Wallace&Gromit.La maledizione del coniglio mannaro

25/3/2006. Registi: Nick Park, Steve Box. Sceneggiatura: Steve Box, Nick Park, Bob Baker, Mark Burton. Cartoni animati. 94 min. GB. 2005. Tutti.

In questo prodotto cinematografico, Oscar 2006 al miglior film di cartoni animati, Wallace -distratto inventore inglese, che ha la passione per il formaggio- e il suo muto e fedele cane Gromit fronteggiano nel proprio paese un’infestazione di conigli, che mette in pericolo il popolare Concorso Annuale dell’Ortaggio Gigante. Per bloccarla, sviluppano un sistema di caccia molto umano e pacifico, che li porrà tuttavia in conflitto con un arrogante e violento aristocratico. Questi, inoltre, corteggia Lady Tottington, organizzatrice dell’evento, della quale è innamorato Wallace. Le cose si complicano con l’avvistamento, nei paraggi, di un temibile coniglio mannaro.

Come in tutte le produzioni dello studio britannico Aardman Animations (Creature comforts, The wrong trousers, Galline in fuga), il copione è agilissimo e pieno di trovate umoristiche, attraverso cui si moltiplicano i riferimenti a diversi artefici del cinema, sopratutto di film dell’orrore. Risultano azzeccate anche le esilaranti critiche sociali, dotate di uno sguardo amabile e lucido sull’essere umano e sul mondo attuale. Comunque, questa volta il copione non raggiunge la vibrazione emotiva, né la profondità drammatica di Galline in fuga. Per di più, c’è un abuso di gag a doppio senso, come è tipico delle produzione animate di DreamWorks.

In ogni caso, questi piccoli difetti non inficiano il risultato finale di un film molto divertente, definito da un’animazione sensazionale, molto espressiva nella gestualità dei personaggi; e con un’ambientazione, una pianificazione e una illuminazione da antologia. Pertanto, resta un film di alto profilo, che conferma la Aardman nel ruolo di principale concorrente della Pixar, nell’ambito dell’animazione. Almeno in quanto a creatività e perfezione tecnica. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Tutti Contenuti: -. Qualità tecnica **** (Mundo Cristiano)

Le tre sepulture

25/3/2006. Regista: Tommy Lee Jones. Sceneggiatura: Guillermo Arriaga. Interpreti: Tommy Lee Jones, Barry Pepper, Julio Cedillo, Dwight Yoakam, January Jones. 121 min. USA. 2005. Adulti. (XVD)

L’attore Tommy Lee Jones esordisce alla regia -ritagliandosi un ruolo da protagonista- con un copione di Guillermo Arriaga –Amores perros, 21 grammi-Il peso dell’anima- che presenta questa struttura frammentata, sia in senso spaziale che temporale, cui è tanto incline, che stimola l’interesse dello spettatore. Il film inizia con il ritrovamento del cadavere, crivellato di pallottole, di Melquiades Estrada, un immigrato clandestino messicano, che lavorava con Pete Perkins in un ranch. La descrizione dei modesti sforzi delle autorità locali per risolvere il caso si alternano a quadri della vita di Mike Norton, poliziotto di frontiera, che ha appena assunto il suo incarico. Quando Pete risolve per conto suo il caso, si prende un inconsueto incarico con tanto di macabro dettaglio: obbligare l’assassino a portare, con sé, il cadavere di Melquiades, perché riposi in pace in terra messicana. Un autentico “ritorno in patria dell’eroe” con possibilità di redenzione dell’omicida.

Sorprende il piglio narrativo dell’esordiente Jones, che ottiene di realizzare con efficacia ciò che desidera comunicare, ottenendo un buon lavoro, dal suo cast, e integrandovi -in modo eccellente- il messaggio del racconto. Il suo tallone di Achille è il ridotto orizzonte esistenziale dei personaggi, che non riesce a prendere quota. Si può accettare che Mike Norton sia un perfetto selvaggio, che tratta con mano pesante i clandestini illegali e da soprammobile perfino la moglie. Ma Pete non riesce a risultare il personaggio voluto, “più grande della sua stessa storia”, che farà tutto il necessario per portare a compimento l’ultima volontà dell’amico morto: i suoi limiti restano evidenti, specie nelle orgie, che riveste di posticcio cameratismo maschile. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: X, V, D (ACEPRENSA)

Transamerica

25/3/2006. Regista: Duncan Tucker. Sceneggiatura: Duncan Tucker. Interpreti: Felicity Huffman, Kevin Zegers, Fionnula Flanagan, Elizabeth Peña, Graham Greene. 103 min. USA. 2005. Adulti. (XD)

Bree, prima Stanley, per motivi psicopatologici è pronto a sottoporsi all’intervento con cui spera di trasformarsi in donna: un transessuale. Prima di ottenere il permesso, per cambio di sesso, scopre di avere un figlio, Toby, ragazzo pieno di problemi, che si dibatte tra droga e prostituzione.

Duncan Tucker firma un’opera cinematografica interessante e ben girata, affrontando un tema complesso, con un’impostazione cosí aperta, da consentire una grande varietà di letture. Il giovane regista si mostra abile, nel non polarizzare il copione sull’ambiguità sessuale di Bree -stupendamente rappresentato da Felicity Huffman, vincitrice di un Golden Globe per la recitazione- ma sul rapporto tra padre e figlio. È pure riuscito, anche se un po’ falsato, il modo di mettere a fuoco i problemi psicosessuali, nel film. Nel caso di Bree, infatti, l’argomento del sesso viene ridotto ad aspetti fisici e psicologici, quasi fosse -più o meno- un problema esteriore, che si può risolvere con alcuni progressi tecnici della medicina. Tucker non entra in questioni più ardue, anche se c’è qualche scena -come l’incontro degli amici/amiche di Bree- dove s’intuisce che la galassia dei transessuali non è proprio un paradiso.

La parte più sordida tocca al personaggio di Toby, un giovane che, per drammatiche circostanze, tra l’altro la mancanza di un padre, sa relazionarsi agli altri solo attraverso il sesso: è un uomo oggetto. Tanto Bree, come Toby, sono personaggi profondamente infelici: soffrono e fanno soffrire. Tutti e due hanno bisogno di mettere a posto un elemento qualificante della loro vita, un tassello che è unito alla natura, alla realtà delle cose, idoneo a combaciare con altri tasselli importanti che si chiamano: responsabilità, amore, generosità. Si tratta, dunque, di un elemento fondamentale, la cui precisa collocazione non dipende da un semplice intervento chirurgico.

Duncan Tucker dimostra ancora una certa dose di furba ambiguità -imbrogliando di nuovo- nel lasciare inconcluso il film, non svelando le conseguenze dell’intervento. C’è un momento eloquente, nel quale Bree confessa. “Non posso essere la madre di Toby”. Ma se si trasforma in donna, sarà un padre con corpo di madre?

Ci sarà certo qualcuno che, profittando dal tono comico di alcune scene –specialmente quelle che fanno vedere lo sconcerto causato nella famiglia di Bree- si rivelerà pronto a trasformare Transamerica in un semplicistico inno a favore della transessualità. Non credo che il proposito di Tucker sia stato quello di girare un film dal messaggio ideologico impegnato, ma l’ambiguità con cui tratta alcuni conflitti agevola il compito di chi è già pronto a strumentalizzare, in tal senso, questa pellicola. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: X, D (ACEPRENSA)

La vita secreta delle parole

25/3/2006. Regista: Isabel Coixet. Sceneggiatura: Isabel Coixet. Interpreti: Sarah Polley, Tim Robbins, Javier Cámara, Julie Christie, Eddie Marsan, Steven Mackintosch, Daniel Mays, Dean Lennox Kelly. 122 min. Spagna. 2005. Adulti. (D).

“Un punto isolato in mezzo al mare. Una piattaforma petrolifera davanti alla costa dell’Irlanda del Nord, dove lavorano solo uomini, su cui c'è stato un incidente. Una donna solitaria, misteriosa, che sta cercando di dimenticare il suo passato, viene portata sulla piattaforma per curare un uomo, rimasto temporaneamente cieco. Fra loro si sviluppa una strana intimità, un legame ricco di segreti, verità, bugie, umorismo e dolore. Un legame che cambierà per sempre le loro vite. Un film dedicato al peso del passato. Sul silenzio improvviso che precede un temporale. Su venticinque milioni di onde. Soprattutto un film sull’incredibile forza dell’amore, anche nelle più terribili circostanze”.

Così, Isabel Coixet sintetizza un film bello e letterario, che ricorre alla trama di Biancaneve e i sette nani, per raccontare una storia triste di personaggio ermetico. L’infermiera Hannah andrà forzando molte barriere, per ricuperare la fiducia in un mondo dove vive gente che l’ha persa, ma che -se torna indietro- è solo per passarci definitivamente sopra, per ultimare l’opera. La regista catalana, laureata in Storia dell’Arte, nonché prestigiosa professionista del mondo pubblicitario, insiste nel suo cinema romantico, selezionato, di curata scenografia, con magnifici interpreti e conflitti dalla trama molto sottile.

Come abituale nei film di Coixet, i dialoghi sono brillanti perché vengono preceduti da certi silenzi che riempiono di maggior valore e spessore le parole. Coixet mette in fuga la banalità loquace, che caratterizza buona parte del cinema europeo, con la sua scelta a favore di un discorso intensamente coinvolgente (la colonna sonora ne fornisce un rilevante ausilio), intelligente e pieno di sensibilità -anche se certamente crudo, in qualche scena-.

Il personaggio protagonista (una straordinaria Sarah Polley, protagonista anche di La mia vita senza me (precedente film di Coixet), è così attraente, ricco, interessante, che lo spettatore non si stanca di osservarla. Con i suoi difetti (la spaventosa voce in off, un ricorso eccessivo alla dissolvenza, in un montaggio meno brillante che nei precedenti film, qualche tic da preziosismo pubblicitario, l’irrilevanza dei personaggi secondari, alle volte perfino caricaturali -come nel rapporto omosessuale tra due operai-), questo film conferma che nessuno -in Spagna- è capace di raccontare una storia con la delicatezza della regista di Le cose che non ti ho mai detto. Si conferma anche che Coixet è abbastanza orientata. Infatti, è la stessa società produttrice di Almodóvar a sostenere questo film da 5 milioni di euro. L’attore Tim Robbins -magistrale la sua recitazione- ha manifestato ammirazione per la Coixet, in un modo intelligente, che condividiamo in pieno: “Ammiro Isabel per essere stata così coraggiosa, da dare un finale positivo ad una storia tanto cupa”. Alberto Fijo. ACEPRENSA.


Pubblico: Adulti. Contenuti: D. Qualità tecnica **** (Mundo Cristiano)

Syriana

11/3/2006. Regista: Stephen Gaghan. Sceneggiatura: Stephen Gaghan. Interpreti: Matt Damon, George Clooney, Amanda Peet, Chis Cooper, Jeffrey Right. 140 min. USA. 2005. Giovani-adulti. (VS)

Un agente della CIA, un assessore finanziario, sceicchi arabi, proprietari di compagnie petrolifere nordamericane, un avvocato esperto in fusioni societarie, un operaio pachistano. Pezzi nella scacchiera di una partita colorata di nero, il colore del greggio; ovvvero, l’energia che muove il mondo, fino a quando non si trovi un’alternativa praticabile.

La compagnia petrolifera texana Connex ha perso il contratto per l’esportazione di greggio in Cina; il gigante asiatico ha firmato un accordo con un emirato arabo. I figli dell’anziano emiro optano per la successione: il più anziano ambisce a modernizzare il paese, il più giovane è un playboy corrotto. Quest’ultimo appare candidato assai più appetibile per gli interessi delle compagnie texane. La Killen, altra società petrolifera, ha firmato un accordo per perforare in Kazakistan, e sta importando da quel paese petrolio da raffinare, anche se, secondo gli investigatori del Congresso nordamericano, i territori dove lavorano non risultano dotati di giacimenti petroliferi. Connex e Killen annunciano la loro fusione, ma hanno bisogno del via libera del Dipartimento di Giustizia, che ha inviato i suoi migliori uomini a indagare sulle due società.

Lo sceneggiatore di Traffic scrive e dirige un film di enorme interesse, basato sul libro See No Evil, scritto da Robert Baer, ex agente della CIA. Gaghan, quarantenne, riesce a contagiare l’ebbrezza della cosiddetta ingegnieria finanziaria, capace di cambiare governi, di riciclare come alleati quelli che ieri erano i nemici, e viceversa, di spremere la gente per disfarsene subito dopo l’uso. Nel capitolo interpretazioni, brillano Matt Damon e George Clooney, che ha vinto l’Oscar al miglior attore non protagonista. Le trame che s’intersecano sono tutte appassionanti, in un film volutamente frammentato, che fornisce tutti i dettagli necessari a identificare i personaggi con le marionette da teatrino del peggior capitalismo. Alberto Fijo. ACEPRENSA

Pubblico: Giovani-Adulti. Contenuti: V, S (ACEPRENSA)

Walk the line

11/3/2006. Regista: James Mangold. Sceneggiatura: James Mangold, Gill Dennis. Interpreti: Joaquin Phoenix, Reese Witherspoon, Robert Patrick, Ginnifer Goodwin. 136 min. USA. 2005. Giovani-adulti (S)

Sesto film del newyorkese James Mangold (Ragazze interrotte, Cop Land, Kate&Leopold, Identità). Questo emotivo biopic sul cantante country Johnny Cash ha incassato quasi 100 milioni di dollari negli Stati Uniti. Un ottimo profitto, se si considera che il preventivo non superava quota 30 milioni.

Il film, decisamente commerciale, ha gli ingredienti per piacere al grande pubblico affezionato alle storie di superazione personale, secondo i canoni convenzionali di Hollywood: la complessa personalità di Cash (debole e timido da una parte; forte, appassionato e impulsivo, dall’altra); una musica accattivante ed emotiva, con forza e ritmo, una tormentata storia d’amore come asse della narrazione.

Cash (1932-2003) è stato un artista di grande personalità, un pioniere dal punto di vista stilistico, nonché un punto di riferimento per i successivi talenti del folk rock, del country, del punk e anche del rap. Nelle due ore e passa del film (forse eccessive, anche se godibili), gli sceneggiatori confezionano un ritratto in stile impressionista di alcuni periodi della vita di Cash: dalla triste infanzia fino al successo e alla celebrità.

La struttura del copione di Walk the line (il titolo originale è quello di una canzone scritta da June Carter) ha molte somiglianze con un altro e premiato biopic: Ray. In ambedue i film, c’e una discesa all’inferno e una rinascita, con tanto di infanzia difficile. Tuttavia, si nota come il copione implichi, a volte, salti temporali troppo bruschi, trascurando l’evoluzione dei personaggi.

La musica, senza dubbio, è la grande protagonista. E si ascolta, con grande piacere, anche grazie alle eccellenti interpretazioni di Phoenix e Witherspoon, che ha vinto l’Oscar alla migliore attrice. Il responsabile musicale del film è lo specialista in musica etnica T. Bone Burnett (0h brother!), che fa un lavoro impeccabile, con diversi momenti pieni d’intensità, tra i quali eccelle la versione di Ring of fire.

L’altro tema ricorrente del film è la storia d’amore tra Cash e la cantante e compositrice June Carter. Grazie a June, Cash torna alla pratica religiosa, riuscendo a superare la sua dipendenza dalla droga, per risorgere di nuovo come musicista di fama e prestigio.

Nel 1954, prima d’iniziare la sua carriera musicale, Cash si era sposato con Vivian Liberto. Senza voler giudicare vicende altrui, non si capisce il desiderio del copione di manipolare emozionalmente lo spettatore: Vivian compare con un carattere poco comprensivo e antipatico, quando tutto sembra confermare che è stata piuttosto la dipendenza dalla droga, di Cash, la vera causa del divorzio, determinatosi nel 1966. Sofía López. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: S (ACEPRENSA)

The constant gardener

11/3/2006. Regista: Fernando Meirelles. Sceneggiatura: Jeffrey Caine. Interpreti: Ralph Fiennes, Rachel Weisz, Danny Huston, Hubert Koundé, Pete Postlethwaite, Bill Nighy. 128 min. GB-Germania. 2005. Adulti. (VXD)

Benché realizzate da registi di prestigio, gli adattamenti filmici dei libri di John Le Carré non passeranno alla storia del cinema. Forse, il tentativo più efficace è proprio questa versione di Il giardiniere tenace, diretta dal brasiliano Fernando Meirelles, che tre anni fa ha avuto successo con City of God.

L’azione, che si sviluppa in Kenia, descrive il dramma di Justin Quale, diplomatico britannico, timido e dedito alla floricoltura, che vive felice con sua moglie Tessa. Quest’ultima è invece un’agguerrita attivista che si batte per i diritti umani e che sta indagando sul crudele sfruttamento dei keniani più poveri da parte di una società farmaceutica. Un giorno, Tessa è brutalmente uccisa nel nord del paese. E mentre ricorda la vita di coppia trascorsa insieme, Justin indaga a sua volta sulla morte violenta della moglie, mettendo in allarme potenti forze politiche ed economiche.

Meirelles realizza un indovinato equilibrio tra denuncia politica e sociale, da un parte, e un melodramma di alta emotività, dall’altra, che supera l’eccessiva caricaturalità dei personaggi negativi, grazie all’autenticità dei protagonisti; una autenticità che ha molto a che vedere con le raffinate interpretazioni di Ralph Fiennes e Rachel Weisz (premio Oscar alla migliore attrice non protagonista). Si può recriminare solo sull’esplicita e reiterativa esibizione dei rapporti sessuali tra i coniugi, che serve solo ad allungare la durata del film.

La coinvolgente regia, quasi di tipo documentaristico, ha abbondanti sequenze girate con la cinepresa a spalla, sempre molto vicina all’azione, anche se questo può finire per essere un po’ stancante. Come in City of God, la risoluzione visiva è molto curata, con un dipanarsi della trama sempre inquietante, cui si aggiunge una sensazionale fotografia di Cesar Charlone, piena di contrasti cromatici. La colonna sonora dello spagnolo Alberto Iglesias sostiene bene il trascolorare dall’intrigo al melodramma, con una moderna fusione di stili e sottofondo di ritmi africani. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, X, D (ACEPRENSA)

The New World

11/3/2006. Regista: Terrence Malick. Sceneggiatura: Terrence Malick. Interpreti: Colin Farrell, Q'Orianka Kilcher, Christian Bale, Christopher Plummer, August Schellenberg. 135 min. USA. 2005. Giovani. (V)

È un tentativo originale di rappresentare l’esplorazione del nuovo mondo da parte degli inglesi. Il film inizia nel 1607, quando tre navi avvistano terra, dopo una lunga navigazione atlantica. Alla base, c’è il desiderio di prosperità, la promessa -che nessuno garantisce- di diventare ricchi nei luoghi appena scoperti. Ma la creazione dell’insediamento costiero di Jamestown si fa difficile; e a ciò si aggiunge la paura dell’esito che potranno assumere le relazioni con gli indigeni. Perciò affidano l’operazione di sondare le loro intenzioni al capitano John Smith che scampa, in questo modo (giudicato più utile alla causa), alla forca per insubordinazione. Quando penetra all’interno con i suoi uomini, la colonna è annientata ed il capitano resta l’unico superstite. Contro ogni previsione, viene accolto in un villaggio dove impara ad apprezzare le usanze degli indiani e, al contempo, s’innamora della giovane figlia del capo powhatan, la bella e intelligente Pocahontas. Il patto tradito dagli uomini della spedizione, di tornarsene con loro in Inghilterra, e l’aiuto prestato a Smith da Pocahontas comporteranno conseguenze imprevedibili.

Oserei dire che questo film deve confrontarsi con il film a cartoni animati della Disney, intitolato proprio Pocahontas, e con il triste precedente di Colin Farrell, cimentatosi in un film storico (!) –il trascurabile Alessandro Magno-, nonché con ciò che, a prima vista, sembrerebbe un film analogo: La laguna blu. Ma lasciamo da parte i pregiudizi. Terrence Malik tira fuori la sua anima di poeta, ricreando la storia in un modo piano, con straordinaria delicatezza, senza cadere in estremismi indesiderabili. È sufficiente la bellezza dell’inquadratura, in cui gli indiani ammirano le navi appena arrivate, che avrà il suo eco successivo in Inghilterra, quando Pocahontas scopre una cattedrale, parlano della bellezza delle terre vergini, contrapposte al progresso della civiltà. Certamente la vita degli indiani ha qualcosa di edenico, come di tranquilla vita riuscita, ma il loro modo di tirare avanti non è poi molto diverso da quello degli abitanti della campagna inglese. Sul contrasto tra indigeni ed esploratori, emergono logiche differenti prospettive tra chi va in cerca di miglioramenti esistenziali, trovando molte difficoltà, e chi si accontenta di ciò che ha. Il conflitto è equiparabile alla crudeltà della battaglia tra i due gruppi.

Malik riesce poi ad indovinare il passaggio tra la storia di amore e la transizione graduale, di Pocahontas, alle consuetudini occidentali. Un Farrell contenuto, una sorprendente Q’Orianka Kilcher, quindicenne quando il film è stato girato, e un tranquillo Christian Bale, costituiscono i tre lati di un triangolo atipico, dove ben si comprende il trasformarsi dell’entusiasmo di una adolescente nella sofferenza d’amore per lo sposo e il figlio, la capacità di abbandonare ciò che è noto, per soddisfare i desideri dell’esploratore, o l’amore riscoperto dal mite vedovo. José María Aresté. ACEPRENSA.


Pubblico: Giovani. Contenuti: V (ACEPRENSA)

Truman Capote

4/3/2006. Regista: Bennett Miller. Sceneggiatura: Dan Futterman, dal libro di Gerald Clarke. Interpreti: Philip Seymour Hoffman, Catherine Keener, Clifton Collins, Chris Cooper, Bruce Greenwood. 114 min. Canada-USA. 2005. Giovani-adulti. (V)

Cosa condividono Truman Capote e I segreti di Brokeback Mountain? Il fatto che i protagonisti, sono in entrambi i casi degli invertiti. In cosa si differenziano? Truman Capote, per lo meno, è un film onesto e senza tesi precostituite, da cui emerge un notevole impegno nell’approfondire la figura di un grande scrittore. E ciò, a partire dalla decisiva influenza che l’efferato assassinio della famiglia Clutter, nella America rurale di fine anni ’50, ha svolto nella sua vita. Quello che iniziò come semplice servizio giornalistico, lieviterà fino a generare non soltanto A sangue freddo, il capolavoro di Capote, paradigma del romanzo di non fiction, ma anche un serrato confronto interiore con sé stesso, da parte dell’autore.

Il quasi esordiente Bennet Miller e lo sceneggiatore Dan Futterman inquadrano la figura di Capote con sobrietà, senza compiacimenti. Le interviste effettuate, per raccogliere la documentazione necessaria a scrivere il libro, permettono da un parte lo sviluppo di elementi biografici: l’infanzia triste, il successo in società, i pregiudizi nei suoi confronti, i flirt con Hollywood…; e dall’altra, sottolineano il marcato narcisismo dello scrittore: l’assassino Perry Smith lo interessa per il riconoscimento di un passato analogo a quello dell’autore, che lo spinge ad interrogarsi su cosa li ha resi poi così diversi, nella vita.

Questo innamorarsi di sé stesso -l’amore davvero importante dello scrittore, che rende secondari quello rivolto ai suoi partners, o l’amicizia con Harper Lee- orienta le sue azioni. Ciò lo induce a profittare, quasi in modo irriflessivo, della sua sensibilità e del suo talento, fino a manifestare una personalità manipolatrice e accattivante, capace di scoprire subito i punti deboli dell’altro. Pertanto, al momento di confrontarsi con il finale del suo libro -l’esecuzione degli assassini- è proprio il suo autore a dover sostenere uno sforzo supremo, per uscire dal proprio guscio. Philip Seymour Hoffman imprime una straordinaria interpretazione, evitando gli eccessi cui si presterebbe il personaggio; anzi, arricchendolo di mille sfumature. Il resto del cast sa che il film ruota tutto su di lui, ma tanto i volti famigliari come quelli degli sconosciuti (i due assassini, scelta che segue il modello di Richard Brooks nella versione filmata di A sangue freddo) collaborano in modo rilevante alla riuscita del film. José María Aresté. ACEPRENSA

Pubblico: Giovani-Adulti. Contenuti: V (ACEPRENSA)

Casanova

4/3/2006. Regista: Lasse Hallström. Sceneggiatura: Jeffrey Hatcher, Kimberly Simi. Interpreti: Heath Ledger, Sienna Miller, Jeremy Irons, Oliver Platt, Lena Olin. 108 min. USA. 2005. Adulti. (XSD)

Casanova è mitico personaggio mitico del “Secolo dei Lumi”: spia, soldato, diplomatico, scrittore, avventuriero, ma soprattutto donnaiolo. In questa produzione Disney, con sceneggiatura dello stesso autore di quella di Stage Beauty, il giovanotto scopre il vero amore. Francesca sarà l’unica donna a non soccombere al suo corteggiamento, perché la damigella ha un concetto assai più elevato dell’amore. Il film, dotato di considerevole budget, girato a Venezia avvalendosi della bella fotografia dell'inglese Stapleton, conta anche su di un noto regista e su un cast di richiamo. In primo luogo, l’attore di moda, Heath Ledger, che peraltro non ha voluto dir nulla del film, quando è stato visto a Venezia, con l’atteggiamento di non volerne parlare, accettando solo il dialogo su altri film (I segreti di Brokeback Montain, I fratelli Grimm e l'incantevole strega). In questa teorica “commedia romantica” quasi tutti fanno flop. Il copione non provoca nemmeno un accenno di sorriso, la storia si rivela piatta e noiosa, i dialoghi banali alla nausea.
Al punto che la colonna sonora che accompagna Casanova è un’offesa per i musicisti che scomoda: autori come Albinoni, Vivaldi o Haendel. Non è mai stato facile inserire la musica classica, da sottofondo di un film, perché avendo un mondo creativo proprio, è poco compatibile con una diversa arte qual è il cinema. In Casanova, la scelta non è stata indovinata. I temi non sono congruenti con le scene, utilizzati per di più a iosa, oltre la soglia tollerabile. Assoluta, poi, la mancanza di rigore storico: si è preferito fare una scelta alla Dan Brown: esasperare la scemenza, nell’illusione che più idiota è il film, più divertente sarà. In poche parole, un'altra “perla” da attribuire a Lasse Hallstrom. Gli spettatori americano non ne hanno voluto sapere: il film non ha incassato più di 12 milioni di dollari. Sofía López. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: X, S, D (ACEPRENSA)

The Weather Man. L'uomo delle previsioni

4/3/2006. Regista: Gore Verbinski. Sceneggiatura : Steve Conrad. Interpreti: Nicolas Cage, Hope Davis, Michael Caine, Gemmenne de la Peña. 101 min. USA. 2005. Adulti. (XD)

David Spritz è il popolare personaggio dell’inserto metereologico di un canale televisivo di Chicago. Divorziato, ha due figli: Shelly, adolescente obesa di 12 anni, e il quindicenne Mike, che ha iniziato a drogarsi. Spritz è cosciente che la sua vita, fuori dall’ambito professionale, è un disastro. Inoltre, il continuo confronto con il padre, famoso scrittore, prudente ed equanime, che sta soffrendo nella fase terminale di una malattia tumorale, lo rende ancor più cosciente della propria sconfitta esistenziale.

Verbinski (La maledizione della prima luna, The Ring), ha ragione a prevedere che ci saranno spettatori che non gradiranno il film “perché è uno specchio verace, e proprio per questo c’è gente che non ama riflettersi in esso”. Il film si compone di conflitti molto verosimili alla realtà. I personaggi sfoggiano carenze assortite piuttosto evidenti, ma anche molto diffuse. Di fatto, il problema di Spritz è semplice: si è reso conto tardi di doversi rapportare alla gente che lo circonda. In fondo, il film si può leggere come una difesa dell’importanza delle cose ordinarie, apparentemente così prive di rilevanza, quasi come fermarsi a firmare un autografo.

La fotografia è splendida, il cast funziona alla perfezione. La colonna sonora? Efficace. La sceneggiatura risulta un po’ sconnessa, con reiterati transfert dalla commedia al dramma, alla fine eccessivi, che fanno perdere ritmo al film. Il tono greve, voluto, di alcuni dialoghi e alcune scene è fastidioso, in sé e per la sua insistenza. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: X, D (ACEPRENSA)

Jarhead

4/3/2006. Regista: Sam Mendes. Sceneggiatura: William Broyles Jr. Interpreti: Jake Gyllenhaal, Peter Sarsgaard, Jamie Foxx, Chris Cooper, Lucas Black. 123 min. USA. 2005. Adulti. (VXD)

Jarhead si basa sul racconto autobiografico di Anthony Swofford, che annovera le sue peripezie durante la Prima Guerra del Golfo (1991). Swofford è un giovane idealista, che superiori e commilitoni riportano alla realtà, prima nel campo militare, poi, nelle ardenti sabbie del Kuwait. Risalta specialmente l’influsso del taciturno compagno di militanza, nella squadra di tiratori scelti diretta -con mano ferma- da un afroamericano molto patriottico.
Questa volta Sam Mendes si dimostra più insicuro che in American Beauty o Era mio padre. Di fatto, il regista inglese abusa di citazioni esplicite, proprie dei grandi film precedenti –come M.A.S.H, Apocalypse Now, o Full Metal Jacket-, e le sviluppa attraverso una trama schematica, dominata da sgradevole rozzezza. Certamente, gli attori si sforzano di infondere un’anima ai personaggi, riuscendovi solo nella seconda metà del film, di miglior impatto visivo. Comunque, mai il film raggiunge la forza estetica o la profondità antropologica dei grandi film di guerra. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, X, D (ACEPRENSA)

Notte prima degli esami

4/3/2006. Regista: Fausto Brizzi. Sceneggiatura: Fausto Brizzi, Marco Mantani, Massimo Bruno.Interpreti: Giorgio Faletti, Cristina Capotondi, Nicolas Vaporidis, Sarah Maestri, Chiara Mastalli, Andrea De Rosa, Eros Galbiati. 100 min. Italia. 2005. Commedia. Adulti.

Roma, giugno 1989. Un gruppo di amici sa che sta per arrivare l'inevitabile: occorre prepararsi per l'esame di maturità scientifica. Luca (Nicolas Vaporidis) , cosciente di essere arrivato alla conclusione di una fase importante della propria vita, decide di togliersi un sassolino dalla scarpa e va dal professore d'italiano (il "carogna") riempiendolo di insulti. Peccato che non sia a conoscenza delle ultime novità: il professore (Giorgio Faletti) è stato nominato membro interno della commissione d'esami. Come se non bastasse conosce a una festa Claudia (Cristina Capotondi) ma non ha né un indirizzo né un numero di telefono..

La maturità, per chi l'ha vissuta, resta come qualcosa di indimenticabile, di unico. Non si tratta solo dello studio necessario, che ci costrinse a un lavoro di sintesi mai fatto in precedenza, ma perché è il simbolo forte di un passaggio da un mondo delimitato e familiare verso spazi sconfinati e sconosciuti, il passaggio da un futuro-contenitore, nel quale si possono aggiungere e togliere con grande disinvoltura i nostri sogni, a un presente che ci delimita, ci determina e ogni decisione presa, nel lavoro come nei sentimenti, non ci fa più tornare indietro. In quel momento fatidico siamo in parte noi stessi ma ancora in parte nel guscio del gruppo, ognuno con un proprio nomigniolo che ci tipizza in riferimento agli altri; siamo il prototipo di noi stessi, con certe inclinazioni, ora appena espresse, che si manifesteranno in modo più netto solo in seguito.

Tanti autori hanno cercato di ricostruire quel momento di passaggio, ognuno facendo riferimento ai propri anni: da American graffiti, (1973) di George Lucas a Racconti di giovani amori (1967) di Olmi, poi Pronto... c'è una certa Giuliana per te (1967) di Massimo Franciosa e la ricca serie di Gabriele e Silvio Muccino: Come te nessuno mai (1999), Ecco Fatto (1998) Che ne sarà di noi (2003) , ma anche La Scuola (1995) di Daniele Lucchetti senza contare i serial televisivi come l'italiano I ragazzi della terza C o l'americano American Graffity.Gli sceneggiatori Fausto Brizzi, Marco Mantani, Massimo Bruno hanno scelto l'approccio di filtrare la narrazione attraverso il ricordo: ogni passione, ogni ansia viene attutita dalla distanza e tutti i personaggi sono gradevoli perché visti con l'affetto di chi ricorda come si era quindici anni fa. Non siamo noi stessi come eravamo ma siamo quello che siamo diventati nella nostra memoria e il commento in terza persona che accompagna il film accentua questo atteggiamento. Qualche critico ha visto in Brizzi di un secondo Muccino ma in realtà la differenza è notevole: il Gabriele Muccino regista e il Silvio attore non interpongono i filtri della memoria ma ci mostrano dei protagonisti colti nel presente, vivi e passionali.
Come sono questi ragazzi del 1989 alle prese con l'esame di maturità? Luca, imbranato e sognatore, è nel pallone per via di una cotta con una ragazza che ha visto una volta a una festa; Massi è fidanzato con Simona, sua compagna di classe da lungo tempo ma finisce per accettare le avances della sorella minore di lei; Alice fa l'amica confidente di Luca ma in realtà ne è segretamente innamorata; infine Claudia si atteggia a più grande perchè ha un fidanzato che va già all'università. Siamo nel 1989, non certo negli anni '60 o '70 ed è quindi politically correct, per due ragazzi che stanno assieme, andare a letto. Peccato che questa situazione comporti i rischi di sempre: un figlio non previsto. Molto bella comunque è la scena del ginecologo che invita i due stralunati ragazzi ad aspettare con gioia il lieto evento e ...a non pensare ad altre ipotesi, altrimenti dovranno cambiare dottore.
I rapporti con i genitori, come in tutti i film del genere adolescenziale, sono conflittuali: si va dall'insofferenza (Riccardo, il ragazzo ricco e viziato) alla difficile gestione di due genitori separati come quelli di Claudia (noioso e rigido lui, frivola e superficiale lei). Il baricentro della storia poggia sul professor Martinelli ("la carogna", interpretato da Giorgio Faletti) che svolge una funzione di educatore al contrario: nostalgico della sua gioventù sessantottina e di una rivoluzione che non c'è stata, è lui che chiede a Luca di procurargli una "canna" per poter tornate ai vecchi tempi. Quando poi cercherà di consolare il suo giovane amico da una delusione d'amore, gli manifesta il suo approccio esistenzialista: "l'importante non è il motivo per cui corri ma quello che senti quando corri". La regia scorre tranquilla e la sceneggiatura non ci procura sussulti: l'estrema leggerezza del racconto ci pongono più dalle parti di un Pieraccioni e pericolosamente vicini ai film della serie " Natale a..",di cui .Brizzi ne è stato l'instancabile sceneggiatore.Franco Olearo. Per gentile concesione di FAMILYCINEMATV.

Valori/Disvalori: Uno strano educatore che predica ai ragazzi il carpe diem. Positivo atteggiamento antiabortista ma molti rapporti prematrimoniali

Si suggerisce la visione, per ragazzi non accompagnati, a partire da: Adulti: Consuetudine di rapporti prematrimoniali fra i ragazzi del liceo. La disinvolta esperienza sessuale di una minorenne. Qualche rapida scena con nudità femminili.

Giudizio tecnico: . Bravo Faletti e i giovani maturandi ma la regia ha un tocco così leggero che rischia di non lasciar traccia.