Madagascar 2

27/12/2008. Regista: Eric Darnell, Etan Coehn, Tom McGrath. Sceneggiatura: Eric Darnell, Etan Coehn, Tom McGrath. 89 min. USA. 2008. Giovani.

Dopo la vacanza trascorsa ad assaporare i piaceri del Madagascar, gli animali fuggiti dallo zoo di New York decidono di tornare alla Grande Mela. Ma il loro avventuroso volo si interrompe all'improvviso lasciandoli nel bel mezzo della savana africana, dove il leone Alex, la zebra Marty, l’imbranata giraffa Melman e l’ippopotamo Gloria riscoprono le proprie radici, se non addirittura la famiglia di origine.



Questa seconda avventura zoologica di Dream Works, espressa in un'animazione in 3D ulteriormente progredita, è dotata di un copione più agile e rifinito del precedente episodio; soprattutto nel drammatico flash-back iniziale, riguardante l’infanzia del leone Alex. Il tutto, inframmezzato da continue battute umoristiche -geniali quelle dei pinguini- e dalle rivendicazioni di lavoro del sindacato degli scimpanzé. Una speciale menzione anche all'eccellente colonna sonora di Hans Zimmer, con canzoni e balli di facile presa. Non mancano varie allusioni a maestri del calibro di Leonard Bernstein (West Side Story) o Ennio Morricone.

Se il film pretende però di attrarre anche un pubblico adulto, allora non appare un prodotto sufficientemente elaborato, con sotto-trame che imitano troppo apertamente altri film, soprattutto Il Re Leone, capolavoro della Walt Disney, cui allude smaccatamente. Ne risulta, comunque, uno spettacolo di divertente intrattenimento che, senza rompere la routine di Dream Works, è pur sempre capace di attrarre un pubblico eterogeneo. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: --- (ACEPRENSA)

Ultimatum alla terra

27/12/2008. Regista: Scott Derrickson. Sceneggiatura: David Scarpa. Interpreti: Jennifer Connelly, Keanu Reeves, Jon Hamm, Kathy Bates, John Cleese, Jaden Smith. 103 min. USA. 2008. Giovani


Nel 1951, Robert Wise realizzò Ultimatum alla Terra, che -a mio giudizio- è uno dei tre migliori film di fantascienza mai prodotti (gli altri due sono: 2001, Odissea nello Spazio e Star Wars). Il film racconta l’arrivo di un extraterrestre, di nome Klaatu, personaggio decisamente messianico, accompagnato da un gigantesco robot. Klaatu è latore di un messaggio all’umanità: se non impariamo a vivere in pace, saremo distrutti.



Derrickson, autore di The exorcims of Emily Rose, ha affidato i ruoli principali a due ben noti attori, Keanu Reeves (Matrix) e Jennifer Connelly (A beautiful mind). Il film non resiste al paragone con l’originale: è soltanto un film discreto, con buoni effetti visivi; a volte divertente e spettacolare, a volte noioso e prevedibile. Il messaggio principale dell’inespressivo Klaatu pare aver subìto un lifting: sembra troppo new age, cioè deliberatamente etereo, brumoso e politically correct. L’uomo è una minaccia per la vivibilità del pianeta Terra, con il suo rozzo militarismo e i suoi desideri distruttivi. La capacità di amare dell’essere umano e una vaga spiritualità -così vaga, da non potersi quasi definire tale- costituiscono la tenue traccia di speranza. Questo deliberato adattamento ad una sensibilità molto diffusa, tipica dei tempi nuovi, costituisce la principale debolezza del film. Ne scaturisce una trama banale e riduttiva, a maggior ragione, se confrontata con i grandi temi toccati dal film di Wise. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. -- (ACEPRENSA)

Come un uragano

27/12/2008. Regista: George C. Wolfe. Sceneggiatura: Ann Peacock, John Romano. Interpreti: Richard Gere, Diane Lane, Christopher Meloni, Viola Davis, Scott Glenn. 97 min. USA. 2008. Giovani-adulti. (XD)

Adrienne è una bella donna, madre di un'adolescente ribelle e di un bambino. Il marito, che l’ha abbandonata da alcuni mesi, le chiede ora una seconda opportunità. Per chiarirsi le idee, Adrienne va a sostituire -per un po' di tempo- la sua miglior amica, nella gestione di un albergo sulla spiaggia di Rodanthe (Carolina del Nord). È così che conosce Paul, prestigioso chirurgo, in crisi dopo la morte di una paziente e dopo la fuga del figlio, avventuratosi nella foresta ecuadoriana, come medico volontario.

Questo melodramma di George C. Wolfe evidenzia stesse virtù e difetti di altri adattamenti dei romanzi di Nicholas Sparks. Proprio in altri film, come Le parole che non ti ho detto, I passi dell’amore o The Notebook, anche qui si trattano conflitti drammatici e di serio impatto morale, sviluppati con fluida emotività ed incarnati da personaggi ben definiti, che facilitano la recitazione degli attori. È così un piacere trovarsi di fronte Richard Gere e Diana Lane in un posto meraviglioso, magnificamente valorizzato dalla fotografia di Alfonso Beato ed avvolto nelle spire della calda colonna sonora di Jeanine Tesori.

Comunque, proprio come nei film citati, l’insieme risente di un'elaborazione morale insufficiente -dove il desiderio prende spesso il sopravvento sulla responsabilità- e di un tono eccessivamente melodrammatico, così che il dolore vi irrompe in modo artificioso e letterario. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: X, D (ACEPRENSA)

Il bambino con il pigiama a righe

27/12/08. Regista: Mark Herman. Sceneggiatura: John Boyne, Mark Herman. Interpreti: Asa Butterfield, Vera Farmiga, David Thewlis, Jack Scanlon, Amber Beattie. 96 min. GB, USA. 2008. Giovani. (V)

Bruno è un bambino di otto anni, felice e innocente. Sa che il suo paese è in guerra e gioca alla guerra con gli amici; come tutti, anche lui crede che i “suoi” siano “i buoni”. Vive a Berlino con i genitori e la sorella Gretel, di dodici anni, quando suo padre, un militare che -all'inizio del film- è stato appena promosso, deve recarsi alla nuova destinazione, portandosi dietro la famiglia.




Naturalmente, Bruno è restio a lasciare la sua città e gli amici. La nuova casa è isolata, non c’è niente da fare. Nessuno con cui giocare. Dalla finestra della sua stanza, Bruno vede però -non troppo lontano- una fattoria, dove ci sono dei bambini con cui forse giocare; ma gli è vietato avvicinarsi a quella strana fattoria, dove tutti portano il pigiama. Tuttavia Bruno, come ogni ragazzino irrequieto, ama le avventure. Di nascosto, trova quindi il modo di avvicinarsi alla fattoria, dove conosce Shmuel, un bimbo della sua stessa età. Subito diventano amici, a tal punto che Bruno, pur non piacendogli la nuova casa ed avendo l’opportunità di lasciarla, non vuole andarsene. Sarà proprio questa sua determinazione, a condurlo verso conseguenze inattese.

Il romanzo di John Boyne Il bambino con il pigiama a righe è stato un caso letterario, prima di arrivare ora su grande schermo, grazie alla perizia dello sceneggiatore e regista Mark Herman (Little voice-È nata una stella, Grazie, signora Tatcher), noto per la sensibilità e la cura dei dettagli. Boyne -in persona- ha collaborato alla sceneggiatura di un film che forse, meglio ancora del libro, mostra l’innocenza dei bambini, la loro meravigliosa fiducia negli adulti. Ed il rischio di perderla.

La scoperta dell’orrore è graduale: ci sono molti messaggi lanciati a Bruno, che lo spettatore interpreta in modo diverso dal bambino. C’è una scena commovente dove Bruno, cercando di capire il suo mondo e le sue scoperte, domanda a sua sorella: “papà e buono?” Questa scena ha un riscontro nella gioia che poi avverte, quando crede di aver trovato le prove della bontà paterna.

Film forte, girato senza il dispiego di mezzi vantato da un regista come Polanski, per trasmettere un messaggio, forte e umano, senza concessioni al facile manicheismo: lo stesso evidenziato nel film Il pianista. Il cast fa un lavoro sensazionale, assecondato dall’eccellente musica del maestro James Corner (Titanic). Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V (ACEPRENSA)

Bolt

27/12/08. Regista: Byron Howards, Chris Williams. Sceneggiatura: Chris Sanders. Animazione. 99 min. USA. 2008. Tutti.

Il matrimonio Disney-Pixar ha esordito con un notevole film in 3D, della Disney, I Robinson, una famiglia spaziale- e due capolavori della Pixar: Ratatouille e Wall-E. Adesso la coppia si consolida grazie a Bolt, altro film eccellente, nato -stavolta- come progetto in 3D della Disney.



Il film inizia con una delle migliori sequenze di azione della storia dei cartoni animati. Bolt, un cane fedele che crede di possedere super-poteri, fugge da casa, al fine di riscattare la sua padroncina, una combattiva bambina di nome Penny che, secondo il cane, è stata sequestrata da uno scienziato malvagio. Durante il viaggio iniziatico attraverso gli Stati Uniti, Bolt scoprirà la verità delle cose, coadiuvato dalla cinica gatta di strada Mittens e dall'entusiasta hamster Rhino, che vive in un pallone di plastica.

Basata su una solida premessa narrativa -con analogie presenti in The Truman Show-, Bolt sviluppa un’inquietante eclissi d’identità, che ricorda quella patita da Buzz Lightyear, in Toy Story. Per poi lanciare una durissima critica al business televisivo e ai manager degli attori, dominati -nel film- da un materialismo utilitarista e disumano, privo di scrupoli.

Comunque, oltre a questa lucida protesta, Bolt offre un’emotiva apologia dell'amicizia, della lealtà, del coraggio, della responsabilità sociale, del lavoro ben fatto, della capacità di sacrificio, che rapisce lo spettatore dall’inizio alla fine. Oltre ad essere davvero ben scritto, il film è realizzato con un’animazione in 3D ad altissima qualità, impressionante nel ritmo e nella ricchezza gestuale. Meritano un encomio anche i suggestivi sfondi in 3D e 2D, nonché la sensazionale colonna sonora di John Powell, corredata da varie ballate country, e veramente degna di un Oscar. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Tutti. Contenuti: --- (ACEPRENSA)

Quantum of solace

29/11/2008. Regista: Marc Forster. Sceneggiatura: Paul Haggis, Neil Purvis, Robert Wade. Interpreti: Daniel Craig, Olga Kurylenko, Mathieu Amalric, Judi Dench, Giancarlo Giannini. 106 min. USA, Gran Bretagna 2008. Giovani. (VS)

Con 600 milioni di dollari incassati, Casino Royale, nel filone dell'agente segreto 007 (James Bond), ha saputo oltrepassare la soglia dei precedenti episodi, ancorati a schemi prevedibili e pieni di routine, andando a riscuotere il consenso della critica. Il merito va al trio di sceneggiatori, al buon lavoro della coppia protagonista, Daniel Craig-Eva Green, nonché alla professionalità esibita dal regista, Martin Campbell.



Nel ventiduesimo film della saga, che vede sempre protagonista l’attuale impassibile e squadrato agente segreto britannico, gli abili autori della storia hanno proseguito sulla scorta del film di cui sopra, con lunghissime sequenze d'azione, altamente spettacolari ed in una trama articolata, dove torna ad avere un ruolo rilevante una donna, adesso l’attrice ucraina Olga Kurylenko, con un personaggio meno grato ed sviluppato della contabile Vesper Lynd, in Casino Royale.

Se nel film precedente Bond appariva vulnerabile, dopo aver infranto la proibizione di innamorarsi, lo si vede ora disincantato e desideroso di vendetta: il che provocherà problemi con la sua capo. La ragione è che gli sceneggiatori hanno presso sul serio -entro certi limiti- lo sviluppo di un personaggio che si sono impegnati a valorizzare, nell'intento di ottenere un cinema d’azione più stilizzato e suggestivo. In tal senso, simpatico ed ingegnoso è il modo in cui Bond torna alla calma, dopo aver distrutto mezzo mondo.

Sorprende la rinuncia quasi completa all'erotismo, in un film interessante, meno stridente del precedente, che resta comunque migliore. Con opzioni simili alla saga di Bourne, riesce la scommessa di resuscitare un personaggio, fino adesso ostaggio di un'annosa routine. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V, S (ACEPRENSA)

Nessuna verità

29/11/2008. Regista: Ridley Scott. Sceneggiatura: William Monahan. Interpreti: Leonardo DiCaprio, Russell Crowe, Mark Strong, Golshifteh Farahani, Vince Colosimo. 128 min. USA. 2008. Giovani. (V)

Due grandi attori costituiscono il principale richiamo di questa storia di spie della CIA, implacabili segugi, a caccia di terroristi nei paesi islamici. DiCaprio è un veterano agente operativo, agli ordini di Crowe, il suo capo a Langley. Entrambi dovranno cooperare col servizio d’intelligence giordano, al fine di catturare il capo di una cellula terroristica, autore di devastanti attentati in Europa.


Pur trattandosi di un film senza grandi pretese, è -tra gli ultimi- uno dei migliori di Ridley Scott, settantenne regista inglese, protagonista di una carriera contrassegnata da continui alti e bassi. La sceneggiatura scaturisce da un adattamento del romanzo omonimo di David Ignatius, realizzato da William Monahan (The departed). La storia non è del tutto originale. Somiglia molto ad altri film, sul tipo Spy Games.

Scott sa realizzare film di costosa e complessa produzione, con molteplici cambi di scena, centinaia di comparse e sequenze spettacolari. Fin qui, niente di speciale, se non fosse che emerge ora un maggior contenuto, in uno stile meno superficiale, che rivela anzi l'intento di sviluppare in modo accurato una storia, seguendo l’evoluzione di alcuni personaggi che, seppure idealizzati, lasciano intravedere una certa qualità (specialmente un grande Russell Crowe, che infonde rispetto e paura, riuscendovi in modo brillante).

Presentato il 10 ottobre negli Stati Uniti, il film ha realizzato -a metà novembre- 36 milioni di dollari (al costo di 70): un incasso decisamente scarso, se si tiene conto dei carismatici nomi presenti nel cast.

Nessuna verità, di notevole e valida fattura, si colloca in un lungo elenco di film statunitensi omologhi, che affrontano il lavoro dei servizi segreti in un atteggiamento che è un misto di ammirazione e rifiuto. Ma riesce a distinguersi da questi, che terminavano col proporre uno spettacolo solitamente di scarso spessore, capace di penalizzare le pur necessarie sfumature e la struttura drammatica, poco solida e verosimile. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. V (ACEPRENSA)

High School Musical 3

29/11/2008. Regista: Kenny Ortega. Sceneggiatura: Peter Barsocchini. Interpreti: Zac Efron, Vanessa Hudgens, Ashley Tisdale, Lucas Grabeel, Corbin Bleu. 112 min. USA. 2008. Giovani.

High School Musical è un fenomeno culturale, nato -quasi per caso- il 20 gennaio 2006, quando una commedia musicale realizzata per la tv ha battuto record di audience, dando vita ad una congerie di imitazioni, di ogni tipo.



È molto di moda criticare gli spettacoli, per quello che avrebbero dovuto essere, trascurando invece ciò che hanno comunque saputo offrire. Questo film, senza far eccezione, è stato criticato per la mancanza di profondità, per la mera esibizione di balli e canzoni, per rientrare nei cliché di quei prodotti televisivi che sfruttano il successo commerciale, facendo presa sugli adolescenti.

Tutto ciò sarà anche vero, ma non rende giustizia al film. High School Musical 3: Senior Year è, in primo luogo, una commedia musicale moderna, molto ben girata -gran merito va al direttore di fotografia, Daniel Aranyó-, con numeri musicali eccellenti ed un cast di giovani attori di alto livello.

Sull'onda dei due film diretti da Kenny Ortega per Disney Channel, bisogna dire che l'azienda Disney ha ripetuto squadra, e che questa passa con scioltezza al grande schermo. Ortega torna al grande formato cinematografico (dove aveva esordito), trovandosi altrettanto a suo agio, che nelle produzioni TV: inoltre, domina il genere musicale. Bisogna ricordare che, molti anni fa, aveva collaborato con Gene Kelly alla coreografia di Xanadù, e che la sua carriera di regista è iniziata proprio da un buon musical: Newsies.

La storia, senza tradire il copione, offre piuttosto un promettente seguito e un adeguato finale alle normali avventure di Troy e Grabiella, di Chad, di Sharpay e Ray, dei Wildcats, impauriti di ciò che riserverà loro il futuro, al momento di lasciare il liceo e di doversi separare. Il messaggio è ottimista e positivo: bisogna lottare, per ciò che si desidera realizzare, seguendo la propria vocazione. Convenzionale? Senz'altro. Banale? Per niente. Anzi, la musica ed il ballo vi fluiscono con la stessa facilità dei grandi film classici di un tempo.

Per gli innumerevoli fans di Troy e Gabriella è un grande evento. Ma anche per chiunque sia capace di godersi, in semplicità, un buon musical. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: -- (ACEPRENSA)

Rachel sta per sposarsi

29/11/08. Regista: Jonathan Demme. Sceneggiatura: Jenny Lumet. Interpreti: Anne Hathaway, Rosemarie DeWitt, Mather Zickel, Bill Irwin, Debra Winger. 114 min. USA. 2008. Adulti. (XD)

Jonathan Demme dirige in modo altalenante questo dramma familiare, di notevole valore, che si avvale di eccellenti recitazioni e della notevole sceneggiatura dell'esordiente Jenny Lumet, figlia di quel veterano della regia, che risponde al nome di Sidney Lumet.



Proprio in tempo per il matrimonio della sorella Rachel, Kim -giovane attrice e modella- esce da un centro di riabilitazione per tossicomani. La casa dei genitori è tutto un agitarsi di preparativi, dove la sarcastica Kim non si trova a suo agio, in quel clima di allegria festiva, Infatti, dentro di lei c’è un senso di colpa straziante, che la inclina a ritenere che i genitori e la sorella non le vogliano più bene, come prima.

Se abbiamo qualificato la regia come ondivaga, è solo perché Demme (già autore de Il silenzio degli innocenti) incorre nell'errore di far durare ben 114 minuti il film, con un eccesso di musica, discorsi e balli, che minano la pazienza dello spettatore. Come risaputo, dopo aver girato due anodini remakes (The Manchurian candidate, The truth about Charlie), Demme ha manifestato di trovarsi più a suo agio quando si limita al documentario.

La verità è che il film rivela proprio uno stile documentaristico, con molte scene girate con cinepresa a mano, peraltro di eccellente fattura e che rivelano una potente sceneggiatura e personaggi dotati di notevole interesse. Anche se il sottogenere utilizzato (regolamento di conti in occasione di matrimonio), risulta già ampiamente utilizzato. Esagerati appaiono certi tocchi melodrammatici nei momenti topici di una trama, che affronta i traumatici rapporti paterno-filiali: con durezza e tenerezza. Anne Hathaway dimostra la sua eccellente maturazione di attrice drammatica, realizzando una parte stupenda, in un film che pure vanta alcune sequenze molto brillanti, specialmente quelle dominate dai magnifici Bill Irwin e Debra Ginger, i genitori di Kim. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: X, D (ACEPRENSA)

Max Payne

29/11/08. Regista: John Moore. Sceneggiatura: Beau Thorne. Interpreti: Mark Wahlberg, Mila Kunis, Olga Kurylenko, Amaury Nolasco, Chris O'Donnell. 99 min. USA. 2008. Adulti. (VSD)

Il protagonista è un poliziotto, gettato nello sconforto dalla perdita di moglie e figlio, entrambi assassinati. Payne vive ormai, al solo scopo di vendicarsi. Questo film è un'ennesima dimostrazione del desiderio, dei grandi di Hollywood, di trovare l'Eldorado puntando sull'usato sicuro. È per questo, che da anni stanno trasponendo su grande schermo i comics e i videogiochi di maggior successo.

Come spesso avviene, lo sceneggiato evidenzia la difficoltà di tenersi, anche sullo schermo, all'altezza della storia originale. Lo spettatore che non conosce il videogioco, si trova di fronte ad un thriller sconcertante, in un film, dove sovraccarica risulta l’ambientazione e il senso di alcune scene chiavi. La cosa più riuscita è l’atmosfera sinistra e oppressiva che lo permea, ma a questa oscurità si aggiungono le strane apparizioni -evocate dal ricorso alla droga-, che portano solo confusione. Le scene d'azione eccedono nella lentezza della sequenze, cercando di riproporre il gioco di Max Payne, innovatore nel suo tentativo di far muovere il personaggio, in modo tale da farlo saltare e sparare contemporaneamente. Nel film, però, tutto questo diviene stancante, ricadendo nel dejà vu. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, S, D (ACEPRENSA)

Wall.E

25/10/2008. Regista: Andrew Stanton. Sceneggiatura: Andrew Stanton. Animazione. 98 m. USA. 2008. Tutti.

Alla Pixar si gioca per superarsi. Oggi come oggi, non trovando rivali si gareggia con sé stessi. E quando si sta ad un altro livello, non essendoci concorrenza che tenga, ci si può permettere di correre rischi. Come già avvenuto in un cocktail di topi e cucine, nonché trasformando bolidi da corsa, in protagonisti da cine. Il lemma è: “troviamo qualcosa di ancora più difficile”. Ed ecco ora una storia romantica, praticamente muta. Protagonisti, due robot, quasi senza faccia. La storia è ambientata, nella prima parte, in un mondo trasformato in pattumiera. Se con queste premesse si riesce a conquistarsi lo spettatore e farlo divertire, allora vuol dire che sei un genio. Ed i geni sono di un altro pianeta.



Il creatore di questo spassosissimo e -diciamolo subito- sensazionale film è Andrew Stanton. Alla Pixar ha fatto di tutto: dal dirigere Alla ricerca di Nemo e A Bug’s Life-Megaminimondo, a scrivere le trame di Monster’s&Co e Toy Story 2. Il film inizia con la presentazione dei due personaggi iniziali: WALL.E, sconquassato robot che ha la missione di ripulire un pianeta -la Terra- sommerso di spazzatura e disabitato (gli uomini hanno viaggiato, per colonizzare lo spazio di tanti centri commerciali) ed EVE, “una” robot che ispeziona il territorio, in cerca di vita. WALL.E, innamoratosi di EVE, decide di seguirla per lo spazio, fino al luogo dove si trovano gli umani, ridotti ad esseri obesi, a causa della vita comoda e di un vorace consumismo.

Tecnicamente WALL.E funziona alla perfezione. L’espressività dei disegni, curati al dettaglio, e la sorprendentemente adeguata musica fanno sì che non si avverta la mancanza di dialogo (il cinema non è immagine? dunque tutto si deve narrare per immagini). Tuttavia Stanton non si ferma qui: ha costruito un copione di grande ricchezza, dove si fondono il romanticismo -da antologia la divertente allusione a Hello Dolly!-, lo humour, i riferimenti cinematografici, da 2001: Odissea nello spazio a Chaplin-, nonché la critica sociale. In questo caso, il film affronta la questione dell'ecologia ambientale da una prospettiva tanto indovinata, quanto lontana dai luoghi comuni. WALL.E mette il dito nella piaga, quando indica dove risieda la vera minaccia per il pianeta: una società che affoga nell'eccesso di comfort e consumismo. Tutto ciò, senza bisogno di comizi. Con moltissimo tatto, eccoti presentata una buona storia, con validi personaggi ed effetti ben studiati. Vale a dire, una magnifica lezione di cinema. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Tutti. Contenuti: --- (ACEPRENSA)

Burn after reading - A prova di spia

25/10/2008. Regista: Ethan Coen, Joel Coen. Sceneggiatura: Ethan Coen, Joel Coen. Interpreti: Brad Pitt, George Clooney, John Malkovich, Tilda Swinton, Frances McDormand, J.K. Simmons, Richard Jenkins. 93 min. USA. 2008. Adulti. (VXD)

Opera buffa minore di Joel e Ethan Coen, dopo il trionfo negli Oscar con Non è un paese per vecchi. I due fratelli prendono in giro il mondo dello spionaggio, situando la loro trama a Washington. L’azione inizia dal quartier generale della CIA a Longley, dove l’analista Osborne (John Malkovich) è licenziato su due piedi. Da allora, il nostro ozia tutto il giorno, mentre scrive le sue memorie e ingerisce eccessive quantità di alcool. Sua moglie Katie (Tilda Swinton) lo disprezza, tradendolo con Harry (Gorge Clooney), agente del tesoro sposato, che -per conto suo- se ne esce anche con altre. Una sarà Linda (Frances McDormand), che lavora in una palestra, ossessionata dalla necessità di sottoporsi alla chirurgia estetica, pur di migliorare il fisico. Il ritrovamento di un cd con le memorie di Osborne, di contenuto presumibilmente delicato, incoraggia Linda e Chad (Brad Pitt) ad offrirsi di restituirlo: però, solo in cambio di denaro.


I Coen ritraggono un gruppo di mediocri perdenti, con le loro vite amorose insoddisfatte, ossessionati dall’aspetto fisico e dai soldi, da un certo benessere, o da una felicità che ignorano come ottenere. Ciò dà spunto a varie situazioni divertenti, come la chiamata telefonica a Osborne, l’incursione all'ambasciata russa, le surrealistiche conversazioni a Langley…, ma anche a qualche sequenza grezza, di discutibile humour. Nel cast, stupendo, gli attori sembrano divertirsi un mondo. È un film senza troppe pretese, dove la critica a certi atteggiamenti contemporanei, che mirano troppo all'effimero, risulta limitato dallo stesso tema prescelto. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-adulti. V, X, D (ACEPRENSA)

Quel che resta di mio marito

25/10/2008. Regista: Christopher N. Rowley. Sceneggiatura: Daniel D. Davis. Interpreti: Jessica Lange, Kathy Bates, Joan Allen, Tom Skerritt, Christine Baranski. 93 m. USA. 2008. Giovani. (D)

Alcuni anni fa, l’adattamento di un romanzo di Rebecca Wells ottenne l'effetto di raccogliere una sfilza di attrici, per un divertente ed emotivo road movie. I sublimi segreti delle ya-ya sisters, ecco il titolo del film, con Sandra Bullock, Ellen Burstyn, Fionnula Flanagan, Ashley Judd e Maggie Smith. Forse questo era il film che pensavano tre magnifiche attrici come Jessica Lange, Kathy Bates e Joan Allen quando hanno accettato la proposta di Rowley, regista alle prime armi, che racconta l’assurdo viaggio di tre amiche, per seppellire le ceneri del marito di una di loro.


Quel che resta di mio marito pretende di essere un inno all'amicizia femminile, nonché una difesa della terza età e delle sue possibilità. Come melodia di fondo non è male, ma risultano stonate le parole e il ritmo (una miscela comico-melodrammatica, un po’ indigesta), così come il ritratto delle tre protagoniste -sia come donne, che come persone in età-, non si svincola dal solito cliché. Anche in questo caso, al salvataggio del film ha provveduto il cast, spettacolare: tre grandi attrici, capaci di affrontare di tutto. Alla fine, una storia senza pretese, tipica da DVD (ben due anni, sono trascorsi, per arrivare sugli schermi). Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: D (ACEPRENSA)

The women

25/10/08. Regista: Diane English. Sceneggiatura: Diane English. Interpreti: Meg Ryan, Annette Bening, Debra Messing, Jada Pinket Smith, Eva Mendes. 114 min. USA. 2008. Adulti. (SD)

The Women è il remake del film Donne, che George Cukor diresse nel 1939. Il film dell'epoca, adattamento al cinema dell'opera teatrale di Clare Booth Luce, raccontava la storia di una donna dell’alta società, ingannata dal marito, e del suo rapporto con il suo circolo di amiche. Contava su di un cast esclusivamente femminile, capitanato da Norma Shearer, Joan Crawford, Rosalind Russell, Paulette Goddard e Joan Fontane.



Diane English, alma mater della commedia di successo Murphy Brown, ha avuto l'incarico del remake aggiornato del film di Cukor. Quindi, ha pensato bene di trasformare una delle donne in lesbica, di far scadere la cattiva indole delle donne di Cukor, cambiando il finale, giusto per renderlo più appetibile.

English ha optato per una realizzazione televisiva e una narrazione reiterativa e pesante. Ci si avvede subito che il copione è opera da apprendista, di un'incapace a mettere in luce il cast del film. Alla fine, quella che brilla di più -ma neanche tanto- è Candice Bergen.

D’altronde, in linea con Sex and the City, The Women offre un ritratto spaventosamente semplicistico e ridicolo delle quattro donne. Se non altro, le protagoniste di The Women -paragonate a Sex and the City- fanno qualche cosa in più, oltre a sperimentare nuovi cocktail e far shopping, al solo scopo di esibire continuamente vestiti firmati. Ora hanno almeno un lavoro, leggono, scrivono e cercano perfino di educare i figli. Sempre meglio di niente. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: S, D (ACEPRENSA)

La mummia. La tomba dell'imperatore dragone

25/10/08. Regista: Rob Cohen. Sceneggiatura: Alfred Gough, Miles Millar. Interpreti: Brendan Fraser, Jet Li, Maria Bello, Luke Ford, John Hannah, Michelle Yeoh. 114 m. Germania, Canada, USA. 2008. Giovani. (VS)

In La Mummia, e Il ritorno della Mummia, Stephen Sommers aveva già confermato la sempre vivo filone delle avventure classiche all'Indiana Jones, anche quando implicano uno humour perfino più assurdo, misto a terrore nostalgico. Qui, il testimone viene raccolto dall’irregolare Rob Cohen (Daylight- Trappola nel tunnel, XXX, Fast and Furious), che -c’era d’aspettarselo- concede tutto all’azione, trascurando ogni altro elemento.



Stavolta, la trama non inizia in Egitto, ma in una Cina ancestrale, tiranneggiata dall’imperatore Han, che costruisce la Grande Muraglia sui cadaveri dei nemici morti. Egli domina il paese grazie alle arti magiche, con cui può controllare i quattro elementi essenziali: terra, acqua, aria e fuoco. Tutto cambia quando una fattucchiera indispettita trasforma Han, con tutto il suo impressionante esercito, in statue di terracotta.

Secoli dopo, nel 1946, Alex O’Connell, il temerario figlio -ormai ventenne- dell'avventuriero Rick O’Connell, scopre la tomba dell’imperatore Han, proprio nel momento in cui i genitori restituiscono al Museo di Shangai una preziosa pietra. Questo talismano ha il potere di tirar fuori, dall'incantato letargo, l’ambizioso imperatore. Questi, a sua volta, cercherà di fare altrettanto con tutto il suo esercito.

Si può giusto rimproverare a Rob Cohen che il film, pur risultando il più stravagante e fantastico di tutta la saga, appaia -nondimeno- il meno divertente. Comunque, questa terza parte, è la meglio ambientata, la più spettacolare di tutte. Il risultato è comunque un altro buon film -valido per ogni genere di pubblico-, in grado di tener viva la fiamma di un genere che, nell'arte cinematografica, è ormai un classico. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V, S (ACEPRENSA)

Mamma mia!

11/10/2008. Regista: Phyllida Lloyd. Sceneggiatura: Catherine Johnson. Interpreti: Meryl Streep, Pierce Brosnan, Colin Firth, Stellan Skarsgård, Julie Walters, Dominic Cooper, Amanda Seyfried. 108 minuti. GB, USA, Germania. 2008. Giovani-adulti. (SD)

Qualche dato per rinfrescare la memoria. Abba è il nome di un quartetto musicale svedese di musica pop che, dopo aver vinto il festival di Eurovision nel 1974, ottenne la celebrità, conservandola fino allo scioglimento del gruppo (1982). Anche se ci sono stati tempi in cui chi osava annoverarsi tra i fans del gruppo, veniva tacciato di smaccato snobismo, la realtà è che -di fatto- mezzo mondo canticchiava Chiquitita, Dancing Queen o Super Trouper. Lo prova il fatto che, finora, gli Abba hanno venduto più di 350 milioni di dischi e, in occasione della prima mondiale del presente film, il loro celebre Gold, si è riposizionato a livelli di eccellenza, nelle classifiche dei brani musicali più venduti e in varie nazioni (nonostante gli oltre 25 anni trascorsi, da quando il gruppo si è sciolto).




Nel 1999, veniva presentato a Londra -diretto da Phyllida Lloyd-, il musical che Catherine Johnson aveva scritto, basandosi sulle canzoni degli Abba. Il lato migliore del gruppo non sono però i testi scritti, difficili da adattare ad una narrazione, capace di un minimo di coerenza. Perciò, ne risulta una storia senza pretese: una giovane, figlia di madre single che, alla vigilia del proprie nozze, decide di conoscere quale, dei partner occasionali di sua madre, sia suo padre. Malgrado la debolezza della trama, Lloyd era già riuscito a trarne un buon musical, di notevole successo. A questo punto, passare alla trasposizione in film era un passo quasi obbligato. Ed eccolo ora, sugli schermi, sempre per mano della stessa Phyllida Lloyd e con tanto di cast di lusso: niente di meno che Meryl Streep, splendidamente coadiuvata da Pierce Brosnan, Colin Firth e Stellan Skarsgård.

Come capita in questi casi, il film ripresenta stessi virtù e difetti del precedente musical teatrale. Dunque, in una storia da poco, appaiono personaggi femminili stereotipati, recitazioni forzate, specialmente nei momenti comici (forse perché Lloyd, come regista proveniente dal teatro, palesa i suoi limiti sia quando si tratta di indovinare la posizione della cinepresa, sia nella direzione degli attori). Il tono istrionico di alcune scene appesantisce gran parte del film, che pure avrebbe ottenuto molto di più, da uno stile lineare. Di fatto, la parte migliore la fanno i protagonisti maschili, non essendo obbligati a gesticolare e a ballare, come isterici.

Comunque, la storia e anche il tono sono è assai poco rilevanti, in uno spettacolo che va su altri binari. La vera chiave dello spettacolo, infatti, sta nella musica: sequenze di canzoni ben scelte, una buona coreografia e -spesso- una valida recitazione. Per di più, lo scenario dell'idillica isola greca, dove si svolge la trama, aggiunge all'occhio la sua parte. Infine, il rodaggio di alcune trovate -a metà strada tra il riferimento al musical classico e quello all'estetica da videoclip- può piacere più o meno (riecco il Lloyd dal passato teatrale), ma risulta infine efficace.

Dice Meryl Streep che le canzoni degli Abba “vivono dentro di noi. Quando ho iniziato a impararle, mi sono resa conto che già le sapevo. Sono incredibilmente a presa rapida”. Ha proprio ragione. Mamma mia! non è dunque un buon film, ma, certo, un musical molto divertente. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: S, D (ACEPRENSA)

The Mist

11/10/2008. Regista: Frank Darabont. Sceneggiatura: Frank Darabont. Interpreti: Thomas Jane, Marcia Gay Harden, Andre Braugher, Laurie Holden, Toby Jones. 127 m. USA. 2007. Giovani-adulti.

Una tempesta colpisce un piccolo paese del Maine, interrompendo l’energia elettrica. Il giorno dopo, molta gente, tra cui il pittore David Drayton e il giovane figlio Billy, vanno al supermercato in cerca di provviste, ma restano isolati da uno spesso e anomalo nebbione, calato nel frattempo. Così, per un po', troviamo i diversi protagonisti rimasti isolati nel supermarket: militari di una vicina base, vicini importuni, cassiere, dipendenti. Ai primi commenti scherzosi, subentra l’inquietudine e la paura, quando è chiaro che c’è qualche oscuro pericolo che li circonda. La piccola comunità si divide: alcuni cercano la salvezza nel pragmatico David Drayton; altri seguiranno l’ispirata signora Carmody, che rapidamente sembra aver intuito -nella nebbia- un segnale dal Cielo.



In questo genere horror, emerge il cliché tipico di alcune persone rimaste intrappolate in spazi ristretti, da claustrofobia, in attesa del gran finale. È un tipo di horror efficace, che va per allusioni, più che per visioni, e si diffonde per vie indirette, nelle reazioni della gente: peraltro, un simile film -di secondario valore- presenta un cast di nomi interessanti, come Thomas Jane, Marcia Gay Harden e Toby Jones. Il primo incarna non soltanto l’uomo di azione, ma il buon vicino, sposo e padre, preoccupato per tutti; la seconda, ha il difficile ruolo della persona ispirata, capace di sedurre molti, inducendoli ad un delirio pseudoreligioso. L’ineffabile Toby Jones è immerso nel ruolo di gestore dello spaccio, pieno di umanità e buon senso.

Il terzo film realizzato da Darabont, tratto da opere di Stephen King (Le ali della libertà, Il miglio verde) è un'opera minore, rispetto alle altre due, ma non senza un qualche rilievo. Riappare uno dei temi favoriti dal romanziere: il panico, in una comunità assediata da qualcosa di strano, le reazioni umane in situazioni estreme, il lato propriamente religioso accanto a quello superstizioso, il senso di colpa. In definitiva, un film di horror di taglio classico, pieno di spaventi, attraente per i cultori del genere, dotato di un tono qualitativo che gli conferisce peso: superiore alla media. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Vicky Cristina Barcelona

11/10/2008. Regista: Woody Allen. Sceneggiatura: Woody Allen. Interpreti: Scarlett Johansson, Penelope Cruz, Javier Bardem, Rebecca Hall, Patricia Clarkson, Kevin Dunn, Chris Messina. 90 m. USA, Spagna. 2008. Adulti (XD).

Due giovane nordamericane, Vicky (Rebecca Hall) e Cristina (Scarlett Johansson), viaggiano a Barcellona per trascorrere le vacanze estive. Vicky, che sta facendo un master in Identità catalana, è una donna ordinata, che ricerca la stabilità e l’impegno. È destinata a sposarsi, appena tornerà negli Stati Uniti. Cristina, invece, appare impulsiva ed aperta alle avventure, tanto affettive come professionali. Tuttavia, non sa bene che fare della sua vita, ma solo evitare “ciò che non vuole”.

Le due amiche, un pomeriggio, visitando una galleria d’arte, conoscono Juan Antonio (Javier Bardem), pittore con tanto di scandalo coniugale alle spalle: sua moglie (Penélope Cruz) ha cercato di ucciderlo (o il contrario?). Juan Antonio le invita a seguirlo ad Oviedo, proponendosi per rapporti sessuali. Vicky si sente offesa, Cristina accetta “senza garantire niente”. Poi il film esplora le complicazioni che insorgono per i tre personaggi.

Nell'ultimo film, Woody Allen prosegue la sua personale scoperta dell’Europa (Londra, Parigi, Venezia, Barcellona, Oviedo), con un tocco di esotismo. Tutta l’azione si svolge in Spagna, nelle vacanze estive: a differenza di Match Point, che mostra una Londra dove si vive e si lavora, Vicky Cristina Barcelona presenta una Spagna bella ed esotica, vista con occhi da straniero, dove tutto appare facile e tutto inclina ad uno stile di vita bohemienne.

La fluida e coloristica fotografia di Javier Aguirresarobe favorisce le sequenze degli esterni, ma non si sposa bene con lo stile tipico di Allen: talvolta, sembra quasi propagandare uno spot pubblicitario a favore del turismo spagnolo. Chiudono il cerchio, attori iberici alla moda, come Javier Bardem e Penélope Cruz.

Malgrado l’esotismo latino, il film è tipico di Allen: alcuni personaggi leggermente neurotici, mediamente sofisticati, con tensioni affettive di ogni tipo, marcati da insistente confusione nel percepire la distinzione tra bene e male. I conflitti non sono nemmeno nuovi, né originali (ricordano Manhattan). I personaggi continuano a ricercare l’amore e la felicità, ma se la raggiungono, è sempre e solo episodicamente. Emergono i soliti splendidi dialoghi.

Allen, che talvolta è parso optare per l’impegno e la verità, in questo caso torna ad essere scanzonato e leggero. Forse, la Spagna moderna, lo invita solo a godersi la bellezza del momento, declinando il senso di responsabilità. Vale per un estate, ma poi bisogna lavorare altrove: l’esperienza lascia l’amaro in bocca. Un'opera, insomma, minore ma degna, i cui principali pregi sono la direzione degli attori, la fotografia, la scelta paesaggistica. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Sfida senza regole

11/10/08. Regista: Jon Avnet. Sceneggiatura: Russell Gewirtz. Interpreti: Al Pacino, Robert De Niro, 50 Cent, Carla Gugino, John Leguizamo, Donnie Wahlberg. USA, 2008. 101 m. Adulti. (VXD)

De Niro e Pacino sono due detective della polizia di New York, prossimi al pensionamento. Lavorano insieme da molti anni, uniti da forte amicizia. Dovranno qui occuparsi di una serie di crimini, in cui le vittime risultano presunti assassini. Insieme ai cadaveri, compare sempre un testo in poesia.



Il nuovo film di Jon Avnet fa leva sulla presa che vantano i due attori protagonisti, molto gettonati, da anni nell'élite del cinema statunitense. La sceneggiatura di Russell Gewirtz (Inside man) si dipana secondo un filone narrativo del cinema nordamericano, fin troppo battuto: legittimare la vendetta e comportamenti altrettanto criminali, da parte della polizia. Lo slogan del film è tutto un programma: “Molti rispettano la tessera di poliziotto; ma tutti temono la pistola”.

C'era d’aspettarsi che, dopo un film così scadente come 88 minute, Avnet e Pacino facessero ammenda dei gravi errori in cui erano incorsi. Ma invano: Sfida senza regole ripete e perfino amplifica le sequenze truculenti, l’inverosimiglianza della trama, la ricerca di effetti a buon mercato, le uscite di tono, nonché il profilo veramente penoso di personaggi maturi, che si comportano quasi avessero trent'anni di meno. De Niro e Pacino si coprono, semplicemente, di ridicolo. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V, X, D (ACEPRENSA)

L'arca di Noè

11/10/08. Regista: Juan Pablo Buscarini. Sceneggiatura: Enrique Cortés, Bárbara Di Girolamo. Animazione. 88 m. Argentina 2007. Tutti.


Dopo il successo riportato nell’animazione in 3D con Il topolino Marty e la fabbrica di perle, il regista argentino Juan Pablo Buscarini ha realizzato questo film in 2D, divertente parodia del racconto biblico di Noè e del diluvio universale, impostato in chiave comica e anacronistica. L’animazione del film appare un po’ schematica e trascurata, il copione privo di ritmo e con alcune gag dozzinali, di troppo. Ma nell’insieme, il film -divertente e intelligente- affronta con discreto humour la famiglia, la religione, la relazione con Dio. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Tutti. Contenuti: --- (ACEPRENSA)

Hancock

13/9/2008. Regista: Peter Berg. Sceneggiatura: Vincent Ngo, Vince Gilligan. Interpreti: Will Smith, Charlize Theron, Jason Bateman, Eddie Marsan, Jae Head, David Mattey. 92 m. USA 2008. Giovani. (VD)

Dopo il suo esordio come regista nel 1998 con la demenziale commedia macabra Cose molto cattive (Very Bad Things), l’attore Peter Berg consolidò la sua carriera dietro la cinepresa con la commedia di avventure Il tesoro dell’Amazzonia, il dramma sportivo Friday Night Lights e il film bellico di azione The kingdom. Adesso si è guadagnato il grande pubblico con Hancock, una commedia di azione, che sviluppa con simpatia situazioni stimolanti già abbozzate nel Unbreakable –Il predestinato –per quanto riguarda alla vocazione eroica dei supereroi- e ne Gli Incredibili, soprattutto quando si rappresentano le difficoltà d’integrazione degli esseri con superpoteri tra la gente normale.


Qui il supereroe protagonista, Hancock, è messo in questione da quasi tutti. Solitario, cupo e alcolizzato, veste come un mendicante, dorme spesso per strada e provoca ogni tipo di danni quando impiega contro il crimine la sua forza titanica, il suo volo supersonico e la sua resistenza alle pallottole. Un incontro fortuito con un pubblicista sembra provvidenziale. Ma le cose non saranno facili per nessuno dei due.

Né la sceneggiatura né la messa in scena apportano grande novità al genere, e rischiano anche molto dato che non presentano un antagonista potente. Ogni modo, dosano con agilità la commedia, il dramma e lo spettacolo, quest’ultimo risolto con degli impressionanti effetti visivi. E soprattutto, permettono che faccia bella figura Will Smith, che si trova a pieno agio nella pelle di Hancock, un personaggio al quale costa compiere la sua missione in questo mondo e che costantemente si dibatte tra il desiderio e il dovere. Gli altri attori sono alla altezza della situazione, ne viene fuori una commedia succosa e divertente, con qualche momento un po’ più pesante, ma per il resto adatta da godersi in famiglia. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V, D (ACEPRENSA)

Il cavaliere oscuro

13/9/2008. Regista: Christopher Nolan. Sceneggiatura: Jonathan Nolan e Christopher Nolan, da un soggetto di Christopher Nolan e David S. Goyer sui personaggi creati da Bob Kane. Interpreti: Christian Bale, Michael Caine, Heath Ledger, Gary Oldman, Aaron Eckhart, Maggie Gyllenhaal, Morgan Freeman. 152 m. USA. 2008. Giovani-adulti. (V)

Batman, il personaggio creato da Bob Kane nel 1939, deve gratitudine eterna a Chris Nolan. In Batman Begins, il regista di Memento riscattò il supereroe che, dopo due film fatte da Tim Burton (tanto discutibili quanto personali), era caduto nelle mani di Joel Schumacher, un buon artigiano con scarsa creatività che finì per chiedere scusa per il secondo dei suoi film (Batman&Robin). Schumacher aveva scelto Gorge Clooney e Vil Kilmer per incarnare l’uomo pipistrello: solo un esempio del tortuoso percorso che aveva preso la serie.

Nel 2005, Nolan si decise a risuscitare l’eroe raccontando la storia dal inizio. Inoltre mise a capo di un cast di lusso (Morgan Freeman, Michael Caine e Gary Oldman) Cristian Bale, un attore di un grande fascino e dalla fama di ossessivo e perfezionista nella preparazioni dei suoi personaggi. Il film ha avuto buone critiche e degli incassi più che dignitosi. Ne Il cavaliere oscuro, Nolan continua nella linea di Batman Begins, privilegiando la sceneggiatura e la costruzione dei personaggi rispetto all’azione (anche se l’azione c’è, e molto buona). In questo episodio, Batman dovrà lottare contro un repellente criminale, il Joker (ormai non c’è niente da aggiungere sulla magnifica interpretazione del defunto Heath Ledger), che non soltanto metterà in difficoltà la città di Gotham ma che obbligherà l’uomo pipistrello ad affrontrare i suoi e se stesso.

Non bisogna dimenticare che, dentro l’universo dei supereroi, Batman è un caso particolare: i suoi poteri non sono soprannaturali ma provengono dall’intelligenza e dalla tecnica. Questa è una delle ragione per le quali si addice al fumetto il tono oscuro e scettico che Nolan imprime al suo film. Il dilemma tra sicurezza e libertà, i dubbi su l’impegno affettivo dell’eroe o le complesse conseguenze del male in una società che preferisce vivere felice ma ingannata, sono alcuni dei temi che abborda questo film, che in certo modo rinnova i vecchi schemi del genere. Tanto per la costruzione della sceneggiatura come per il montaggio e le convincenti interpretazioni del cast (l’unico che recita è il Joker, gli altri semplicemente vivono la storia), Il cavaliere oscuro si colloca molto al di sopra di film simili (eppure ce ne sono di molto buoni). Sono alcune delle ragioni per cui il film ha superato ogni tipo di aspettativa, e oltre aver conquistato la critica, ha guadagnato più di 400 milioni di dollari soltanto negli USA. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-adulti Contenuti: V (ACEPRENSA)

Redbelt

13/9/2008. Regista: David Mamet. Sceneggiatura: David Mamet. Interpreti: Chiwetel Ejiofor, Alice Braga, Emily Mortimer, Tim Allen, Joe Mantenga, Rebecca Pidgeon. 99 m. USA. 2008. Giovani-adulti. (V)

Mike Terry è il proprietario e unico professore di jiu-jitsu in una povera palestra. Ha pochi alunni, la maggioranza poliziotti e guardie del corpo, ai quali inculca il senso dell’onore insegnatoli dal suo maestro. Riesce a mala pena ad arrivare a fine mese, e sua moglie vorrebbe che fosse più pratico, ma lui si oppone a prendere iniziative contro il suo peculiare codice d’onore. L’azione è complicata: quando il film inizia compaino un poliziotto, una avvocatessa squilibrata, una stella del cinema di azione e il suo manager, e un promotore di combattimenti per la pay-tv; e tutti cospirano, attraverso inganni e tradimenti, perché Mike partecipi ad un combattimento.


Redbelt è di David Mamet (La casa di giochi, Le cose cambiano, Il caso Winslow, Hollywood, Vermont), e questo dovrebbe dare un’idea approssimativa del film, sia per la forma sia per gli aspetti di fondo; ha tutti gli elementi dei suoi migliori film, e se non arriva al livello delle sue grande opere, ha la forza e la qualità sufficienti per interessare e intrattenere il pubblico. Quali sono questi elementi? Prima di tutto, una sceneggiatura agile, dove succedono cose in continuazione, incentrata su un’idea attrattiva e profonda. I dialoghi sono eccellenti. Mamet conta anche su un superbo cast di attori, quasi tutti abituali nei suoi film, capaci di dare vita e rendere credibile qualsiasi situazione. Dirige molto bene, anche un’opera minore come questa; ed ha un particolare stile per giocare con gli inganni e rigirare la situazione più complicata. Nel caso di Redbelt bisogna sottolineare la concisione: Mamet maneggia con precisione le grandi linee della trama ed elimina senza pietà tutto quello che considera superfluo; questo esige un particolare sforzo di attenzione da parte dello spettatore.

Redbelt, più che un film di arti marziali, è un dramma sulla felicità e i valori. Denuncia l’ambizione e molto in particolare la corruzione che c’è nel mondo dello spettacolo. Mike Terry, brillante Chiwetel Ejiofor, è un personaggio don chisciottesco, disposto ad affrontare da solo un mondo corrotto. Mamet gli fa ripetere continuamente: “non c’è situazione senza uscita”, ed è coerente con questa idea fino alla fine, necessariamente felice. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: V (ACEPRENSA)

Hellboy - The Golden Army

13/9/08. Regista: Guillermo del Toro. Sceneggiatura: Guillermo del Toro. Interpreti: Ron Perlman, Selma Blair, Doug Jones, James Dodd, John Alexander, Luke Goss, John Hurt, Jeffrey Tambor. 120 m. USA. 2008. Giovani. (V)

Qualche volta anche le seconde puntate sono buone. Hellboy-The Golden Army è uno di questi casi. Guillermo del Toro non ha perso il polso rispetto al primo film; al contrario: è maturato, conta sul fatto che il suo pubblico abbia visto la prima parte di questa saga, e così entra in materia senza dover presentare i suoi personaggi, e ha l’immaginazione scatenata.


La seconda parte delle avventure del personaggio dei fumetti inventato da Mike Mignola non si basa su nessuno degli album del diavolo rosso che lotta per il bene, ma tratta di una storia originale concepita a metà tra Guillermo del Toro e Mignola stesso. Il contributo di Del Toro apporta humour, umanità, barocchismo, e –grazie al suo intervento nel progetto di The Hobbit –un tocco mitologico che ricorda il mondo di Tolkien.

Del Toro umanizza i suoi personaggi trasformando i mostri in esseri vulnerabili che hanno gli stessi problemi nostri. Abe s’innamora e si azzarda a sognare che questo amore possa essere corrisposto; Hellboy e Liz discutono come qualsiasi coppia; tutti loro hanno desideri di piacere e di essere apprezzati dagli uomini, che hanno bisogno di loro ma li temono. Se ci fosse qualche dubbio sulle intenzioni del regista, per televisione si possono vedere alcune scene de La moglie di Frankenstein.

Quanto a humour, oltre gli affari domestici, bisogna sottolineare una divertente questione di primato: gli sceneggiatori hanno inventato un personaggio chiamato Johann Krauss, uno strano teutone, con la testa piena di regolamenti e di fumo, che ha un rapporto gerarchico problematico con Hellboy e la sua squadra.

Il lavoro della squadra di Del Toro è molto buono, e il film visivamente molto attraente. Oltre le fantasie barocche proprie del regista messicano (ricordano Il labirinto del fauno) si possono riconoscere elementi visti in Star Wars e in Men in Black. Tutto al servizio di una storia dove ci sono battaglie nelle strade, battaglie nelle cloache, e anche nella città persa dove dorme l’esercito dorato.

Malgrado la storia sia soltanto un aneddoto semplicistico di un personaggio dei fumetti, l’intervento degli elfi, il loro onore e il loro impegno per salvare la terra apportano un certo clima epico di grandezza. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V (ACEPRENSA)

Decameron Pie

13/9/08. Regista: David Leland. Sceneggiatura: David Leland. Interpreti: Hayden Christensen, Mischa Barton, Tim Roth, Craig Parkinson, Rosalind Halstead. 97 m. Italia, USA. 2007. Adulti. (VXD)

Questo film non merita di essere recensito, ma conviene farlo per evitare che qualcuno sia ingannato. Si tratta di una versione trasportata al Medioevo della saga American Pie, cioè una commedia stupida ed erotica per adolescenti. Con l’aggravante che il copione è peggio dell’originale nordamericano, è più carica di erotismo, e ha qualche buon attore, il che però ci fa ancor più dispiacere! Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, X, D (ACEPRENSA)

Le cronache di Narnia: il principe Caspian

26/7/2008. Regista: Andrew Adamson. Sceneggiatura: Andrew Adamson, Christopehr Markus, Stephen McFeely. Interpreti: Andrew Adamson. Con Georgie Henley, Skandar Keynes, William Moseley, Anna Popplewell, Ben Barnes, Peter Dinklage, Pierfrancesco Favino, Sergio Castellitto. 140 m. USA, Gran Bretagna. 2008. Tutti. Nelle sale, dal 14 agosto.

Il film propone il secondo episodio della serie Cronache di Narnia, dello scrittore C.S. Lewis. Alla cinepresa, il solito Andrew Adamson. Narnia è governata dai telmarini. Sono uomini che hanno conquistato il paese, dopo averne cacciato gli indigeni: le creature magiche. Miraz, fratello del defunto re telmarino, ha appena avuto quel figlio maschio che pone a rischio la successione del legittimo erede, il principe Caspian. Consigliato dal tutore, il dottor Cornelius, Caspian fugge di notte nel bosco, dove si imbatte nele creature dell’antica Narnia, che credeva del tutto leggendarie. A lui spetterà suonare quel corno che, secondo l'antica tradizione, serve a chiamare tutti a raccolta, in tempi difficili.



A un anno dal successo di Le Cronache di Narnia: il leone, la strega e l’armadio, ecco che i fratelli Pevensie (Peter, Susan, Edmund e Lucy), dalla banchina del metrò -di una Londra ambientata nel 1941- si trasferiscono magicamente a Narnia. Trovano un luogo molto diverso da quello della prima avventura. Infatti, ogni anno trascorso nel mondo “normale”, corrisponde a secoli nel paese di Narnia. Mentre Caspian cerca di convincere le creature magiche ad aiutarlo a sconfiggere l’usurpatore, ecco comparire i Pevensie, pronti a mettersi dalla sua parte.

Anche se si tratta di una storia fantastica, la scelta di narrarla con intelligente realismo rende credibile quanto vi succede, seppure in un mondo diverso. Emerge un chiaro sforzo di fedeltà all’originale e, al contempo, il saggio intuito di non scollare troppo la trama della storia di Caspian -che si accinge ad affrontare lo zio Miraz- dalla vicenda dei Pevensie, nella loro riscoperta di Narnia. Inoltre, lo staordinario successo del precedente episodio ha permesso al nuovo film di contare su un budget ancora più consistente. Lo si vede dal disegno di produzione, dalle scene di battaglie, e dalla più accurata inventiva nel delineare le creature magiche, integrandole nelle diverse scene.

Probabilmente, il desiderio di non fallire l'ulteriore chance, inventando un assalto al castello di Miraz e dilatando l'epica narrativa, ha finito per nuocere un po’ all’insieme. Il risultato è stato di conferire troppa attenzione agli effetti speciali, a scapito del profilo dei personaggi e dei loro conflitti.

Il punto di forza della saga cinematografia di Narnia, anche in questo film, risiede nel cast. Invece di cercare attori di fama, sono stati selezionati interpreti molto bravi, abili nel configurare i vari personaggi, e tuttavia ancora relativamente nuovi al grande pubblico. Bisogna dunque render omaggio al lavoro di Sergio Castellitto che, impersonando il cattivo Miraz, riesce a rappresentare un personaggio ambizioso, in modo molto umano, senza ricorrere ad un facile istrionismo. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Tutti. Contenuti: -- (ACEPRENSA)

Agente Smart - Casino totale

26/7/2008. Regista: Peter Segal. Sceneggiatura: Tom J. Astle, Matt Ember. Interpreti: Steve Carell, Anne Hathaway, The Rock, Alan Arkin, Terence Stamp, James Caan, Masi Oka. 110 m. USA. 2008. Giovani. (D)

Versione cinematografica della divertente serie tv, anni Sessanta, sulla lotta tra due potenti servizi segreti avversari: Control e Kaos, chiare parodie di CIA e KGB. I 138 episodi della serie (Get Smart, il titolo originale) seguono i passi delle scarpe-telefono di Maxwell Smart, un bel tipo di metodico analista, che lavora per la Control. Quando -a sorpresa- arriva la promozione ad agente operativo, Smart deve entrare in azione. E lo fa, in compagnia della sperimentata, bella ed efficacissima agente 99.



I creatori della serie -trasmessa dal 1965 al 1970, prima dalla NBC e poi dalla CBS- sono stati Mel Brooks e Buck Henry, due provetti sceneggiatori, specialisti di commedie comiche, sovente un po' sboccate. Il loro sodalizio si era comunque già manifestato anche in vari film: Frankestein junior, Il laureato, Il mistero delle dodici sedie, I produttori. Il successo a Get Smart è stato garantito dalla parodia -davvero divertente- della più nota saga di James Bond, agente 007.

È un peccato che il film abbia quattro o cinque barzellette grevi (alla Mel Brooks), del tutto gratuite. Infastidisce, perché è un film proprio divertente, con una storia ben narrata e splendidi attori come Steve Carrell e Anne Hathaway, coppia fissa e veramaente brillante, dall'86 al 99: degni successori di Don Adams e Barbara Feldon. Alan Arkin, recente vincitore di Oscar con Little Miss Sunshine, impersona il capo dell'Agenzia. Il film, che con qualche dettaglio in più poteva risultare una commedia molto gradevole e adatta ad un pubblico universale, -alla fine- si addice solo al divertimento -talvolta un po' greve- di un pubblico di adolescenti; pur dando vita, in alcune sequenze, a risate irrefrenabili, e vantando una messa in scena spettacolosa. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: D (ACEPRENSA)

Kung Fu Panda

26/7/2008. Registi: Mark Osborne, John Stevenson. Animazione. 95 m. USA. 2008. Tutti. Nelle sale, dal 29 agosto.

Po, grasso panda, assai pigro -ma fanatico ammiratore di arti marziali- lavora da sguattero e cameriere nel ristorante di noodles del padre, l’anatra Mr. Ping. Un giorno, dopo diverse rocambolesche vicende, la tartaruga Oogway promuove Po a Guerriero Dragon, da opporre ai leggendari Furious Five, ottimi allievi del maestro Shifu. Po, si vede così obbligato ad imparare kungfu, e alla svelta, se vuole davvero fermare il temuto Tai Lung, vendicativo leopardo delle nevi.



Classica parodia dei film di arti marziali, rivela il lato debole nel tono leggero e nello sviluppo episodico, tipico delle produzioni animate di DreamWorks (Shreck, La gang del bosco, Bee movie). Inoltre, approfondisce poco i personaggi secondari, soprattutto i Furious Five: le rispettive storie avrebbero potuto essere meglio delineate.

Comunque, i disegni dei personaggi, gli sfondi e l’animazione in 3 D, sono forse i più riusciti -finora- della casa di produzione di Jeffrey Katzenberg. E siccome il copione è originale, divertente e positivo, il film riesce nell'obiettivo di divertire e suscitare ilarità. Proprio lo scarso sviluppo delle trame dei personaggi secondari, consente peraltro -a DreamWorks- una vasta rosa di possibilità di sviluppo, in ulteriori episodi. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Tutti. Contenuti: -- (ACEPRENSA)

In Bruges

26/7/08. Regista: Martin McDonagh. Sceneggiatura: Martin McDonagh. Interpreti: Colin Farrell, Brendan Gleeson, Ralph Fiennes, Jérémie Renier, Thekla Reuten, Clémence Poésy, Jordan Prentice. 101 m. Gran Bretagna, Belgio. 2008. Adulti (VSD)

Il trentottenne londinese Martin McDonagh, già vincitore di Oscar con il miglior cortometraggio del 2006: Six Shooter, breve storia da commedia noir (protagonista l’irlandese Brendan Gleeson), è ora al suo primo vero e proprio film. Il regista britannico riconferma la stessa linea contenutista e formale del precedente successo, avvalendosi di una coppia di attori protagonisti, il citato Gleeson ed un altro irlandese, Colin Farrell, che si rivelano ottimi interpreti nei panni di una coppia di killer prezzolati, inviati a Bruges dal “capo”, dopo un “lavoretto” complicato. I due si mimetizzano da turisti, intenti a visitare Bruges, una delle città medievali meglio conservate al mondo: la cosiddetta “Venezia del nord”.



McDonagh, autore anche della sceneggiatura, è scrittore di talento. Il film rivela dialoghi riusciti, canaglieschi e realistici, togliendo ogni glamour alla vita dei due killer, che condividono una peculiare amicizia, sempre sul filo del rasoio. Attira l’attenzione la solida struttura della storia, nonché la trama principale, ben condotta, capace di sviluppare la tensione fino al clamoroso finale. McDonagh amministra con maestria le risorse di personalità, vantate dai due protagonisti.

Forse il film dà la sensazione di risultare troppo breve. Non avrebbe comunque giovato il ricorso ad un maggior numero di personaggi, scenari e trame secondarie. È anche evidente che avanzano 15 minuti. Per di più, alcune grossolanità nei dialoghi -e in alcune sequenze di ambientazione- creano talora disagio nello spettatore.

La fotografia di Eigil Bryld è assai indovinata. Ricorda quella già realizzata per il film svedese Prima della tempesta. Bryld si astiene dallo stile di buona parte del cinema commerciale statunitense, che al minimo pretesto è solito ricorrere alle riprese dall'elicottero, da una macchina o da una giraffa. È apprezzabile questo non-conformismo delle riprese, se si tiene poi conto della bellezza della città e di alcuni luoghi dove si potevano girate certe scene, ad esempio nel museo Groeningen, ricorrendo alle trovate usuali. L’eccellente colonna sonora è di un grande: Carter Burwell. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, S, D (ACEPRENSA)

La notte non aspetta

12/7/2008. Regista: David Ayer. Sceneggiatura: James Ellroy, Kurt Wimmer, Jamie Moss. Interpreti: Keanu Reeves, Forest Whitaker, Hugh Laurie, Chris Evans, Naomie Harris, Martha Higareda, Jay Mohr, John Corbett, Terry Crews, Amaury Nolasco. 109 m. USA. 2008. Giovani-adulti. (VD)

L’agente Ludlow è un poliziotto provetto, ancora provato dalla recente tragica morte della moglie. Malgrado i suoi metodi violenti e l’alcoolismo, è protetto e incoraggiato dal capo della sua unità, un ambizioso commissario che si fida di lui: il tipo ideale, per risolvere quei problemi che nessuno osa affrontare. Il brutale assassinio di un collega inquadrerà proprio Ludlow, come principale sospetto, secondo la prospettiva del dipartimento di Affari Interni.



Il cinema tematizzato su poliziotti corrotti è talmente di moda, che rende arduo risultare originali. Questa storia -tratta da un racconto di James Ellroy (L.A. Confidential, The Black Dahlia)- non fa eccezione. L’inizio del film è divertente e dinamico, anche se in realtà -per chi desideri imbattersi in storie di poliziotti rudi e non convenzionali- l’agente McClane (Die Hard 4.0) è molto più attraente e apprezzato. Man mano che la trama va avanti, battendo i noti meandri della corruzione, infiltratasi nella polizia, si sente la carenza di un maestro del noir e dei relativi personaggi, delineati a tutto campo. Infatti, i personaggi di La notte non aspetta, sembrano figurine standard, da incollare sull’album. Il film è ben realizzato, malgrado la vistosa ed eccessiva violenza, tipica del regista David Ayer (Harsh Times), già sceneggiatore di pellicole come Training Day, S.W.A.T.,The Fast and the Furious e U-571. Ayer riesce a mantenere il ritmo, grazie anche ad un buon cast di attori, tra cui emerge Forest Whitaker, in un ruolo -davvero- a lui congeniale. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: V, D (ACEPRENSA)

Funny games

12/7/2008. Regista: Michael Haneke. Sceneggiatura: Michael Haneke. Interpreti:Naomi Watts, Tim Roth, Michael Pitt, Devon Gearhart, Brady Corbet, Boyd Gaines. 111 m. Gran Bretagna, USA, Francia, Austria, Germania, Italia. 2007. Adulti. (VD)

Nel 1997, al festival di Cannes, Michael Haneke presentava Funny Games. Il film vinse un premio secondario, quello della critica internazionale, provocando un serrato dibattito tra sostenitori e detrattori. L’edizione in dvd è stata ben recepita, forse perché il film era stato proiettato -nelle sale dell’epoca- per un periodo troppo breve; o anche, perché fa davvero bene vedere questo film, sapendosi sicuri a casa propria, con il telecomando a portata di mano. Intervistato per l’occasione, Haneke ha esposto il suo pensiero in proposito. Ciò che si riprometteva, con questo film, era una critica al modo in cui i media -specialmente il cinema- tematizzano la violenza.



In quell’intervista -davvero illuminante- il regista tedesco sviluppa la sua teoria (quanto sanno risultare malvagi gli esseri umani, ossessionati dalla necessità di saziarsi di violenza) e conclude con una frase che condivido pienamente: val la pena vedere questo film, soltanto se esiste un fondato motivo. Altrimenti, di fatto, è un’autentica tortura per lo spettatore.

Tesi e spiegazioni a parte, è chiaro che Haneke è sedotto dal tema della violenza. Lo ha dimostrato in molti altri film: da Benny’s video (quasi una sorta di prima versione di Funny Games, con identico protagonista) a La pianista. Questo regista si compiace di indugiare nella mente tormentata e carente di senso di un assassino. A tal punto, che potremmo perfino dubitare che intenda davvero mettere alla gogna la violenza…

D’altra parte, bisogna riconoscere che Haneke rivela una certa maestrìa filmica. Riesce a realizzare montaggi, capaci di estenuare i nervi alla gente. Sa poi miscelare il contrasto -tra tono drammatico e comico- in modo assai efficace, che la durata lentissima delle sequenze è idonea a calamitare… Ma tutto questo, a che pro? Se già se lo chiedeva lo spettatore del 1997, a maggior ragione quello attuale. Perché, dieci anni dopo, Michael Haneke gira esattamente lo stesso film: la stessa storia di una famiglia agiata in ostaggio, torturata in modo selvaggio da due giovani, apparentemente normali? Stesse inquadrature, stessi dialoghi, identico ambientamento temporale. Cambiano solo gli attori. Perché dunque Haneke realizza questo remake di sé stesso, se non guadagnar soldi negli States, e cercare di farne guadagnare a Naomi Watts che, a parte il fatto di non trovarsi a suo agio nel film, lo coproduce? La verità è che, a suo tempo, erano state davvero pregevoli le recitazioni della versione originale (Susanne Lothar e lo scomparso Ulrich Mühe).

Haneke ha forse voluto ripetersi, perché la sua versione inglese è più universale e la reazione del pubblico diversa, dopo film come Saw e Hostel. Ragioni che suscitano però perplessità, in una persona che suscita perplessità. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, D (ACEPRENSA)

12

12/7/2008. Regista: Nikita Mikhalkov. Sceneggiatura: Nikita Mikhalkov, Vladimir Moiseyenko, Aleksandr Novototsky. Interpreti: Nikita Mikhalkov, Sergei Makovetsky, Sergei Garmash, Aleksei Petrenko, Yuri Stoyanov, Valentin Gaft. 153 m. Russia 2007. Giovani. (VD)

Cinquant’anni fa, Sidney Lumet realizzò la regìa di un intenso e drammatico film giudiziario, sulle deliberazioni di una giuria, La parola ai giurati (12 Angry Men), partendo da un testo ideato da Reginald Rose. Il risultato, già allora rasentava la perfezione. Sembrava quasi un capriccio di un regista, dotato di scarsa fantasia e bisognoso di una solida trama, correre il rischio di allestirne una nuova versione, mezzo secolo dopo. Si è cimentato -con 12- il cineasta russo, Nikita Mikhalkov. Con l’aiuto di altri sceneggiatori, possiamo affermare che è risultato capace di conservare l’impalcatura della storia originale, situandola però nella Russia attuale, arricchendo così -i personaggi- di tante novità.



Una giuria, composta di dodici uomini, si ritira a deliberare sul caso di un giovane ceceno, accusato di aver ucciso il patrigno russo. Inizialmente, il gruppo non prende sul serio il processo: il desiderio comune è finire quanto prima, ciò che considerano un lavoro ingrato, capace solo di sottrare loro tempo prezioso. Tutti sono convinti della colpevolezza dell’accusato, ma in realtà nessuno si è soffermato a considerarne le prove a carico. Solo quando uno di loro osa rompere l’unanimità, riguadagnando quella dignità che sembrava perduta e osando a richiamare tutti sul fatto che stanno giudicando un essere umano, è solo allora, che ognuno si sente costretto ad approfondire un caso che coinvolge tutti, non solo l’imputato. Questo processo obbliga i giurati a guardarsi dentro, arrivando a toccare varie ferite dell’anima, non ancora cicatrizzate.

È sorprendente il risultato raggiunto da Mikhalkov. Ciò che, a prima vista, aveva tutta l’aria di un’operazione artificiosa -ambientare la trama in Russia-, risulta invece rivelare il volto di quella nazione. Si entra nel merito di come la Russia abbia assimilato il sistema democratico, si affrontano gli odi etnici e la corruzione russa, nonché le diseguaglianze sociali e la crisi della famiglia. E questo, con fine intelligenza e senza nulla di posticcio. Tutto al contrario, il film aiuta a penetrare il senso tragico del popolo russo, con una magnifica contrapposizione di personaggi, che trasferisce l’attenzione -dagli uni agli altri- con grande naturalezza, spesso in validi duelli recitativi, a due o tre interpreti. Anche se si può criticare l’eccessivo ricorso a passaggi ad effetto, non si intacca il valore sostanziale del film. Tutto il cast recita in modo superbo, configurando la credibilità di personaggi che vanno dal rozzo taxista, al chirurgo di umili origini, al “nuovo ricco” imprenditore televisivo o al tipo inquieto, seminatore di dubbi.

Mikhalkov non solo esibisce un alto senso drammatico, ritagliandosi un ruolo del tutto secondario -che soltanto nel finale riveste un certo rilievo-, ma riesce anche a realizzare un film ad alto impatto visivo, con una fotografia perfetta, un favoloso uso della cornice della ex-palestra scolastica, dove si riunisce la giuria. E avvalendosi pure, di un’ispirata colonna sonora. I flash-back sulle sequenze precedenti il crimine sono davvero rivelatori, evitando di esibire particolari truculenti, ma con momenti di forte intensità. Inoltre, immagini come quella del pallone di pallacanestro incastrato nel tabellone del canestro, del passerotto imprigionato, della tubatura a vista, o di una negletta immagine della Madonna, mettono -ben in luce- pregi e difetti dei russi. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V, D (ACEPRENSA)

Alexandra

12/7/08. Regista: Aleksandr Sokurov. Sceneggiatura: Aleksandr Sokurov. Interpreti: Galina Vishnevskaya, Vasili Shevtsov, Raisa Gichaeva. 92 m. Russia 2006. Giovani (VS)

Il nuovo film del siberiano Aleksandr Sokurov (Podorvikha, 1951) narra una storia essenziale che, al contempo, risulta di respiro universale. Un’anziana signora, Alexandra Nikolaevna, va a trovare il nipote, che non vede da sette anni. Denis è un capitano dell’esercito, che combatte in Cecenia. Dopo un lungo ed estenuante viaggio in treno, l’anziana signora arriva al campo militare, dove trascorrerà qualche giorno. Alexandra si fa vedere ovunque, parla con tutti, guarda molto, discute con il nipote, fa amicizia con un’anziana cecena. Prende infine il treno, per tornare a casa.


Il cinema di Sokurov (Père et fils, Il sole, L’arca russa) è ermetico: ammette diverse letture. Nel caso presente, c’è una critica alla guerra cecena, in particolare, ed a tutte le guerre in generale. Lo sguardo di Alexandra indugia su soldati appena adolescenti, che vanno perdendo la loro umanità; impugna un kalashnikov, prende la mira, dicendo: “è molto facile”. Va al mercato locale e parla con i “nemici”. Si rende conto delle barriere di odio, che hanno provocato i combattimenti. E invita la sua nuova amica cecena a venirla a trovare a casa sua, in Russia. Infine, si preoccupa del nipote, del suo futuro: che potrà mai fare, quando prenderà congedo? Dovrebbe sposarsi, una buona volta!

Alexandra non è un film facile da vedere. La tavolozza pittorica di Sokurov tende alla monocromia. Saturato negli esterni, tutto assume l’uniforme color seppia; negli interni, tende invece al verde. Sokurov gioca continuamente con il suono e il fuori campo. Il film provoca un disagio continuo; l’ambiente è inquietante, minaccioso, surrealista. Bisogna accettare l’assurda situazione di vedere l’anziana signora trovarsi in questo luogo e in queste anomale circostanze. Inoltre, bisogna accettare che si tratti di una favola, in cui Alexandra sembra il simbolo della “grande madre Russia”, che difende la famiglia, che vuol bene a tutti; che si lamenta -ma in modo discreto- di molte cose. Bisogna anche ricordare che il cinema di Sukorov ha carattere onirico. Sarà anche vero, che nessuna Alexandra è mai andata in quel campo militare; ma è certo che suo nipote, e chiunque si identifichi in lui, ha sempre desiderato quella visita.

Non è il miglior Sukorov, ma certo propone un film valido, costruito in torno a Galina Vishnevskaya, attrice proveniente dall’opera russa. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V, S (ACEPRENSA)

E venne il giorno

21/6/2008. Regista: M. Night Shyamalan. Sceneggiatura: M. Night Shyamalan. Interpreti: Mark Wahlberg, Zooey Deschanel, John Leguizamo, Betty Buckley, Frank Collison, Ashlyn Sanchez, Spencer Breslin, Robert Bailey Jr. 91 m. USA, India. 2008. Giovani (V)

Un bel mattino, la gente comincia a suicidarsi in massa: in primo luogo al Central Park, poi in altre zone di New York. Infine, in molti luoghi della costa orientale degli Stati Uniti. Questi raccapriccianti eventi generano una fuga disperata all’Ovest, coinvolgendo una giovane coppia -professore di scienze lui, dirigente aziendale lei- che sta passando un delicato momento di reciproca sfiducia. Con l’ulteriore incombenza di farsi carico della figlia di un amico di lui, partito alla ricerca della propria moglie. Il peggio è che nessuno capisce se gli incidenti si devono ad un attacco terroristico con arme chimiche o biologiche, ad un sperimento militare fallito o ad una reazione della natura, come conseguenza dell’inquinamento prodotto dal’uomo. Forse, semplicemente, è arrivata la fine del mondo.



Il cineasta indoamericano, di 37 anni (Il sesto senso, Lady in the water), torna ad esibirsi nella creazione di tensione da suspense, in un’atmosfera angosciante e durevole, dove emergono con stridente lucidità conflitti umani di prim’ordine. Tra questi: la violenza dell’istinto di sopravivenza, la forza dell’amore, il valore del sacrificio, la fedeltà coniugale e il perdono; nonché le limitazioni della scienza o la fragilità umana davanti ai misteri della natura, utilizzata forse dalla provvidenza divina per aiutare l’essere umano a delimitare il senso della sua vita e i valori veramente importanti per portarla bene a termine.

Certamente, lo sviluppo e il finale non sono capaci di sostenere la potenza visiva e drammatica della splendida partenza. Nel desiderio di attingere e mantenere in quota questo forte impatto iniziale, Shyamalan esagera un po’ nel trattamento della violenza. Per esempio, nella sottotrama dei due adolescenti che accompagnano -per un tratto- i protagonisti. Ad ogni modo, Shyamalan realizza una rigorosa direzione di attori -splendida per Mark Wahlberg e Zooey Deschanel-, e inizia diverse sequenze con un’emotività carica di angoscia. Con ciò, conferma -tramite l’inquietante messa in scena- di candidarsi a primo erede di Alfred Hitchcock: il mago del suspense. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V (ACEPRENSA)

L'incredibile Hulk

21/6/2008. Regista: Louis Leterrier. Sceneggiatura: Edward Norton, Zak Penn. Interpreti: Edward Norton, Liv Tyler, Tim Roth, Tim Blake Nelson, Ty Burrell, William Hurt. 114 m. USA. 2008. Giovani (V, S)

Il francese Louis Leterrier (Transporter: Estreme, Danny the dog) è stato il regista scelto da Stan Lee, proprietario della Marvel, per dirigere questo secondo lungometraggio sulle traversie del noto personaggio dei fumetti, Bruce Banner, scienziato che ha subito un’esposizione radioattiva che altera il suo organismo, in modo che -quando il suo dinamismo tende ad accelerare- si trasforma in Hulk, indistruttibile gigante verde.



Non ci sono grandi innovazioni, rispetto al film del 2003 diretto dal taiwanese Ang Lee. Edward Norton, uno dei grandi attori del momento, recita molto bene il personaggio stevensoniano, tagliato su misura per lui, se non altro perché l’attore è anche coautore del copione. Fatto davvero sorprendente, tenendo conto che è all’esordio, come soggettista cinematografico.

Il film, decisamente d’azione, rivela una messa in scena spettacolare, assai fedele al fumetto originale. Liv Tyler non è Jennifer Conelly, ma apporta dolcezza (un po’ sciocca, certamente) al personaggio di ricercatrice, innamorata di Bruce Banner, nonché figlia del militare che perseguita ossessivamente Hulk. Tim Roth risulta un pò troppo magrolino, per impersonare un militare da corpo di élite: non sembra molto a suo agio, col ruolo affidatogli.

In conclusione, si tratta di un divertente comic, trasposto per cinema, con le modalità espressive ben note di questo sottogenere di supereroe, risultato un giocattolo assai costoso (125 milioni di dollari di spesa). È tuttora in lizza, per superare il precedente omologo (245 milioni di dollari) nonché quel recentissimo e affine per genere Iron Man, arrivato ad incassare la bella somma di 538 milioni di dollari. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V, S (ACEPRENSA)

Sex and the city

21/6/2008. Regista: Michael Patrick King. Sceneggiatura: Michael Patrick King. Interpreti: Sarah Jessica Parker, Kim Cattrall, Kristin Davis, Cynthia Nixon, Chris Noth, Candice Bergen, Jennifer Hudson, David Eigenberg, Evan Handler, Jason Lewis, Mario Cantone. 140 m. USA. 2008. Adulti (X, D)

Il prototipo di Sex and the City è la serie statunitense trasmessa dalla rete HBO, tra il 1998 ed il 2004. Vi si racconta la storie di quattro donne celibi, sulla quarantina, ossessionate da moda, amore e sesso. Il tono piccante lo si deve alla narratrice, una giornalista, a lungo titolare di una rubrica settimanale sulle abitudini sessuali degli abitanti di New York. Se alcuni hanno scorto, nel serial, una proposta di avanguardia circa la femminilità e, al contempo, la capacità di infrangere tabù, altri hanno invece criticato la penosa immagine di donna che ne esce fuori, molto lontana dalla realtà e abbastanza decadente; anche se veste secondo la moda più esigente.

Quattro anni dopo l’ultimo episodio, Michael Patrick King -uno degli sceneggiatori della serie, nonché regista di diversi capitoli della stessa- scrive, dirige e produce il film che vi trae spunto. La qualità del prodotto non dà luogo a molti commenti: si tratta di un episodio molto stiracchiato, dove -come in ogni serial, degno di questo nome-, l’unica tensione reale si riduce a sapere se la protagonista si sposa o meno. Le recitazioni risultano stereotipate, se non -a volte- ridicole (limite che si sopporta con più indulgenza, nei serial TV). L’unico elemento degno di nota (oltre i costumi di Patricia Field) è una certa critica -così arrendevole, da passare quasi inosservata- ad una società costruita tutta sulla prevalenza dell’immagine, dell’apparenza.

Il film eredita, dalla serie TV, il protagonismo della moda (più di 80 vestiti per Sarah Jessica Parker), il consumismo ossessivo (ci sono momenti che sembra di assistere ad un documentario pubblicitario su vestiti, alberghi, appartamenti e ristoranti), Insomma: frivolezza a tutto campo, con elevate dosi di alto voltaggio sessuale -più misurate rispetto alla serie, ma ugualmente stolide- affioranti nelle conversazioni e nelle scene.

Le protagoniste continuano ad essere isteriche, ma c’è qualche cosa che balza all’occhio. Quelle che nel serial apparivano quattro mangia-uomini (pronte a qualunque avventura), in apparenza beate, nella loro liberale mancanza d’impegno, finiscono, nel film, per evocare -al contrario- un tacito inno alla famiglia unita, alla maternità e alla fedeltà. Ciò che resta, in mezzo a tanta deprecabile superficialità, è elementare: quattro donne che parlano di sesso, ma evidentemente hanno bisogno di qualcosa di più elevato… e non proprio di uomini da quattro soldi. La scoperta dell’acqua calda.

Il film ha ricavato più di 200 milioni di dollari. Negli States ha superato, all’esordio, il quarto film della serie Indiana Jones. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.
Pubblico: Adulti. Contenuti: X, D (ACEPRENSA)

Noi due sconosciuti

21/6/08. Regista: Susanne Bier. Sceneggiatura: Allan Loeb. Interpreti: Halle Berry, Benicio Del Toro, David Duchovny, Alexis Llewellyn, Micah Berry, John Carroll Lynch, Alison Lohman, Robin Weigert, Paula Newsome, Omar Benson Miller. 118 m. USA, Gran Bretagna. 2007. Giovani-adulti (S, D)

La regista danese Susanne Bier (Non desiderare la donna d’altri, Dopo il matrimonio) intraprende l’avventura americana, ricorrendo alla sceneggiatura di Allan Loeb. La tematica resta sostanzialmente fedele al proprio genere cinematografico. Vi dominano tipi umani, misurati dai loro problemi quotidiani, che -se duri e difficili da sopportare-, emergono in un taglio ancora più netto e delineato.

La narrazione inizia in stile decostruttivista, alternando le scene della vita famigliare dei Burke -la coppia di Brian e Audrey e i due bambini, Harper e Dory-, alla solida amicizia di Brian con Jerry -tossicodipendente che cerca di superare questa sua debolezza, davvero grato che il suo amico di una vita continui a mantener viva la sua lealtà-, nonché ai preparativi funebri, dovuti alla tragica e inattesa morte di Brian. La buona sceneggiatura, che segue poi canoni più classici, disegna bene i personaggi, presentando in modo convincente l’inferno che vive Jerry, dovuto al suo vizio; nonché le gelosie di Audrey, quando scopre aspetti profondi della vita del marito, più noti all’amico del marito che a lei.

Il lavoro di Halle Berry e Benicio del Toro rende inevitabile l’allusione ai sofferenti protagonisti dei film precedenti: Monster’s Ball e 21 grammi, premiati con due Oscar, e rivelano certamente punti in comune. Anche se di variabili della vita, in questa “valle di lacrime”, non se ne vedono tante: amore, sacrificio, dolore, morte, speranza, redenzione, lotta…. A queste rinvia Bier, con sensibilità e finezza, pur dovendo concludere troppo spesso -per esigenze di copione- sull’unico tasto di saper accettare quel che c’è di buono negli altri e in sé stessi. La regista lavora con una camera a mano nervosa, metafora della fragilità dell’esistenza. Mostra comunque una certa delicatezza, nel tratteggiare la vita coniugale, o alludere indirettamente all’aiuto divino nella preghiera durante le riunioni di tossicodipendenti che Jerry evita di recitare, anche se porta una croce appesa al collo. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: S, D (ACEPRENSA)

Il divo

21/6/2008. Regista: Paolo Sorrentino. Sceneggiatura: Paolo Sorrentino. Interpreti: Toni Servillo, Anna Bonaiuto, Piera degli Espositi, Giulio Bosetti, Carlo Buccirosso, Flavio Bucci. Massimo Popolizio, Giorgio Colangeli. 110 m. Italia. 2007. Dramma. Giovani-adulti.

Un ritratto di Giulio Andreotti nella prima metà degli anni ’90 – dall’insediamento del suo settimo governo all’apertura del processo che lo vide imputato come mandante dell’omicidio di Mino Pecorelli – come bilancio della storia italiana del Dopoguerra.

Un film su Giulio Andreotti: scelta ardita ma, in effetti, non sorprendente. Il senatore a vita è ormai da tempo più personaggio letterario che di cronaca, un’icona, una metafora vivente della Politica, del Potere, dell’Italia. Poche figure della nostra storia repubblicana suscitano altrettante sensazioni contraddittorie: fascino e repulsione, ammirazione e deprecazione, reverenza e sarcasmo, pietà e odio. Da decenni, come riepiloga il film, fioriscono soprannomi che tentano di afferrarne la natura: Sfinge e Gobbo, Volpe e Salamandra, Divo Giulio e Belzebù. Insomma, con una figura come quella di Andreotti un autore ci va a nozze, tale è l’abbondanza di spunti. Ma è proprio quando il personaggio che lo ispira sembra più inventato che reale, che diventa difficile fare un film biografico. Fra tanti spunti possibili, quali scegliere? Fra tante chiavi interpretative, quali usare?

Paolo Sorrentino, uno dei più giovani (ha meno di 40 anni) e talentuosi registi italiani (Le conseguenze dell’amore, del 2004) ha una buona idea: raccontare solo quattro anni della decennale vicenda politica di Andreotti. Dall’ultimo governo come Presidente del Consiglio al processo come mandante di un omicidio. Dagli altari alla polvere. Con, in mezzo, la gloria appena sfiorata della Presidenza della Repubblica. Less is more, insegnano gli americani. E questo vale anche per i film biografici. Nelle interviste Sorrentino ha dichiarato di aver voluto fare un film sulla complessità del potere. Come Andreotti stesso dichiara a Scalfari che, in una scena del film, gli ha posto una serie di domande tendenziose (dalle quali si potrebbe evincere che Andreotti è l’ispiratore di praticamente tutte le stragi dall’immediato dopoguerra ad oggi): “le cose sono un po’ più complesse”. Un film, si potrebbe dire, sul machiavellismo: Andreotti, in una scena di confessione al pubblico dichiara: “La nostra, inconfessabile contraddizione: perpetuare il male per garantire il bene. Tutti a pensare che la verità sia una cosa giusta e invece è la fine del mondo. E noi non possiamo consentire la fine del mondo in nome di una cosa giusta. Abbiamo un mandato, noi. Un mandato divino. Bisogna amare così tanto Dio per capire quanto sia necessario il male per avere il bene. Questo Dio lo sa. E lo so anch’io”.

Ma, sebbene la visionarietà registica e il buon cast garantiscano l’oggettiva qualità dello spettacolo, il film non può dirsi riuscito. La complessità che Sorrentino voleva raccontare non va oltre quella informativa: Il Divo presenta un profluvio di nomi, date, circostanze, neanche fosse un libro di Travaglio. Il machiavellismo che doveva esserne il tema non viene sviscerato al di là del mero, generico, enunciato sopra citato: perpetuare il male per garantire il bene. E il film risulta un ritratto baconiano basato su una tesi molto semplice: Andreotti è un mostro responsabile dei 236 morti e 817 feriti (è un bilancio esplicitato nel film) a cui assommano decenni di stragi e omicidi politici italiani; circondato da un gruppo di “bravi ragazzi” (le citazioni dai film di genere mafioso sono marcate) – Paolo Cirino Pomicino, Giuseppe Ciarrapico, Vittorio Sbardella, Franco Evangelisti e il cardinale Fiorenzo Angelini (tutti sullo stesso piano) – ha collaborato con Mafia, Camorra, P2 e Vaticano (tutti sullo stesso piano) per conservare il potere (o, si dice, vagamente, per evitare il “pericolo comunista”), eliminando (o permettendo che fossero eliminati) tutti coloro che avrebbero potuto denunciarlo (Aldo Moro, Mino Pecorelli, il Generale Dalla Chiesa, Roberto Calvi, Michele Sindona).

Insomma: niente che non si trovi in una puntata tipo di Annozero (che, infatti, al film ha dedicato un’intera serata). Più che tematizzare la complessità, il film enuncia in modo apodittico una tesi semplice-semplice, in modo confuso-confuso: nel tono grottesco si mescolano in modo subdolo flash-back e flash-forward, narrazione oggettiva (“vera”) e illustrazione di un punto di vista soggettivo (non necessariamente credibile), tono grottesco e taglio da reportage (titoli di testa e didascalie a esplicitare nomi, date, circostanze). Insomma: Il Divo fa proprio come il tendenzioso Scalfari nella scena sopra citata (che per Sorrentino è la scena madre del film): insinua, lascia intendere, dice qualcosa facendo finta di non dirla. È esasperante. Anzi è andreottiano (nel senso usato dai detrattori) del termine.

Ed è invece praticamente assente ciò che da un film, come minimo, ci si aspetta: il dramma, il dilemma morale, le scelte problematiche fra due mali. Questa, che è la vera complessità, della vita di Andreotti come di quella di ognuno di noi, non viene lontanamente sfiorata. E così, in fondo, il tutto si riduce a poco più che un videoclip, molto fantasioso, molto tarantiniano, molto pop – ma anche piuttosto noioso – dove, al posto della musica, c’è un ritmo di citazioni (queste, effettivamente, memorabili) di Giulio Andreotti. Francesco Arlanch. Per gentile concessione di FAMILYCINEMATV.

Valori/Disvalori: Il film insinua, lascia intendere, dice qualcosa facendo finta di non dirla. È esasperante. Anzi è andreottiano.

Si suggerisce la visione a partire da: Adolescenti. Alcune scene di violenza.

Giudizio tecnico: Sebbene la visionarietà registica e il buon cast garantiscano l’oggettiva qualità dello spettacolo, il film non può dirsi riuscito.