Dreamgirls

3/2/2007. Regista: Bill Condon. Sceneggiatura: Bill Condon. Interpreti: Jamie Foxx, Beyoncé Knowles, Danny Glover, Jennifer Hudson, Eddie Murphy, John Lithgow, Keith Robinson. 131 min. USA. 2006. Giovani-adulti. (S)

Detroit, 1962. Tre giovani afroamericane –The Dreamettes– si presentano ad un concorso musicale che non vincono. Curtis Taylor, un venditore di cadillacs, desideroso di entrare nel mondo dello spettacolo, si offre quale manager del trio. Inizia allora una carriera musicale piena di successi, che decolla quando la brava e cicciona solista viene sostituita dalla giovane e molto più spettacolare Deena Jones (la cantante-attrice Beyoncé).

La prima del musical Dreamgirls ha avuto luogo a Broadway, nel 1981. Nel 1982 ha concorso a tredici premi Tony. Oltre a varare la trascrizione cinematografica, il regista nordamericano Bill Condon (Demoni e dei) si è incaricato di adattarne il copione. Non un lavoro certo nuovo, per lui, che ha già curato la trama di Chicago, film vincitore di 6 Oscar nel 2003.

Dreamgirls è stato una delle grandi sorprese nella recente edizione dei Globi d’Oro: ha vinto il premio al miglior film (nella categoria di commedia musicale) e al miglior attore ed attrice non protagonisti. Si presenta agli Oscar con la bellezza di otto nominations… anche se, in certo modo, alcune sono ingannevoli (tre delle nominations riguardano canzoni del film). Ad ogni modo, non mancano indizi di eccellenza. Oltre le canzoni, Dreamgirls lotta per la statuetta nelle categorie dei migliori attori non protagonisti, miglior disegno di produzione (John Myhre, vincitore di due Oscar per Memorie di una geisha e Chicago), costumi e suono. Effettivamente, Dreamgirls è un film che riscuote riconoscimenti, specie dal punto di vista della messa in scena: è un ostentazione di colore, di effetti, di luce. Insomma, un vero spettacolo (il tono generale del musical può invece piacere di più o di meno). Nella parte musicale, Henry Krieger, creatore della partitura originale di Dreamgirls, è stato incaricato dell’adattamento al cinema. Perciò, ha aggiunto quattro nuovi temi alla colonna musicale. La semplicità della maggioranza delle canzoni si integra con un ritmo orecchiabile e buone interpretazioni.

Il copione è meno curato: una storia elementare, vista mille volte, poco originale. Inoltre, il disegno dei personaggi principali appare sviluppato in modo saltuario. Grazie a Dio, a salvare la storia ci pensano proprio gli attori non protagonisti: un disciplinato Eddie Murphy e una brava Jennifer Hudson, che esordisce nel cinema dopo essere stata finalista al concorso American Idol. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: S (ACEPRENSA)

Una notte al museo

3/2/2007. Regista: Shawn Levy. Sceneggiatura: Ben Garant, Thomas Lennon. Interpreti: Ben Stiller, Carla Gugino, Dick Van Dyke, Mickey Rooney, Bill Cobbs, Jake Cherry, Robin Williams. 105 min. USA. 2006. Giovani.

Film molto divertente, un mix di commedia e avventure, dotato di effetti speciali in ogni sequenza; chiaramente, sulla linea di Jumanji e Zathura. Il protagonista assoluto del film è Larry Daly (il sempre efficace Ben Stiller), un tipo che non ne combina una buona. Divorziato, con figlio adolescente, è incapace di trovare un lavoro stabile. Alla fine, l’agenzia di collocamento lo invia al Museo di Storia Naturale di New York, dove svolgerà la mansione di guardiano notturno, in sostituzione di tre simpatici predecessori (Dick Van Dyke, Mickey Rooney e Bill Cobs), in procinto di andare in pensione. Il lavoro sembra semplice, tra scheletri di tirannosauri, reperti dal vecchio West alle legioni romane, statue di cera del presidente Theodore Roosevelt o mummie dell’antico Egitto. Ma quello che non gli hanno spiegato i colleghi che sta per sostituire, è che a mezzanotte, tutte queste figure prendono vita, per colpa di un antichissimo incantesimo egiziano.

Ci troviamo davanti ad un film per famiglie, senza troppe pretese, che avrebbe meritato un copione un po’ più elaborato, più coerente. Adattamento di un libro di Milan Trenc, realizzato da Ben Garant e Thomas Lennon, le trame secondarie, come il padre che deve guadagnarsi la fiducia del figlio e mettere giudizio, il breve interludio di Larry con una guida, le vere intenzioni dei tre guardiani, l’amore nascosto di Roosevelt (Robin Williams) per una esploratrice indiana; l’affetto-odio di un cowboy e di un centurione romano- sono di entità assai modesta. Infine, tutto si riduce a una buona manciata di gags inserite in un ritmo frenetico e sequenze molto spettacolari, basate su un overdose di effetti speciali. Non si pretende un trattato di storia, né un copione fatto a squadra, ma almeno un po’ di sforzo per non dare già per scontato il successo di pubblico. Comunque, il film è molto divertente: non mancano le grandi risate. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. (ACEPRENSA)

Blood diamond

3/2/2007. Regista: Edward Zwick. Interpreti: Leonardo DiCaprio, Djimon Hounsou, Jennifer Connelly, Kagiso Kuypers, Arnold Vosloo. 140 min. USA. 2006. Adulti. (VD)

Forse sono in molti ad aver già scordato come, negli anni Novanta, la Sierra Leone fosse preda di una sanguinaria guerra civile, in buona parte finanziata dai proventi del commercio di diamanti. Diverse ONG coniarono il termine “diamanti di sangue” per designare quelle pietre preziose, ottenute mediante lavoro forzato e necessarie ad alimentare la guerra. L’embargo etico contro questi diamanti diede vita ad una rete di trafficanti che li contrabbandavano nei paesi vicini, per poi venderli liberamente.

Il film inizia con l’attacco dei guerriglieri a un villaggio di pescatori. Assassinano la maggioranza degli abitanti, sequestrano i bambini, si portano dietro gli uomini più forti per lavorare in miniera, mentre tagliano il braccio agli altri “per evitare che votino male”. Solomon Vandy è portato a lavorare in miniera; suo figlio è sequestrato per ridurlo a bambino soldato; la moglie e le figlie riescono a fuggire.

Nella miniera, Solomon trova una pietra favolosa, che riesce a nascondere. La sua strada si imbatte poi in quella del rodhesiano Danny Archer, ex mercenario riciclatosi come trafficante di diamanti. Archer lo aiuterà a recuperare la famiglia, in cambio della pietra. Lungo una strada disseminata di cadaveri s’incontreranno infine con una giornalista che segue il conflitto e cerca lo scoop sul commercio illegale dei “diamanti di sangue”.

Edward Zwick (Glory, L’ultimo samurai) sta prendendo quota, come autore di film che affrontano tematiche impegnate e, al contempo, confezionate in modo attraente. Ha molta abilità nel girare scene belliche o d’intensa azione. È purevero che ancora non è riuscito ad offrire un film che aspiri a risultare un capolavoro. Blood Diamond rientra nello standard dei precedenti. Zwick, produttore e regista, si è trovato profondamente coinvolto nel tema, così che il film si propone anche come una vera lezione di storia. Ha avuto il sostegno di Sorious Samura, che nel 1999 si giocò la vita, girando il documentario Cry Freetown, proprio per raccontare questi stessi eventi.

Blood Diamond, ridotto all’osso, è una caccia al tesoro, intorno a cui succedono troppe cose. A tal punto, da vulnerare il ritmo della narrazione. Zwick snocciola combattimenti, massacri e relative motivazioni, mostra come si formano i bambini soldati, come si traffica, come si corrompe, come intervengono la stampa, l’ONU, la Croce Rossa, i trafficanti, i governi, la guerriglia, l’associazione mondiale dei produttori di diamanti e chi più ne ha, più ne metta. Quello che meno importa è questo diamante, questo trafficante, questa giornalista, questa famiglia, soprattutto perché dal primo minuto sappiamo cosa avverrà a ciascuno di costoro, al punto che il buon lavoro degli attori non può evitare che talvolta il film risulti artificioso. Troppi i meandri del copione.

Blood Diamond non è un eccellente film. Si limita a essere un buon film, ma troppo lungo e prolisso. Il cinema, anche quello americano, si è invece reso conto che l’Africa e i temi africani sono un’incredibile fonte di storie; basta ricordare i recenti Totsi e Hotel Rwanda o, uno un po’ più datato: Grida libertà. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, D (ACEPRENSA)

Apocalypto

3/2/2007. Regista: Mel Gibson. Sceneggiatura: Mel Gibson e Farad Safinia. Interpreti: Rudy Youngblood, Dalia Hernandez, Raoul Trujillo. 138 min. USA. 2006. Giovani-adulti. (V,S)

Zampa di Giaguaro è un giovane cacciatore Maya, figlio del capo del suo villaggio. La sua vita viene sconvolta dall’arrivo di guerrieri della città vicina, che uccidono molte persone e rapiscono le rimanenti per venderle o offrirle in sacrifici ai loro dei. Zampa di Giaguaro riesce inaspettatamente a fuggire: si scatena una caccia all’uomo senza esclusione di colpi. Ma Zampa di Giaguaro ha una spinta in più: la moglie –incinta in stato avanzato- si è nascosta con il primo loro bambino in una specie di profondo pozzo naturale, da cui ella non potrà uscire se lui non la aiuta.

Apocalypto si apre con alcuni secondi di inquadratura sulla calma della foresta: sono gli unici momenti tranquilli del film, che da lì in poi è un susseguirsi di azioni palpitanti e spesso crudeli: caccia, violenza, colpi di tutti i tipi, sangue, mutilazioni, inseguimenti, crudeltà, fino a un inaspettato finale. “Una grande civiltà viene conquistata dall’esterno solo quando si è distrutta dall’interno”. È difficile dare una valutazione di questo film di Mel Gibson, perché nelle intenzioni del regista si dovevano fondere in esso due idee. Una è una riflessione sulla crisi di una civiltà: lo studioso Richard D. Hansen, che è stato consulente storico del film, sottolinea come la civiltà Maya sia caduta per la sua debolezza interna, la rigida struttura in classi, lo sfruttamento degli schiavi, la fame di consumo di beni e lo sfruttamento intensivo e non rispettoso della natura. E il film di Gibson ha senz’altro alcuni spunti che –a voler leggere attentamente tra le righe- indicano i segnali di una civiltà in crisi: la sua superstizione, la fame di sacrifici, la commercializzazione degli esseri umani comprati e venduti o barbaramente uccisi. Nelle parole di Gibson, il film vuole essere anche un avvertimento per la nostra civiltà occidentale, che si pensa eterna e che invece potrebbe estinguersi altrettanto facilmente.

L’altra linea è quella dell’azione pura: in questo Gibson dimostra ancora una volta di essere un grande maestro di cinema. Zampa di Giaguaro deve salvarsi anzitutto sconfiggendo la propria paura, così come gli aveva detto il padre. Il film è recitato in lingua Maya, ma le parole –poche, peraltro- lasciano il primo piano all’azione e alle immagini. Che sono senza dubbio notevoli, di grande qualità artistica, capaci di coinvolgere ed emozionare: eccellente è il lavoro del direttore della fotografia, dei costumisti, truccatori, art directors e in generale di tutto il reparto artistico; notevole pure la colonna sonora di James Horner (Braveheart, Titanic), ma anche tutto il lavoro sul suono (respiri, rumori, ecc.). E’ un film che non lascia un attimo di respiro e che può senza dubbio coinvolgere gli appassionati del genere.

Ma probabilmente questa seconda componente del film ha preso la mano all’autore, che si lascia andare a crudeltà che per la loro quantità rimangono in qualche modo fini a loro stesse. La vicenda è intessuta di rimandi di “sottotesto” che fanno pensare che probabilmente le intenzioni erano comunque alte: i riferimenti del gran sacerdote all’accusa fatta ai Maya di essere una civiltà marcia, l’analogia fra le torture ai prigionieri e i circhi romani dove venivano martirizzati i cristiani, gli interventi “provvidenziali” che più volte salvano il protagonista, il finale che visivamente e nelle parole del protagonista annuncia un “nuovo inizio”… Sono tutti elementi interessanti, che però rischiano di perdersi in un contesto di violenza, sangue e crudeltà davvero al di sopra di quanto potesse servire per una storia pur realista.

Almeno forse, il film, un risultato lo raggiungerà: sentiremo parlare un po’ meno della civiltà Maya come di un’idilliaca società di uomini felici, rovinata solo da Colombo e dagli spagnoli dopo il 1492. Armando Fumagalli. Per gentile concesione di Familycinematv.it.

Valori/Disvalori: E' probabile che le intenzioni del regista fossero alte e vi sono elementi interessanti, che però rischiano di perdersi in un contesto di violenza, sangue e crudeltà davvero al di sopra di quanto potesse servire per una storia pur realista.

Si suggerisce ai genitori la visione a partire da: Maggiorenni. Molte scene di violenza e di crudeltà di vario tipo, anche molto impressionanti, molti accenni di nudo, pur se sempre in contesti naturalistici e primitivi.

Giudizio tecnico: ***. Eccellente è il lavoro del direttore della fotografia, dei costumisti, truccatori, art directors ; notevole pure la colonna sonora.

Elementi problematici per la visione: molte scene di violenza e di crudeltà di vario tipo, anche molto impressionanti, molti accenni di nudo, pur se sempre in contesti naturalistici e primitivi.