Pubblico: Giovani (ACEPRENSA)
Sapori e dissapori
I Simpson - Il film
Cosa si può dire dei Simpson che già non si sappia? La serie televisiva è da 17 anni sulla cresta dell’onda. Ogni settimana ottiene grande successo, tanto negli Stati Uniti che fuori. Gli spettatori sanno tutto di questa singolare famiglia nordamericana. La storia che vivono i Simpson, in questa occasione, è simile a quelle già viste su piccolo schermo: Lisa si è impegnata, con scarso risultato, in una crociata ecologista per salvare il lago di Springfield e, quando è prossima al successo, Homer provoca un grande inquinamento tossico che provoca l’intervento delle autorità e minaccia la stessa esistenza di Springfield.
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Hairspray
Nel 1988, John Waters girò un film intitolato Hairspray (Lacca), imperniato su una adolescente di Baltimora degli anni ‘60, che sogna di andare al Corny Collins Show, programma di ballo della tv locale. La storia di Tracy Tumblad, che supera le difficoltà della sua figura rotondetta, per trionfare, si abbina ad una lotta più importante, quella dell’integrazione razziale. Una storia così, semplice e di buone intenzioni, aveva già fatto sufficiente presa per dar vita ad un musical di Broadway. Nel 2002 è arrivata la messa in scena teatrale, con musica e libretto di Marc Shaiman e Scott Wittman e dopo soli cinque anni ecco ora giungere la versione cinematografica, dove John Travolta fa il salto dal gel (Grease) alla lacca, con il ruolo della mamma di Tracy.
Si tratta di un grandissimo film? La risposta è: no. Le canzoni sono gradevoli, molto anni sessanta. Diciamo che si lascia vedere. Ma Adam Shankman (Prima o poi mi sposo, I passi dell’amore) è un regista modesto, incapace di trascendere l’esile struttura drammatica, per offrire qualche cosa di degno da ricordare. Così, ci presenta un agrodolce di buoni e cattivi, dove fa un po’ soffrire vedere Micelle Pfeiffer nei panni di una seduttrice “matrigna” dello staff esecutivo di una rete televisiva. La causa razziale resta al più un pretesto, per autoincensarsi: risulta davvero impossibile immaginare Spike Lee, per esempio, impegnarsi davvero su questo tema. Inoltre, le frecciate al puritanesimo -la bigotta incarnata da Allison Janney, la CJ di West Wing –tutti gli uomini del presidente- risultano inadatte per un tale musical.
Forse, la vera trovata è il lancio della giovane Nikki Blonsky, stupenda protagonista; e senz’altro ha i suoi meriti anche J. Travolta, nei panni insoliti di una grassa donna, intenta a ballare a ritmo. José María Aresté. ACEPRENSA.
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Shrek terzo
In questa terza parte della saga -basata sui personaggi letterari creati dallo scomparso William Steig- il popolare orco verde Shrek è alle prese con un evento singolare: la morte di suo suocero, il re Harold, converte a lui e a Fiona nei re del Paese Lontano Lontano. Pieno di orrore, Shrek decide di trovarsi un sostituto, con l’aiuto degli inseparabili amici Ciuchino e Gatto con gli Stivali.
Come si vede, l’argomento già prometteva una buona riuscita. E lo si vede ora da diverse cose ben fatte: le trame e i sogni di Shrek -che trascolorano in un elogio della famiglia numerosa-, le divertenti peripezie della combriccola femminista o la morte del re, forse la sequenza meglio rifinita dell’intero film. Comunque, in termini generali, il film mostra -ancor più evidenti- i difetti abituali della formula DreamWorks. Il copione è più superficiale ed episodico dei precedenti; eccede in boutades satiriche o anacronistiche e carica le tinte con battute un po’ volgari e sfacciate, come il commiato che il Gatto con gli Stivali rivolge alle sue diverse amanti, o qualche commento isolato di Biancaneve. Ci sono pure alcune brevi allusioni all’ideologia andante di gender, rappresentata dalla rozza Doris e dall’affettato direttore d’orchestra.
Nella risoluzione formale, si sono migliorati molto gli sfondi e la gestualità facciale dei personaggi. Inoltre, la colonna sonora è brillante. Comunque, i disegni dei personaggi sono rigidi e convenzionali. Per di più, l’animazione dei relativi movimenti non facciali è alquanto rozza. Ad ogni modo sono difetti accettabili, che si compensano con alcune gags intelligenti. Il finale torna ad esaltare la famiglia e l’amicizia, come dettano i canoni delle fiabe. Infine, il film permette di passare un momento di svago famigliare, senza troppi spaventi. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.
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