Ocean's thirteen

23/6/2007. Regista: Steven Soderbergh. Sceneggiatura: Brian Koppelman, David Levien. Interpreti: George Clooney, Brad Pitt, Matt Damon, Andy Garcia, Don Cheadle, Bernie Mac, Ellen Barkin, Al Pacino. 115 min. USA. 2007. Giovani-adulti. (SD)

Il terzo episodio della saga Ocean’s presentata da Steven Soderbergh è l’autentico remake dell’originale Colpo grosso (Ocean’s Eleven, 1960) di Lewis Milestone. In quel film c’erano due elementi chiavi. Il primo è il cosiddetto Rat Pack, formato da Frank Sinatra, Dean Martin, Sammy Davis Jr. e Peter Lawford, che si divertono un mondo insieme, improvvisando da par loro, quasi senza bisogno di recitare. Il secondo, quale pretesto per la storia, è il furto ad un casinò di Las Vegas, realizzato alla perfezione grazie al peculiare talento di ciascun componente del Rat Pack.

Soderbergh aveva già attuato un degno remake, alcuni anni fa, banco di prova per proporci ora il suo Rat Pack. Ma aveva allora fallito nel trarne un secondo episodio, privo di vera trama. In questo terzo episodio indovina tutto, risalendo alle origini: ad un gruppo di uomini, uniti da solida amicizia, che esibiscono i propri talenti per realizzare un furto ad un casinò di Las Vegas. La trama su cui poggia il copione di Koppelman e Levien è più che fragile: eterea; pura forma, un brillante e colorito involucro che si mantiene grazie alle grandi forze che governano il mondo, il bene e il male, l’amore e l’odio, la bellezza e la bruttezza: questi ladri sono brava gente, che si faranno giustizia di un orribile villano; un eccellente Al Pacino si misura con una squadra di stelle che lavora senza personalismi, dove ognuno è pronto a mettersi da parte, più che rivaleggiare con gli altri davanti alla cinepresa.

Non c’e suspense. Infatti, nessuno ha dubbi su quel che accadrà, ma lo spettatore si lascia conquistare dalla grazia e dall’incantesimo di quello che sta vedendo -davvero eccellente la produzione e il montaggio- anche se resta consapevole del fatto che tutto è irreale, così irreale -come i truci eventi del copione-, da esser pronto ad accettare qualsiasi cosa. In fondo, a nessuno importa che, alla fin fine, le vicende non quadrino del tutto, purché siano ben presentate e proposte da una squadra di attori di primo piano, tutti accattivanti.

Una commedia leggera, senza pretese -difetto nel quale è caduto più di una volta questo regista-, con una nota nostalgica. Un film fatto per ricordare che Hollywood è una fabbrica di sogni e che la chiave del successo è stata scritta molto tempo fa: non c’è bisogno d’inventar niente, ma solo di imparare dai maestri. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-Adulti. Contenuti: S, D (ACEPRENSA)

Il destino nel nome

23/6/2007. Regista: Mira Nair. Sceneggiatura: Sooni Taraporevala. Interpreti: Kal Penn, Tabu, Irrfan Khan, Jacinda Barrett, Zuleika Robinson. 122 min. India, USA. 2007. Giovani-adulti (XD)

Calcutta, 1977. Dopo essere sopravissuto ad un grave incidente di treno, Ashoke Gangli sposa Ashima, bella cantante di musica tradizionale indiana. Poco dopo, ad Ashoke è stato offerto un lavoro ben remunerato a New York, dove i due si trasferiscono, installandosi in un modesto appartamento di periferia. Nella loro nuova città nascono e crescono i due figli, un ragazzo e una ragazza. Al ragazzo mettono come primo nome Gógol, in onore del famoso scrittore russo, un’opera del quale è misteriosamente collegata alla vita di Ashoke. Mentre i genitori lavorano e si sacrificano perché i figli abbiano più opportunità di loro, Gógol desidera emanciparsi dal vincolo con la cultura indiana tradizionale, che i genitori hanno conservato, a prezzo di grandi sforzi. Un giorno decide di cambiar nome.

Sorprende il tono introspettivo, sereno e ponderato del copione di Sooni Taraporevala, che adatta il romanzo di Jhumpa Lahiri. Mira Nair (Mississippi Masala, Monsoon Wedding, La fiera delle vanità) propone una misurata direzione di attori, specialmente efficace nell’attrice indiana Tabu, che impersona Ashima con intensa profondità morale e forte impatto emotivo. In alcuni momenti, la messa in scena di Nair resta forse troppo contagiata dal tono letterario del copione, risultando eccessivamente flemmatica. Ma si tratta di lievi difetti, che mai intaccano il profondo ritratto familiare presentato dal film. Un ritratto che esalta il meglio delle tradizioni indiane, specialmente per quanto riguarda il mutuo rispetto tra genitori e figli, l’educazione nella responsabilità e la religiosità. Al contempo, si mette il dito nelle varie piaghe del materialismo occidentale, presentato come pericolosamente individualista ed edonista, frivolo rispetto al sesso e all’amore, consumista fino all’abbuffata, miscredente, cinico, disincantato.

Ne viene fuori un’ispirata riflessione sull’integrazione pacifica, che arricchisce le culture, e sui traumi subiti da molti uomini e donne attuali. Film diretto e interpretato con vigore, conta anche su una splendida colonna sonora di Nitin Sawhney, con diverse canzoni indiane molto belle. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: X, D (ACEPRENSA)

Io e Beethoven

23/6/2007. Regista: Agnieszka Holland. Sceneggiatura: Stephen J. Rivele e Christopher Wilkinson. Interpreti: Ed Harris, Diane Krüger, Nicholas Jones, Joe Anderson, Matthew Goode. 104 min. USA, Germania, Ungaria. 2006. Giovani. (SD)

Alle volte, il mancato riconoscimento di un premio è assai rilevante. È il caso dell’ingiusta esclusione di Io e Beethoven del palmarès ufficiale del Festival di San Sebastian 2006. In questo film, la veterana regista polacca Agnieszka Holland ha dimenticato gli spessori e le ambiguità dimostrati in film come Europa, Europa, e Olivier, Olivier, riprendendo la calda umanità di Il giardino segreto, per ottenere il miglior film della carriera.

Holland ricrea il rapporto professionale, per niente carnale, che mantengono a Vienna il violento, rude, geniale e profondamente cristiano Ludwig van Beethoven -già al declino della propria vita- e l’immaginaria aspirante compositrice Anna Holtz, una bella giovane di 23 anni che trascrive la versione finale della Nona Sinfonia del Maestro, aiutandolo a dirigerne la prima.

Ne risulta uno splendido lavoro della Holland: di fattura molto classica e, al contempo, molto moderno; soprattutto, in riferimento alla pianificazione e al montaggio, esibiti in una vistosa struttura musicale. Superba, anche la fotografia di Ashley Rowe, valida in ogni momento. Magnifiche le interpretazioni del sempre brillante Ed Harris, e anche della giovane attrice Diane Krüger, protagonista di Troy, che recita benissimo anche nella davvero complessa fase di redazione della prima della Nona. Perfetta, naturalmente, la musica di Beethoven, che irrompe in tutto il film.

Il copione di Stephen J. Rivele e Christopher Wilkinson è agile, di gran profondità drammatica, coinvolgente, divertente e commovente nelle sue preziose riflessioni sulla creazione artistica. Una creazione presentata come riflesso della creazione divina; intravista dall’artista –il musicista in questo caso- d’accordo alla sua condizione di eletto che, malgrado i suoi limiti -come la sordità-, è capace di leggere sulle labbra di Dio, trasmettendo in musica ciò che vi trova al resto dell’umanità. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA

Pubblico: Giovani. Contenuti: S, D (ACEPRENSA)

Il destino di un guerriero (Alatriste)

23/06/07. Regista: Agustín Díaz Yanes. Sceneggiatura: Agustín Díaz Yanes. Interpreti: Viggo Mortensen, Elena Anaya, Eduard Fernández, Ariana Gil, Unax Ugalde. 147 min. Spagna. 2006. Adulti (VXS)

Questa ambiziosa megaproduzione spagnola adatta i cinque romanzi di Arturo Pérez-Reverte sulle avventure del capitano Alatriste, veterano dei Tercios delle Fiandre, che passa ogni tipo di avventura nella Spagna del XVII sec. Di fatto, viene coinvolto come soldato di fortuna nelle manovre tra il Conte-Duca di Olivares e l’Inquisizione. Mentre alleva il suo figlioccio, s’innamora di una famosa attrice e sopravvive ai diversi agguati di un killer siciliano che, come lui, risulta altrettanto temerario e amareggiato.

Il film risulta di eccessiva durata, appesantito dal carattere episodico della trama. Il madrileno Agustín Díaz Yanes (Nessuna notizia di Dio) maschera questi difetti minori grazie ad una rigorosa direzione di attori e ad una brillante messa in scena iperrealista, d’intensa pianificazione, dove ben spende il generoso budget del film tanto nelle scene intimiste, come nelle potenti battaglie e duelli all’arma bianca. In tal senso, bisogna lodare l’eccellente lavoro del direttore artistico Benjamín Fernández, del direttore di fotografia Paco Femenia, nonché del compositore Roque Baños, autore di una sensazionale colonna sonora.

Altra pecca del film è causata dall’eccessiva fedeltà ai romanzi originali, nati come tributo ad Alessandro Dumas e -come tali- destinati ad un pubblico giovanile. In questo modo, i personaggi risultano troppo romanzeschi e schematici. Pérez-Reverte li ritrae con un profondo pessimismo esistenziale, cinico e un po’ canaglia, più idoneo all’attuale agnosticismo che alla Spagna del Secolo D’Oro. Si deforma così il ritratto dell’epoca, trascurando la religiosità cattolica dei personaggi, che in qualche modo li avrebbe influenzati. Così che detta religiosità viene riservata in modo esclusivo all’Inquisizione, tratteggiata in modo caricaturale e manicheo: proprio da leggenda nera.

È un peccato questa prospettiva riduttiva, che svaluta il nobile desiderio di Pérez-Reverte di rivendicare senza complessi la storia di Spagna, con le sue miserie, ma anche con molte grandezze. Inoltre, tale difetto limita molto le possibilità di un film potente, divertente e colto, che -pur con le sue carenze-, offre una boccata d’ossigeno, tra tanti melodrammi esistenziali senza senso e tanta commedia futile. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, X, S (ACEPRENSA)

Il mio miglior amico


23/06/07. Regista: Patrice Leconte. Sceneggiatura: Jérôme Tonnerre, Patrice Leconte. Interpreti: Daniel Auteuil, Dany Boon, Julie Gayet, Julie Durand. 94 min. Francia. 2006. Giovani-adulti.

Prossimo ai 60 ed a 30 anni dal primo film, il parigino Patrice Leconte (La ragazza sul ponte, L’uomo del treno) dirige una commedia leggera, gradevole e pulita: ingredienti insoliti, se andiamo a rivedere la precedente carriera.

François è un mercante d’arte. Egoista e prepotente, accetta una curiosa scommessa: in una settimana dovrà dimostrare di avere almeno un vero amico. Il premio è un’antica anfora greca, cui tiene molto. Ciò che il protagonista considera una prova facile si trasformerà in una fatica titanica, perché l’amicizia né si compra, né si ottiene in un istante. L’apparizione casuale di un tassista estroverso e saputello… fa da spartiacque.

Buoni dialoghi, grandi attori, diverse situazioni molto ben inserite in un tono amabile, ironico e critico, ma non acido. Tutto ciò è presente in un film dall’aria un po’scanzonata. Leconte non ha comunque saputo resistere al luogo comune che talora sembra diventato un dogma: l’inserimento di un omosessuale, a far da voce della coscienza del protagonista, da amabile consigliere, modello di equilibrio e maturità. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: ---- (ACEPRENSA)

Pirati dei Caraibi: ai confini del mondo


2/6/2007. Regista: Gore Verbinski. Sceneggiatura: Ted Elliott, Terry Rossio. Interpreti: Johnny Depp, Orlando Bloom, Keira Knightley, Geoffrey Rush, Chow Yun Fat. 168 min. USA. 2007. Giovani.

Neanche una parola sulla trama del film. In primo luogo, perchè è irrilevante; in secondo luogo, perché con tanti tradimenti pirati, non è facile star dietro alla trama; in terzo luogo e a maggior ragione: perché dare indizi sul quesito principale, ovvero se i due protagonisti finiranno per sposarsi? Ma tra loro o con chi altri?

Il successo dei primi Pirati portò il tandem Verbinski-Burcheimer a prolungare il trionfo, fino a confezionare una trilogia di episodi. Se ben riuscito è apparso il secondo episodio, non si può dire altrettanto di questo terzo, che non naufraga del tutto solo per un finale davvero riuscito, con cui attenua la noia che opprime lo spettatore per le prime due ore di spettacolo.

L’inizio del film è farraginoso: si direbbe incapace di decollare. Nella prima parte sembra quasi ricondurre l’origine di Pirati dei Carabi ad un’attrazione da luna park e, di fatto, lo spettatore ha la sensazione di passare dalla “casa degli orrori”, alle “montagne russe”, alle barchette oscillanti nel vuoto. Tutto molto spettacolare -come la nave che precipita nella turbinosa cascata- ma anche molto artificioso.

Dopo quaranta minuti di simili attrazioni da baraccone, appare finalmente il pirata Jack Sparrow, in una lunghissima e poco divertente sequenza. Succedono poi troppe cose -e monotone- sino al finale, dove fortunatamente il film raccoglie il meglio delle due puntate precedenti: azione, humour (assente per quasi tutto questo terzo episodio), lotte con belle coreografie e un montaggio agile.

Anche l’interpretazione conferma la scarsa densità della storia: se nella seconda puntata Johnny Depp bucava lo schermo (né Orlando Bloom, né Keira Knightley riuscivano a tenergli testa), facendo quel che voleva, adesso invece si deve confrontare con un sensazionale Geoffrey Rush. Certo, con una trama diversa, ne sarebbe venuto fuori un gran bel confronto interpretativo. Ana Sànchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: -- (ACEPRENSA)

La città proibita

2/6/2007. Regista: Zhang Yimou. Sceneggiatura: Zhang Yimou. Interpreti: Gong Li, Chow Yun-Fat, Jay Chou, Liu Ye, Ni Dahong. 114 min. Hong Kong-Cina. 2007. Giovani-adulti. (VS)

Questo adattamento di un’opera teatrale di Cao Yu narra le lotte intestine della dinastia Tang intorno al 1000, con personaggi spinti dal desiderio di potere, se non da passioni più elementari. In prossimità della festa del doppio Yang, Fenix, moglie dell’imperatore Ping, coltiva il suo amore incestuoso per un figliastro: l’erede Wan. L’imperatore -da parte sua- ha preso le distanze dalla consorte, fino a ordire un piano per avvelenarla lentamente. Il secondo figlio del l’imperatore, Jai, molto unito alla madre, risulterà facilmente manipolabile. E c’è anche Yu, il terzo figlio, un po’ ingenuo, anche se con ambizioni e veemenza giovanili. La trama contiene altri elementi che complicano tutto, fino a propinarci una specie di polpettone (tanto per non infierire): un’amante di Wan più giovane, la madre di questa donna…

Il film è fastoso. I costumi, la scenografia scintillante, il predominio di colori dorati contribuisce ad un tono di sfarzo, ma solo come debole pretesto per esibire una sensualità insistita. Anche se Yimou colloca il suo lavoro nella tradizione delle wuxia (il modo proprio di girare film sulle arti marziali, in cui già si era già cimentato in Hero e La foresta dei pugnali volanti, con scene di lotte e combattimenti molto cariche di effetti visivi), in questa trama dedica più attenzione ai personaggi ed ai loro burrascosi rapporti. C’è un desiderio di conferire risonanze universali ai fatti raccontati -il motivo orientale del cielo e della terra-, sullo stile delle tragedie shakesperiane. Anche se il paragone è decisamente imbarazzante. Il cast lavora molto bene, con un Chow Yun-Fat molto sobrio, che sembra cullare il motto “la vendetta è un piatto da servirsi freddo”, e una Gong Li, ripresentatasi come musa di Yimou, che recita alla grande nella parte della donna intrigante. Josè Maria Arestè. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: V, S (ACEPRENSA)

Le verità negate

2/6/2007. Regista: Ann Turner. Sceneggiatura: Ann Turner. Interpreti: Susan Sarandon, Sam Neill, Emily Blunt, Bud Tingwell, William Mcinnes, Georgie Parker. 103 minuti. Australia. 2006. Adulti. (VXD)

Una delle carenze emerse da Le verità negate è che una breve sintesi è sufficiente a narrare più di tre quarti del film. Lo spettatore che vada a vederlo -non svelo niente, lo dice la pubblicità- saprà che il personaggio che interpreta Susan Sarandon è quello di una brillante illustratrice in ore basse, convintasi che una collega di lavoro del marito stia ostinandosi a rovinarle matrimonio, carriera e famiglia.

L’australiana Ann Turner esordisce con un thriller sulla scorta di The forgotten o Flightplan - Mistero in volo. Conservando le proprie sfumature -questi film danno infatti luogo a prodotti differenti non soltanto per qualità, ma anche per genere-, il punto di partenza resta sempre lo stesso: una protagonista (almeno quasi sempre è donna) viene traumatizzata dagli eventi anomali che si succedono, mentre il resto dei personaggi -ivi lo spettatore- si domanda se ciò che sta vedendo sia reale o frutto di una mente malata. Normalmente, il dilemma si risolve presto e la pellicola prosegue trasformandosi in film dell’orrore, di azione, di fantascienza, ecc. Per organizzare spettacoli come questo, si bara un po’ col copione, cercando di stabilire un tacito patto con lo spettatore, del tipo: “è vero, ti sto prendendo in giro; ma tu fa’ finta di niente. Va là, che in fondo, ti stai divertendo”.

Nel film Le verità negate, il dilemma sulla pazzia o no della protagonista si prolunga di fatto fino alla fine. Ma per mantener la tensione -comunque artificiosa- non soltanto il copione viene stravolto (l’idea di proporre un doppio finale appare assurda), ma si snaturano anche la macchina da presa, la scenografia e perfino gli attori (al povero Sam Neill, che deve unire la parte del marito abnegato a quella di cinico libertino, tocca la parte peggiore). Soltanto il lavoro faticoso del solido cast salva questo sottoprodotto: quasi un telefilm da primo pomeriggio. Ana Sànchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, X, D (ACEPRENSA)