The hunting party

30/4/2008. Regista: Richard Shepard. Sceneggiatura: Richard Shepard. Interpreti: Richard Gere, Terrence Howard, Jesse Eisenberg, James Brolin, Ljubomir Kerekeš, Kristina Krepela, Diane Kruger. 103 m. USA, Croazia, Bosnia-Herzegovina. 2007. Giovani-adulti (VSD)

Un giornalista e un operatore tv, di una rete statunitense, hanno lavorato insieme in molti conflitti bellici. Le loro vite prendono una strada diversa, in seguito ad un incidente -durante la guerra di Bosnia-, che ha fatto cadere in disgrazia il giornalista. Diversi anni dopo, eccoli di nuovo insieme -a Sarajevo- per commentare il quinto anniversario della fine della guerra. Entrambi, accompagnati da un giornalista alle prime armi -figlio di un vicepresidente della rete tv, nonché appena laureatosi a Harvard-, si lanciano ora sulle tracce di un criminale di guerra.

Shepard è regista mediocre. Si ritrova a girare un film di livello, in cui manifesta la sua inadeguatezza: si confronta infatti con problematiche assai impegnative, tuttora pregne di dolorosi ricordi, ma con tono davvero superficiale, pieno di archetipi e cliché, così che ci sono sequenze in cui il film perde di ritmo e a malapena si riprende. Gli attori, tutti molto prestigiosi, sembrano aver capito quanto sia scadente il copione, se riferito alla struttura drammatica dei personaggi: fanno quel che possono. Abbastanza, perché il film resti -in qualche modo- a galla. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: V, S, D (ACEPRENSA)

Ortone e il mondo dei Chi

30/4/2008. Regista: Jimmy Hayward, Steve Martino. Genere Animazione. 88 minuti. USA 2008. Tutti.

Ortone è un elefante buonissimo, giocherellone, dotato di fantasia, che si diverte giocando con i suoi piccoli amici in una fitta foresta. Un giorno sente un’esile chiamata di aiuto, che sembra provenire da un minuscolo granello di polvere sospeso per aria. Nel granello, c’è la Città di Chi non So, abitata dai divertenti e microscopici Chi. Il primo cittadino è il Sinda-Chi, un brav’uomo, sposato, papà di un figlio problematico e di 96 figlie, cui nessuno dà retta quando afferma che la città è minacciata da un grave pericolo.


Durante la realizzione degli effetti digitali di film come Fight Club, La tigre e il dragone o Titan A. E., i Blue Sky Studios si sono associati a Fox Animation. Insieme hanno vinto, con Bunny, l’Oscar al miglior cortometraggio di animazione 1998. Hanno continuato poi a collaborare nei bellissimi film L’Era glaciale 1 e 2, e Robots. Ed ecco ora l’indovinato Ortone, brillante adattamento del libro infantile Ortone e il mondo dei Chi.

Molto simpatica, questa commedia di animazione in 3D, destinata ai più piccoli ma pienamente godibile da spettatori di ogni età. In primo luogo, sorprende gradevolmente la sceneggiatura, forse un po’ leggera, ma agile, piena di personaggi molto simpatici e dialoghi esilaranti, con una valida riflessione sul valore della solidarietà e sulla dignità di ogni essere umano. Grazie a questa idea, sintetizzata nel significativo lemma “una persona è una persona, per quanto piccola sia”, il film imprime una dimensione trascendente e religiosa, molto più attraente del rigido razionalismo materialista della signora Canguro, per la quale “tutto ciò che non si può vedere, udire o sentire, non esiste”.

D’altra parte, l’animazione è di altissima qualità, specie per quanto riguarda i gesti dei personaggi, segnando un discreto progresso, rispetto alla serie L’Era glaciale. Una menzione particolare al coregista Jimmy Hayward, eccellente animatore, proveniente dalla Pixar, dove è stato sempre presente -in ogni lungometraggio- fino Alla ricerca di Nemo. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Tutti. Contenuti: --- (ACEPRENSA)

L'altra donna del re

30/4/2008. Regista: Justin Chadwick. Sceneggiatura: Peter Morgan. Interpreti: Natalie Portman, Scarlett Johansson, Eric Bana, David Morrissey, Kristin Scott Thomas, Mark Rylance, Jim Sturgess. 115 m. Gran Bretagna. 2008. Adulti (VX)

Justin Chadwick, regista televisivo britannico, esordisce nel cinema con l’adattamento di un romanzo storico di Philippa Gregory, The Other Boleyn Girl. Si tratta di un tentativo di ricostruire la vicenda del tragico matrimonio tra Enrico VIII ed Anna Bolena, dal punto di vista di Maria, l’ignorata sorellina della regina, che ha avuto un figlio dal re prima che questi cedesse alla passione per Anna.

Per imbastire il film, ci si è affidati allo sceneggiatore inglese Peter Morgan (The Queen, L’ultimo re di Scozia), esperto in personaggi storici. Il film non si inquadra nel tradizionale genere storico, in cui si racconta il celebre episodio che determinò l’uscita dell’Inghilterra dalla Chiesa Cattolica. D’altronde, la capricciosa instabilità sentimentale del re è già stata raccontata altrove. L’altra donna del re non osa neppure allinearsi al consono rigore storico, nel raccontare le vicissitudini dei personaggi, come invece nel memorabile Un uomo per tutte le stagioni.

Quello prodotto da Chadwick, lontano dal descrivere le grandi questioni di stato, refrattario ad un’analisi storico-politica, risulta in realtà un film psicologico. Sviluppa i processi psicologici e affettivi che portano due giovane donzelle a rivaleggiare per la stanza da letto di un potente re. Altrimenti detto, L’altra donna del re è un dramma morale sull’ambizione umana. La storia inglese fa soltanto da sfondo, come nei drammi di Shakespeare.

Non si tratta comunque di un film moralizzante, e nemmeno incline a giudizi sommari. Maria Bolena tradisce suo marito per compiacere sessualmente il monarca e, malgrado il suo errore, resta una donna umile, di buoni sentimenti, capace di sacrifici, generosità e perdono; Anna è machiavellica, ma la sua perversità è il risultato della demolizione di tutti i suoi nobili principi, ad opera del padre e dell’abbietto zio. Infine, è una donna pentita. L’unico personaggio tutto d’un pezzo, integro, senza macchia, è proprio Caterina d’Aragona, interpretata da Ana Torrent.

Onesta appare anche Isabella, madre di Anna, ma incapace di agire diversamente da quanto le ordina il marito, uomo meschino e codardo, la cui ambizione le impedisce di far valere il suo senso del bene e della giustizia, in una società inguaribilmente maschilista. Le due figlie finiscono nel circolo vizioso della debolezza umana, vittime di un uomo che confonde la ragion di stato con i propri capricci personali.

D’altra parte, il tema della questione religiosa, anche se presentato solo tangenzialmente, non appare per nulla in contrasto con le valutazioni emerse nei film storici attuali. In realtà, il cattolicesimo di Caterina d’Aragona sembra l’unica posizione solida, in mezzo al vuoto di fede degli altri personaggi.

La recitazione delle attrici è eccellente. Riescono, con successo, nell’arduo compito di coniugare la meschinità a momenti di umanità. Eric Bana, che si conferma attore di gran talento, non emerge più di tanto per colpa del personaggio che interpreta, assai lontano dalla fisionomia reale del monarca. Il formato del film è tradizionale, ma di successo e molto equilibrato, tra copione e messa in scena. Splendida, la direzione artistica. L’altra donna del re non delude. Juan Orellana. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, X (ACEPRENSA)

21

30/4/08. Regista: Robert Luketic. Sceneggiatura: Peter Steinfeld, Allan Loeb. Interpreti: Jim Sturgess, Kate Bosworth, Laurence Fishburne, Kevin Spacey, Aaron Yoo, Liza Lapira, Jacob Pitts. 125 minuti. USA. 2008. Adulti. (VXD)

Ispirata ad uno di quei casi reali, su cui si rovescia una tonnellata di artifici per renderlo più gradito e capace di tenere in tensione, questo film è un adattamento del libro Bringing Down the House: The Inside Story of Six M.I.T Students Who Took Vegas for Millions, scritto da Ben Mezrich, laureato a Harvard.

L’impostazione è suggestiva: brillanti studenti del MIT utilizzano le loro capacità accademiche, per guadagnare un mucchio di soldi ai casinò di Las Vegas, diretti da un professore astuto e cinico: la mente del piano. La storia inizia con forza e dinamismo. Kevin Spacey si situa alla testa di un cast giovane, ma autorevole e carismatico. Ma passati i primi 40 minuti ecco che affiorano i problemi e le aspettative vanno a picco. S’impone la dura realtà: Luketic è sempre il solito Luketic, noto per La rivincita delle bionde e per Quel mostro di suocera.

Il regista australiano mette la freccia, accelera, per portare alla fine il suo film a sgonfiarsi, sul sentiero del prevedibile, dove nessuno si perde; in un tono troppo simile alla seconda e terza parte della saga Ocean’s. L’emozione scompare e si impone un cliché da commedietta adolescenziale -alle volte fuori controllo-, nonché un modo di risolvere i conflitti puerile e strambo, che rovina la credibilità dell’impostazione iniziale.

Da un copione più intelligente, senza dubbio, sarebbe uscito un buon film. Per due settimane in testa alla classifica negli States, non ha prodotto incassi eccezionali: 46,7 milioni di dollari. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, X, D (ACEPRENSA)

Shine a light

30/4/2008. Regista: Martin Scorsese. Documentario. 122 m. USA, Gran Bretagna, 2007. Giovani. (SD)

Che Martin Scorsese sia amante della buona musica dei grandi complessi rock, chiunque presti ascolto all’accompagnamento musicale dei sui film d’azione lo sa. Ed è questa stessa passione che l’ha spinto a girare documentari come L’ultimo valzer, l’ultimo concerto di The Band, o No direction Home, dedicato a Bob Dylan. Come pure a sostenere una serie tv sui blues, cui ha preso parte con The Blues: Nostalgia del focolare. È arrivato ora il momento, per la sua cinepresa, di immortalare i mitici Rolling Stones. L’occasione è stato il concerto della celebre band al Beacon Theater di New York (autunno 2006).

Il film ha un prologo in bianco e nero, che parla dei preparativi di Scorsese per filmare il concerto, dove anticipa questa luce bruciante, che sorge risplendente, dai fari. Il regista si sofferma pure su alcuni spettatori di eccezione, intervenuti all’evento: la famiglia dell’ex-presidente Clinton.

Con un buon numero di cineprese e il suo buon gusto per l’inquadratura e il montaggio, riesce a trasferirci con agilità le sensazioni prodotte dal vibrante concerto, dove Mick Jagger, Keith Richards, Charlie Watts e Ron Wood si dimostrano traboccanti di energia. Quanti -un tempo- hanno mostrato talento da vendere, non sembrano averlo perso, con il passare degli anni. Ai duetti partecipano Jack White -in un momento molto emozionante- e la famosa Cristina Aguilera. Nel film sono inseriti alcuni clips, che non pretendono di riassumere la carriera dei Rolling Stones, ma aiutano a capire la loro esperienza: i primi a non scommettere un soldo, sulla continuità del gruppo, erano proprio loro. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: S, D (ACEPRENSA)

Juno

12/4/2008. Regista: Jason Reitman. Sceneggiatura: Diablo Cody. Interpreti: Ellen Page, Michael Cera, Jennifer Garner, Jason Bateman, Allison Janney, J.K. Simmons. 91 min. USA-Canada. 2007. Giovani-adulti (SD)

Il regista Jason Reitman (Montreal, 1977), che già aveva trovato gusto nell’esibire cose politically incorrect, nella sua opera prima Thank you for smoking, conferma di trovarsi a suo agio su questo terreno. Gira infatti un’acida commedia che si azzarda a mettere in questione uno dei pregiudizi della cultura occidentale attuale: la gravidanza di una adolescente è una tragedia con un’unica soluzione: l’aborto. Per una ragazzina di 15 anni, che non ha ancora la maturità –ne fisica ne psichica-, una gravidanza è un trauma che può rovinarle la vita, impedirle di formare una famiglia o di avere un futuro professionale.



Juno capovolge l’argomentazione e presenta la gravidanza, in queste circostanze, come una realtà complicata ma sopportabile. Soprattutto, imposta soluzioni che -a lungo andare-, si confermano meno traumatiche dell’aborto.

A qualcuno potrà sembrare, sulle prime, un fatto superficiale che Juno scherzi sulla propria sessualità, poi sulla sua gravidanza, sulla crescita della sua pancia, sui personali capricci gastronomici o su come sperimenta gli effetti del suo frullatore ormonale. Però, accanto ad un tono birichino e ciarliero, nella sorprendente sceneggiatura dell’esordiente Diablo Cody –ex stripper di trent’anni- c’è più di una riflessione interessante, iniziando dall’elaborato disegno all’evoluzione dei personaggi (altro è la verosimiglianza, ma non bisogna dimenticare che lo stile è proprio della commedia).

Juno –magnifica recitazione, quella della canadese 21enne Ellen Page- è tutto carattere: un’adolescente con personalità, capace di assumersi la paternità dei suoi atti, non sempre esemplari. Decide da sé stessa, prescinde dal cosa diranno gli altri, affronta il fatto di comunicare la notizia alla famiglia e la scelta dei genitori adottivi.

Lungo il film, Juno dimostra non soltanto maturità fisica -e una salute invidiabile- per diventare mamma, ma si rivela anche più matura dei trentenni genitori adottivi, adolescenti cronici che soffrono la fobia della responsabilità e del rischio che la vita non riesca perfetta. La maturità di Juno finisce anche per coinvolgere il suo imberbe partner, che da buono a nulla, concentrato solo sullo sport, comincia a pensare che -pur lasciato fuori da Juno (nel film, come quasi sempre nel cinema attuale, il sesso riguarda la coppia, ma la gravidanza solo lei)- forse c’entra un po’ anche lui, con il nascituro.

Oltre a tali messaggi, così radicalmente in controtendenza al modo di pensare più diffuso, il film risulta divertente e piacevolissimo, manifesta dialoghi di vivacità scintillante (talvolta un po’ grevi), un’apprezzabile colonna sonora e un’originalissima partenza dei titoli di coda. Abbastanza, per convincere critica e pubblico. Il film, non solo ha vinto l’Oscar alla miglior sceneggiatura originale e altri premi in diversi festival cinematografici, ma ha anche incassato più di 100 milioni di dollari, solo negli Stati Uniti, dove è stato proiettato in più di 1900 sale: un fenomeno, come la protagonista della storia. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: S, D (ACEPRENSA)

Il cacciatore di aquiloni

12/4/2008. Regista: Marc Forster. Sceneggiatura: David Benioff. Interpreti: Zekiria Ebrahimi, Ahmad Khan Mahmoodzada, Homayoun Ershadi. 122 min. USA. 2007. Giovani. (V)

Non c’è modo d’inquadrare il cineasta Marc Forster, nato nel 1969 in Germania, cresciuto in Svizzera e dal 1990 a New York, dove nel 1993 si è laureato alla Facoltà di Cinema. Da allora ha diretto film alquanto diversi, come il thriller Stay (2005), i premiati Monster’s Ball-L’ombra della vita (2001) e Neverland-Un sogno per la vita (2004), o la singolare commedia Vero come la finzione (2006). Ora, Forster sta girando Quantum of Solace, nuovo capitolo della saga di 007.



Tratto dal noto best seller di Khaled Hosseini, il film inizia a San Francisco, nel 2000. Amir è un giovane scrittore di origine afgana, felicemente sposato, pienamente integrato negli Stati Uniti. Quando pubblica il suo primo romanzo, riceve una misteriosa chiamata telefonica dal Pakistan, che risveglia dolorosi ricordi. L’azione si trasferisce così, nell’Afghanistan del 1978. Amir, intelligente e fantasioso ragazzino di una ricca famiglia pastún, a Kabul vive un’infanzia felice, insieme al suo intimo e ultraleale amico Hassan, figlio di un inserviente del padre, di etnia hazara. Dopo che entrambi vincono ad un concorso di aquiloni, la sua amicizia è tragicamente messa alla prova, da un gruppo di giovani fondamentalisti, che anticipano gli orrori dell’invasione sovietica del paese e del successivo regime talibano.

Girato nella regione più occidentale della Cina e recitato quasi interamente in dialetto dari e pastún, il film sviluppa una bella storia di amicizia, lealtà, tradimento e redenzione, che tesse l’elogio della sincera religiosità musulmana dei personaggi, ponderata in una revisione realistica della drammatica storia recente dell’Afganistan. Probabilmente, per il lettore del romanzo, questa versione non lascerà un grande riscontro. Infatti, in certi passaggi, s’indovina che Forster non attinge tutta l’intensità possibile dalla storia, forse perché si serve di giovani attori non professionisti, talvolta ancora un po’ rigidi. Neanche la trama che illustra la dittatura dei talebani appare ben riuscita.

Comunque, l’inquieto cineasta mantiene un alto livello narrativo, drammatico ed estetico, mette insieme una notevole capacità di regia, senza esagerare nei passaggi più sordidi del racconto. In tal modo, ne trae sequenze commoventi, di grande attrattiva visiva, dove brilla di luce propria la sensazionale partitura musicale di Alberto Iglesias (si è meritato una candidatura all’Oscar), con un audace e moderna fusione di melodie tradizionali afgane e ritmi arabi, flamenchi e orientali. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V (ACEPRENSA)

La banda

12/4/2008. Regista: Eran Kolirin. Sceneggiatura: Eran Kolirin. Interpreti: Sasson Gabai, Ronit Elkabetz, Saleh Bakri, Khalifa Natour, Imad Jabarin. 90 min. Israel, Francia, USA. 2007. Giovani. (S)

Premiata opera prima del giovane israeliano Eran Kolin, ricrea le disavventure della Banda della Polizia di Alessandria, diretta dal capitano Tewfiq, vedovo affettuoso, dotato di forte senso della moralità. I musicisti egiziani viaggiano in Israele, per suonare all’inaugurazione di un Centro Culturale Arabo, in una minuscola cittadina. Ma dopo aver preso un autobus sbagliato, finiscono in un paese israeliano, perso nel deserto del Negev, dove troveranno accoglienza presso vari paesani, alla testa dei quali emerge Dina, la frivola proprietaria di un bar.



Il film rivela una sottigliezza e un’umanità davvero insoliti. Affascina soprattutto la profondità drammatica della sceneggiatura, che si addentra in questioni morali di prim’ordine -il metticciato culturale, i rapporti genitori-figli, la solitudine dell’edonismo, l’unità famigliare, l’onore, la responsabilità…-, inquadrati secondo una prospettiva esigente, senza mai incrinare l’autenticità dei personaggi. Per di più, Kolirin dimostra un talento tutto speciale, nel passare dal dramma più straziante alla commedia più assurda, cogliendo lusinghieri risultati in entrambi.

Inoltre, la sceneggiatura, tradotta magistralmente grazie alla direzione di attori, è semplicemente da antologia se ci si riferisce al veterano Sasson Gabai, che impersona Tewfiq. Sorprende il fatto che Kolirin ottiene questi risultati, da uno stile sobrio di recitazione, quasi stolido, che si approssima alla comicità classica di un Buster Keaton, di un Jacques Tati, o a quella collaudata del finlandese Aki Kaurismaki, principale riferimento di Kolirin, anche per la nuda messa in scena. Una pianificazione generale, dunque, che appare ridotta all’essenziale, esaltata da una fotografia di alto valore drammatico e da un montaggio molto coraggioso; soprattutto nei sensazionali colpi di humour.

Un piccolo capolavoro, divertente, profondo ed emotivo a un tempo, che rinnova a fondo le convenzione della commedia. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: S (ACEPRENSA)

L'amore secondo Dan

12/4/08. Regista: Peter Hedges. Sceneggiatura: Pierce Gardner, Peter Hedges. Interpreti: Steve Carell, Juliette Binoche, Dianne Wiest, Dane Cook, Emily Blunt. 98 min. USA. 2007. Giovani.

Steve Darell, attore alla moda di commedie americane (Una settimana da Dio, Un’impresa da Dio), realizza la miglior performance di sempre, interpretando Dan Burns, giornalista e assessore famigliare, vedovo da quattro anni e papà di tre figlie: due adolescenti e una più giovane.



All’inizio della storia, il nostro ha appena ricevuto un’importante offerta di lavoro, ma sul fronte degli affetti famigliari gli risulta molto pesante dover imbarcare le sue figlie per la riunione famigliare che ogni anno i Burns celebrano a Rhode Island. Genitori, fratelli e nipoti, più di venti persone, formano una divertente e caotica tribù, nella quale tutti se la spassano, prendendolo in giro. Nel viaggio Darrell si perde e conosce per caso Marie. È la prima volta che una donna ha attirato la sua attenzione, dopo la morte della moglie. Dan si ritrova con il suo numero di telefono. Ma quello stesso pomeriggio suo fratello Mitch presenta la fidanzata a tutta la famiglia. E chi altri è, se non Marie in persona?

Il film è dedicato alla famiglia, in una casa dove tre generazioni possono convivere e divertirsi da matti, portarsi l’ultimo arrivato e parlarsi chiaro, l’uno l’altro, senza offendersi perché l’affetto supera tutto. Ha il valore di evidenziare tipi e situazioni in cui facilmente ci riconosciamo. Il regista valorizza quella casa e quella famiglia per svelare, poco a poco, i piccoli segreti di ciascuno, riuscendo a trasformare un fine settimana in evento unico, pieno di scherzi, giochi, confidenze, qualche arrabbiatura, molto amore.

Peter Hedges, che pochi anni fa ha tratto un grande film su di un altro soggetto famigliare, Schegge di Aprile, si è azzardato a descrivere una famiglia unita -un tempo si diceva “normale”- dove basta la vita quotidiana, senza cose strane, per offrire materiale a molteplici avventure. Penso che, nel confronto tra Dan e le figlie adolescenti, il primo ne esca eccessivamente ridimensionato, esagerandone errori e difetti; ma sono minuscoli nei di una commedia divertente, il cui bilancio è positivo. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: --- (ACEPRENSA)

Spiderwick - Le Cronache

12/4/2008. Regista: Mark Waters. Sceneggiatura: John Sayles, Karey Kirkpatrick, David Berenbaum. Interpreti: Freddie Highmore, Sarah Bolger, Mary-Louise Parker, Nick Nolte, David Strathairn. 97 min. USA. 2008. Tutti.

Helen, appena divorziata e senza il becco di un quattrino, deve traslocare coi tre figli (una ragazzina di 14 anni e due gemelli di 12) in una vecchio e grande edificio, appartenuto al bisnonno Arthus Spiderwick, scomparso in strane circostanze, mentre lavorava in un misterioso quaderno da campo, sul bosco che attornia la casa.



Tratto dai racconti di Tony Di Terlizzi e Holly Black, il film resta fedele al disegno originale -di aria vittoriana-, tanto per l’aspetto della grande casa, come per le creature fantastiche. Certamente, al regista crea un certo impaccio far decollare la storia (il piccolo Jared tarda a definirsi e ad occupare il ruolo protagonista che gli corrisponde); ma una volta in marcia, la narrazione scorre e miscela con scioltezza divertenti scene di azione ad altre semplicemente drammatiche, relative alla famiglia e ai suoi problemi, ad altre ancora cariche di suspense. E in questa storia, il regista mette in relazione due mondi; ci sono eventi del mondo magico che aiutano ad affrontare i problemi del mondo reale; e ci sono temi seri che si possono impostare attraverso una storia fantastica, come il regista Mark Waters ha già fatto nella commedia Quel pazzo venerdì.

Un film simpatico, un grande cast e una squadra tecnica di prim’ordine. Non pare adatto a bambini minori di 10 anni. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.



Pubblico: Tutti. Contenuti:---(ACEPRENSA)

Interview

12/4/2008. Regista: Steve Buscemi. Sceneggiatura: David Schechter, Steve Buscemi Interpreti: Sienna Miller, Steve Buscemi. 83 min. USA, Canada, Holanda. 2007. Adulti. (SD)

Steve Buscemi incarna Pierre Peders, giornalista politico in fase di netto declino, che il suo superiore tende a emarginare dall’attualità di Washington. Così eccolo inviato ad un ristorante, con il modesto obiettivo di intervistare una popolare, bella e stupida attrice di soap opera chiamata Katya (Sienna Miller). Nessuno dei due coltiva alcun interesse per l’intervista. Lei arriva con un’ora di ritardo, lui ignora tutto sull’attrice e sulla sua carriera, senza cercare neppure di nasconderlo. L’intervista finisce prima d’incominciare, ma quando escono dal ristorante un incidente li costringe ancora insieme. Ci troviamo così nell’appartamento di Katya, dove l’intervista proseguirà in altro modo, con altri livelli di sincerità e a sorpresa.



Buscemi è il regista, sceneggiatore e interprete di questo remake del film del defunto Theo Van Gogh; lo ha girato con la stessa squadra della prima sua opera, Interview, nel 2003. E nello stesso stile. Ovvero, facendo lunghe riprese con tre cineprese in contemporanea: una per ciascun attore; la terza, per le sequenze generali. Ma Buscemi non ha realizzato una banale fotocopia; il personaggio di Pierre Peders è opera sua. Deve molto al suo primo lavoro di regista (Mosche da bar), anche in relazione al più famoso Delirious.

Interview è una sfida interpretativo tra due grandi attori, coinvolti in un gioco divertente e crudele: fumano, bevono, flirtano, mentono, e si scambiano di continuo il ruolo del gatto col topo. Il tutto, cercando di tirar partito da tali contrasti e di sorprendere lo spettatore con una specie di miscela di Chi ha paura di Virginia Woolf? e Sleuth-gli insospettabili. Poteva riuscire un capolavoro, se fosse sceso in profondità, ma rimane alla superficie delle cose, proprio del mondo frivolo che denuncia. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: S, D (ACEPRENSA)