Die Hard 4.0

27/10/07. Regista: Len Wiseman. Sceneggiatura: Mark Bomback. Interpreti: Bruce Willis, Timothy Olyphant, Maggie Q, Justin Long, Jeffrey Wright. 130 min. USA. 2007. Giovani. (VD)

John McClane si trova ancora nel posto e al momento sbagliato, ma con i suoi spicci metodi di lavoro -un uomo analogico in un mondo digitale- riesce a salvare il mondo e a rendere più forte il legame con la sua giovane figlia.

Il film, è ovvio, offre un ritmo vertiginoso ed elaborate scene d’azione. Sono eccessive, ma che importa? Una volta entrati in un mondo in cui tutto è possibile, si godono autentici momenti di grande spettacolo drammatico, tra cui la lotta nel tunnel, il modo di abbattere un elicottero con una macchina o il duello tra camion e caccia da combattimento.

Ma gli effetti speciali e le coreografie non sono sufficienti. C’è anche un copione intelligente di Mark Bomback, che prende le mosse dall’articolo giornalistico di John Carlin, A farewell to the arms (Addio alle armi), sull’eccessiva dipendenza tecnologica. La trama specula su cosa può accadere, se pirati informatici riuscissero a collassare le reti che regolano il traffico, la somministrazione di energia elettrica, le finanze, la sicurezza nazionale… E il fondo delle paure collettive, toccato dopo il 11 settembre, sembra offrire credito a tali inquietanti ipotesi. McClane deve portare a termine un lavoro semplice –mettere uno hacker a disposizione dello FBI- ma le cose si complicano quando un gruppo di terroristi cercano di eliminare l’uomo da lui prescelto. Lo dirige un corpulento e cattivo Timothy Olyphant, con oscuri propositi, svelati solo in seguito.

Il film è fedele allo spirito della saga anche nelle nostalgie dell’eroe per la vita famigliare. Il sacrificio e la rinuncia è il prezzo che deve pagare chi possiede così alte qualità, necessarie per lottare contro i cattivi di turno. C’è inoltre molto senso dello humour, battute azzeccate e simpatia per McClane (un eccellente Bruce Willis), quando conversa con il suo protetto, sua figlia, lo FBI o i cattivi. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani V, D (ACEPRENSA)

The Bourne ultimatum - Il ritorno dello sciacallo

THE BOURNE ULTIMATUM – IL RITORNO DELLO SCIACALLO

27/10/2007. Regista: Paul Greengrass. Interpreti: Matt Damon, Julia Stiles, Joan Allen, David Strathairn, Paddy Considine, Scott Glenn, Edgar Ramírez, Albert Finney. 111 min. USA. 2007. Giovani. (VD) Nelle sale dal 1 novembre.

Cinque anni fa, un film d’azione -senza tante pretese- finiva per sbancare le sale cinematografiche di tutto il mondo, facendo di Matt Damon una star. Non mancarono le lodi della critica, che vide in questo film un interessante rinnovamento del cinema di spionaggio. Era The Bourne Identity. Due anni dopo, il marchio si consolidava e progrediva con The Bourne Supremacy, grazie soprattutto alla messa in scena del britannico Paul Greengrass. Adesso, la saga e il regista consentono di catalogare come un classico, tra le pellicole di spy-story, l’ultimo prodotto: The Bourne Ultimatum.

Tenendo conto che si tratta di un film intricato, il miglior riassunto dell’argomento è forse quello offerto dalla ditta produttrice: “In The Bourne Identity, il protagonista cerca di scoprire chi è in realtà. In The Bourne Supremacy si vendicava per quello che aveva dovuto subire. Adesso, Jason Bourne torna a casa e ricorda tutto”. Si può aggiungere che, prima di tornare a casa, deve passare da Mosca, Torino, Parigi, Londra, Madrid, Tangeri, New York e Los Angeles e che, strada facendo, dovrà mettersi alla prova con nuovi assassini prezzolati dalla CIA, trovando aiuto inatteso, alle volte anche nel cuore della discussa agenzia federale, dove sembrano sapere come è iniziata la angosciosa fuga di questa smemorata machina per uccidere che è Jason Bourne.

Di nuovo, il copione è più asciutto ed elaborato della media nel cinema di azione convenzionale, rispetto –ad esempio- alla saga di James Bond e relative numerose imitazioni. Nell’agilissima successione di spettacolari sequenze di azione ed interludi intimisti, il copione riesce a dar slancio al dramma di vari personaggi centrali, ma specialmente di Jason Bourne. Questi si dimostra ansioso di scoprire la sua identità smarrita. Sempre in lotta permanente tra desiderio di vendetta, contro coloro che hanno rovinato la sua vita, ed un incipiente coscienza di colpevolezza, che lo porta a moderare i suoi istinti assassini. Malgrado questo approccio, il film -come i precedenti- è molto violento, esibendo talvolta una messa in scena eccessivamente appariscente e un frenetico montaggio, che debilita puntualmente la credibilità delle situazioni.

In ogni caso, Matt Damon e il resto degli attori –sopra tutto Julia Stiles, Joan Allen e David Strathaim- prendono molto sul serio i loro personaggi. Paul Greengrass li dirige con mano vigorosa, senza lesinare pathos allo spettatore, con alcune sequenze di azione da antologia, quali l’inseguimento nella Stazione di Waterloo a Londra, o la doppia fuga ad Algeri, una e l’altra sviluppate in un tempo visivo e drammatico prodigioso. E tutto, sempre sostenuto dall’eccellente partitura musicale di John Powell. Non è certo che la saga abbia un seguito. E neanche che sia Paul Greengrass a dirigerla. Una volta tanto, però, i buoni amanti del cinema d’azione, restano ansiosi di tornare a divertirsi con questo binomio di sicura efficacia. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V, D (ACEPRENSA)

Becoming Jane

27/10/2007. Regista: Julian Jarrold. Sceneggiatura: Kevin Hood, Sarah Williams. Interpreti: Anne Hathaway, James McAvoy, Maggie Smith, Julie Walters, James Cromwell. 120 min. GB, 2007. Giovani. (S)

Nell’Inghilterra di fine Settecento, la giovane Jane Austen (1775-1817), figlia di un pastore anglicano, settima di otto fratelli, vive in campagna una vita semplice e pacifica. I genitori, seguendo le consuetudine dell’epoca, vogliono trovarle un buon partito, che le assicuri il futuro. Nell’ordinata vita dell’intelligente e sensibile Jane, irrompe Tom Lefroy (ben interpretato dallo scozzese James McAvoy), giovane avvocato irlandese stabilitosi a Londra, arrogante, altezzoso e spaccone.

Accurata produzione britannica, con la partecipazione della BBC, oltre a vantare una collaudata tradizione, si impone per un’ambientazione riuscita e in virtù di un racconto scorrevole e interessante. Si tratta di porre in relazione tra loro alcuni episodi della vita della celeberrima scrittrice ed i suoi romanzi, traendone una serie di conseguenze. Bisogna comunque ammettere, che i romanzi della Austen (ed i film ispirati dagli stessi) surclassano quest’opera: degna, ma non certo un capolavoro.

La vivace Anne Hathaway ha carisma da vendere. Con notevole sforzo, è anche riuscita nell’intento di recitare in perfetto inglese, senza il minimo accento americano. Grazie a lei, risultano attenuati gli errori e la mancanza di sfumature del grezzo copione che, da una parte, non riesce a rendere la mentalità di un’epoca alquanto diversa dalla nostra, e dall’altra, risulta fin troppo assimilabile ad uno spettacolo televisivo; per di più, nell’accezione peggiore del termine. Probabilmente, non è un caso che regista e sceneggiatori provengono dalla TV. Jarrold ha appena concluso le riprese di Ritorno a Brideshead, versione cinematografica del capolavoro di Evelyn Waugh, con Emma Thompson nel ruolo di Lady Marchmain.

Becoming Jane, con un budget di 16,5 milioni di dollari, è stato distribuito dalla Miramax in USA, ottenendo 18 milioni di dollari; il che vuol dire, che è stata una scelta sontuosa aver affidato il ruolo di protagonista ad un’attrice americana, malgrado interpreti un personaggio femminile, che più britannico non si può. Nel Regno Unito, il film ha incassato molto meno: 6,6 milioni di sterline. È in preparazione una serie della BBC, sullo stesso tema, intitolata Miss Austen Regrets, impersonata dall’attrice londinese Olivia Williams (Sesto senso, Tara Road). Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: S (ACEPRENSA)

Ratatouille

27/10/2007. Regista: Brad Bird. Sceneggiatura: Brad Bird. Musica: Michael Giacchino. Animazione. 110 min. USA. 2007. Giovani.

Il terzo lungometraggio di Brad Bird ne conferma il talento di regista. Dopo il notevole film Il gigante di ferro e l’eccellente Gli Incredibili, Bird ha preferito qui puntare, e parecchio, su una trama assai rischiosa, consapevole che solo Pixar poteva accettare la sfida (anche economica: 100 milioni di dollari di budget). La società di animazione di John Lasseter, produttore esecutivo del film, ha stabilito standard di qualità incredibili. E in Ratatouille è evidente che, senza lo straordinario lavoro degli animatori tecnici di Pixar, il film non avrebbe funtzionato. Girare un film su di un topo di campagna che sogna con diventare una star della haute cuisine francese, in un ristorante parigino, è tutt’altro che scontato. La ripugnanza naturale che gli esseri umani avvertono per i topi resterà immutata, malgrado molti film di animazione abbiano cercato di presentarci topolini simpatici e carini. Ma mettere insieme topi e alimentazione, inserendo un topo in cucina, è giocare d’azzardo. Ancora più se si rinuncia al comodo espediente di permettere un dialogo tra roditori e persone.

La cosa più sorprendente del grande copione di Ratatouille è il modo di stabilire i rapporti tra roditori e persone, con conflitti davvero ingegnosi ed un’eccellente crescendo drammatico, che culmina in uno dei migliori climax nella storia del cinema d’animazione. Il film gioca più volte sul modo di conciliare le aspirazioni dei roditori con quelle degli uomini utilizzando, come scenario di convivenza delle due speci, la cucina di un ristorante parigino. Brid ha scritto un copione con trovate assai geniali, anche se il film poteva tranquillamente durare 15 minuti di meno (evitando alcuni lunghi dialoghi didattici, un po’ pedanti).

Nel disegno dei personaggi, Pixar è sempre Pixar: lo spettatore rimane a bocca aperta dall’ammirazione, specialmente per il dominio della gestualità dei personaggi, che nel caso di Rèmy, il topo blu protagonista del film, è prodigioso. La qualità della fotografia e del montaggio danno lustro a un disegno di produzione accuratissimo, con una magnifica riproduzione di Parigi e delle sue atmosfere, molto riuscita. Le sequenze di azione, grazie al dominio dell’animazione dei movimenti violenti, hanno grande dinamismo, sottolineato dalla riuscita partitura musicale di Giacchino. Cercate di arrivare puntuali alla proiezione: il cortometraggio incluso Anche gli alieni sbagliano (un’autoscuola per marziani), diretto dal fine editore di suoni Gary Rydstrom, è divertentissimo. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: (ACEPRENSA)