuola e uscire con le sue coetanee, ma non ha fortuna. Il giorno che compie diciotto anni suo nonno viene ucciso dal famigerato Lord Piccolo, e Goku scopre che le vecchie leggende che gli avevano raccontato erano vere, e che il destino del mondo dipende da lui, anche se non è ancora pronto. A poco a poco riunisce un gruppo di amici che lo accompagneranno nella ricerca delle Sfere del Drago; tra questi, il maestro Mutenroshi, che sarà la sua guida e allenatore in questo pericoloso itinerario.



Non è la prima volta, e non sarà l’ultima, che Hollywood adatta al grande schermo un fumetto (essendo giapponese lo chiamano manga); ma poche volte questo adattamento ha creato tante aspettative. La saga di Dragonball è una delle più popolari nel mondo, viene ristampata con regolarità, e la serie televisiva è stata diffusa in numerose occasioni, si è venduta in video e si continua a vendere in dvd.

Si può essere in disaccordo con questo adattamento, a partire dall’idea di condensare tutto in novanta minuti, fino alla scelta degli attori. Si sarebbe potuto fare di meglio, ma ritengo che sarebbe potuta andare anche molto peggio; forse il maggiore difetto presente è quello di utilizzare molti stereotipi e ricalcare molti altri film d’azione che non hanno niente a che vedere con Dragonball.

Comunque, è una storia divertente e piena di ritmo –tutto succede molto in fretta-; probabilmente, malgrado le critiche, invoglierà a molti a scoprire l’originale (che, tra parentesi, non è poi un gran che). Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V, S (ACEPRENSA)

La vita segreta delle api

25/4/2009. Regista: Gina Prince-Bythewood. Sceneggiatura: Gina Prince-Bythewood, basata nel romanzo di Sue Monk Kidd. Interpreti: Queen Latifah, Dakota Fanning, Jennifer Hudson, Alicia Keys Sophie Okonedo, Paul Bettany. 110 min. USA. 2008. Giovani. (VS-)

Lily è una adolescente, orfana di madre, con un terribile trauma infantile. Un giorno decide fuggire dalla sua casa nella Carolina del Sud per cercare le proprie radici.



La vita segreta delle api è l’adattamento del romanzo omonimo pubblicato nel 2002, che ha venduto più di quattro milioni di copie ed è stato tradotto in 23 lingue. L’autrice è Sue Monk Kidd, un’infermiera anglicana che, fino al momento di scrivere questo romanzo, aveva pubblicato le proprie memorie spirituali e diversi saggi di carattere pseudoteologico. La Kidd è stata educata come evangelica battista, e la lettura di Thomas Merton l’ha portata ad avvicinarsi alla chiesa episcopaliana. Confessa di essere debitrice a scrittori come Henry David Thoreau e Carl Jung.

Il film, come il romanzo, è una miscela variopinta e benintenzionata di argomenti molto diversi: psicologici (il passaggio dell’adolescenza alla maturità), affettivi (la paura al matrimonio o l’importanza della maternità), sociali (i diritti civili della popolazione nera nell’America degli anni Sessanta), e religiosi (il culto alla Madonna). Questa miscela, per poter funzionare, aveva bisogno di un regista sperimentato, e la giovane americana Gina Prince-Bythewood –autrice della sceneggiatura- non lo è. Probabilmente questa è la ragione per la quale, malgrado le sue virtù (un eccellente cast e alcuni messaggi nobili) il film non arriva a essere un prodotto riuscito. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V, S- (Decine21)

The International

4/4/2009. Regista: Tom Tykwer. Sceneggiatura: Eric Singer. Interpreti: Clive Owen, Naomi Watts, Armin Mueller-Stahl, Ulrich Thomsen, Bryan F. O’Byrne. 118 min. USA. Germania, UK. 2009. Giovani.

Un agente dell’Interpol (Clive Owen, consolidato come un grande attore) e una donna pubblico ministero di Manhattan (la sempre efficace Naomi Watts) cercano di portare alla luce i foschi maneggi di potenti multinazionali. Alla fine, emergerà una complessa trama di corruzione, alla quale gli autori non sono disposti a rinunciare, pur di difendere i propri affari. Non esiteranno a ricorrere alla violenza e all’assassinio.



Il tedesco Tykwer ha riscosso grande successo con Lola corre, originale e vigoroso thriller impersonato da Franka Potente. Questa volta ha scelto una storia tradizionale, dal punto di vista narrativo, girata con molta cura nei posti più celebrati di quattro città: New York, Berlino, Milano e Istambul.

Il film si fa seguire con interesse e la sceneggiatura di Eric Singer ha molti aspetti degni di nota, anche se talora si vede che il regista è alle prime armi: c’è un profilo troppo sbrigativo dei due protagonisti, che però risultano anche accessibili ed attraenti, nella loro normalità; è buona l'idea evitare l'immancabile rapporto sentimentale, ma bisognava ovviare con qualche nuova trovata… Positivo anche l’impegno di affrontare questioni molto dibattute nel cinema, da una prospettiva che cerca di essere nuova, anche se le modalità espressive restano quelle classiche. In sintesi, un thriller efficace, dotato di eccellente cast. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Io & Marley

4/4/2009. Regista: David Frankel. Sceneggiatura: Scott Frank, Don Roos. Interpreti: Owen Wilson, Jennifer Aniston, Eric Dane, Alan Arkin, Kathleen Turner. 120 min. USA. 2008. Giovani-adulti. (SD)

John Grogan è il giornalista statunitense che nel 2005 ha pubblicato Marley & Me, una specie di diario retrospettivo sulla vita trascorsa dalla giovane famiglia Grogan con il loro cane, Marley. Il libro è stato un best-seller, e David Frankel (Il diavolo veste Prada), partendo da un copione di Scott Frank (Minority Report, Il mio piccolo genio) e Don Roos (Bounce), lo ha trasposto su grande schermo.



Ci sono due cose che sorprendono in questo film. La prima, che una commedia così drammatica come questa abbia incassato oltre 140 milioni di dollari negli States; la seconda, che a David Frankel, che ha già esibito talento in questo genere (Il diavolo veste Prada è l’adattamento delle memorie di una stagista di Vogue), ne abbia tratto un film così scarso, convenzionale e diseguale. Paradossalmente non c’è niente che strida: la coppia di protagonisti lavora con correttezza e Frankel gira bene, controllando gli interni giornalistici -molto abbelliti-. Ma tutto è cosi prevedibile…

L’impressione è che non ci sia quasi trama. Il film si ancora ad una successione di gag -teoricamente divertenti (e sempre che lo spettatore si diverta con storie di cani)-, diversi dettagli drammatici e alcuni spunti sociologici. David Frankel si guarda bene dal portare la sua critica troppo lontano, una volta che imposta -a volte con lucidità, altre con mancanza di conoscenza e pregiudizio- diverse questioni di grande attualità: dal dilemma lavoro-famiglia, alla mentalità troppo organizzata per risultare utile ai figli alla considerazione eccessiva delle mascotte canine, trattate quasi da persone. Il risultato è sconcertante. Quando poi il film si trasforma in dramma, ecco che deraglia: definitivamente.
Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: S, D (ACEPRENSA)