Chicken Little - Amici per le penne

21/1/2006. Regista: Mark Dindal. Sceneggiatura:Steve Bencich, Ron J. Friedman. Cartoni animati. USA. 2005. 77 min. Tutti.

Dopo il relativo fiasco di qualche anno fa, seguìto alla proiezione del Dinosauro, i veterani Studi Disney hanno dimostrato con Chicken Little di essere capaci di fornire un buon saggio di animazione in 3D, anche senza la Pixar. Ciò spiega i 40 milioni di dollari già incassati con questo film, nel solo primo weekend, dalle sale cinematografiche degli Stati Uniti.

Chicken Little è un pulcino intelligente ma scalognato, che tutti odiano in paese per il panico provocato quando, una volta, diede per certo che il cielo stesse per cadere. Chicken cerca ora di far bene le cose, per recuperare l’affetto della gente, soprattutto di papà, ex stella del baseball, un po’ stralunato da quando ha perso la moglie. Con l’aiuto degli amici Alba Papera, Pesce fuor d’acqua e Aldo Cotechino, Chicken Little cerca di sfondare nel baseball, evitando di deludere altra gente. Ma il destino gli riserva una sorpresa.

Chicken Little non vanta l’eccellente animazione, né la forza narrativa, delle produzioni Pixar. Offre comunque sequenze originali, costanti battute di humour inclini alla parodia, nonché una trepidante trama realizzata da Dindal, che già aveva dato buona prova di sé con Cats Don’t Dance e Le follie dell’imperatore. Tutto scorre in stile classico, senza fratture, stimolando una riflessione positiva relativa al rapporto genitori-figli, nonché sul valore dell’amicizia. Anche le canzoni sono molto più fresche dei temi musicali, assai scarsi, delle ultime produzioni animate Disney. Jerónimo José Martín. ACEPR.ENSA.

Pubblico: Tutti. Contenuti: - . Qualità tecnica: *** (Mundo Cristiano)

Niente da nascondere (Caché)

21/1/2006. Regista ed sceneggiatore: Michael Haneke. Interpreti: Daniel Auteuil, Juliette Binoche, Maurice Bénichou, Annie Girardot, Lester Makedonsky. 117 min. Francia. 2005. Adulti (V)

Georges presenta un programma televisivo tematico sulla letteratura, mentre sua moglie lavora in una società editrice. Hanno un figlio adolescente. Improvvisamente incominciano a ricevere nastri di video sconcertanti, che fotografano il via vai quotidiano della famiglia. Georges intuisce chi può esserne l’autore, ma la polizia non ci può far niente: ci vuole qualcosa di più simile ad un reato.

Michael Haneke, 63 anni, austriaco di origine tedesca, ha vinto il premio per il miglior regista e il premio della critica a Cannes. Caché è un film curato, dal montaggio attento e dotato di un originale modo di crear tensione. Attira l’attenzione la voluta assenza di musica, onde non alterare l’impatto delle interpretazioni sullo spettatore (Daniel Auteuil è stato uno dei vincitori del premio dell’Accademia del Cinema Europeo).

Haneke si è specializzato su un tipo di cinema duro e scomodo, conflittuale, volutamente esasperante. Ha studiato Filosofia e Psicologia, così che i suoi film ripropongono di continuo una visione tormentata dell’esistenza, senza trascendenza, né possibilità di redenzione. In alcuni (Funny Games, La pianista), la mancanza di orizzonte morale si manifesta in situazioni di perversione, tortuose, morbose, spesso troppo reiterate.

In Caché ripropone gli effetti della malvagità, interrogandosi fino a che punto sia possibile far tacere la voce della coscienza. Per riuscire in tale intento, ricorre ad una storia e ad una trama che possono diventare esasperanti per lo spettatore, sia per la lentezza parsimoniosa, sia per i molti fili sconnessi, così concepita perché è il regista stesso a volerlo. Un film pieno di domande, che costringono lo spettatore ad interrogarsi a sua volta, senza trovarvi –nel film- alcuna risposta. Come dice lo stesso Haneke: “Qualsiasi spiegazione, sul momento serve soltanto da tranquillante, ma -al contempo- altro non è, se non menzogna”. Con tali premesse, nessuno si stupisce se il cinema di Haneke sia ristretto a pochi estimatori e nemmeno riscuota i favori delle giurie di tanti altri festival europei. Sofía López. ACEPR.ENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V (ACEPRENSA)

L'enfant

21/1/2006. Registi ed sceneggiatori: Jean-Pierre e Luc Dardenne. Interpreti: Jéremie Renier, Déborah François, Jérémie Segard, Fabrizio Rogione, Olivier Gourmet. Francia-Belgio. 2004. 95 min. Giovani-adulti. (D)

La storia che raccontano i fratelli Dardenne inizia quando Sonia, una ragazza di 18 anni, ritorna al suo appartamentino dopo aver partorito e scopre che non può entrare, perché il fidanzato, Bruno, durante il suo ricovero in ospedale, lo ha affittato. Bruno, con i suoi 20 anni, non si sente padre, nè condivide l’entusiasmo di Sonia per il bimbo. Non raccoglie gli inviti della giovane di mettersi a lavorare: “queste sono cose da scemi”, ribatte. Lui è felice di vivere alla giornata, campando di furtarelli: il solo modo di sentirsi libero. Senza rendersi conto del cambiamento operato dalla maternità, nella sua fidanzata, prende una decisione che cambierà il suo mondo.

I fratelli Dardenne filmano thriller realistici, di contenuto sociale. Un paio d’anni fa, hanno vinto la Palma d’Oro a Cannes con Rosetta. Quest’anno l’hanno rivinta: stessa formula. Caratterizza L’Enfant la sua onestà, prossima al vecchio cinèma verité, al punto di pedinare con la cinepresa i suoi personaggi fino alla nausea. Tuttavia, riescono a realizzare primi piani formidabili, di grande espressività. I Dardenne, maestri di concisione, sanno trarre partito dai dettagli ed avviare la storia, senza fretta -ma anche senza pause-, fino alla logica conclusione. Come in Rosetta, nemmeno ora si deve prendere il racconto alla lettera. La narrazione è piena di metafore ed allusioni a un piano superiore dell’esistenza. Si propongono le decisioni, per lo più errate, di una coppia, nonché il peculiare calvario che ne segue: fattore di redenzione, maturità e miglioramento personale. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: D (ACEPRENSA)

A history of violence

21/1/2006. Regia: David Cronenberg. Sceneggiatura: Josh Olson. Interpreti: Viggo Mortensen, Maria Bello, William Hurt, Ed Harris, Ashton Holmes, Heidi Hayes. USA. 2005. 96 min. Adulti (VXD)

Tom, proprietario di bar, vive felice con la moglie avvocato e i due figli, in un paese dell’Indiana. Una rapina a mano armata riaprirà un passato che Tom aveva sepolto con molta cura. Il prologo, davvero contundente, ci immerge in una storia di violenza, vista sia dal lato dei criminali, che dal lato della gente onesta.

Il regista, il canadese di 62 anni David Cronenberg (La mosca, eXistenZ, Spider), opta per una messa in scena molto appariscente, quasi enfatica, ed una fotografia molto curata. Inoltre, conta su attori prestigiosi, capaci di imporsi all’attenzione del pubblico, che ruotano tutti attorno al protagonista: Viggo Mortensen. Il copione adatta un romanzo dotato di grande espressività descrittiva. Proprio per questo, come risaputo, bisogna avere molta cura per riuscire a rendere credibili i personaggi e il loro modo di comportarsi.

Mi sembra che Cronenberg rovini la storia, per colpa delle sue indigeste provocazioni. Non riesco ad interpretare altrimenti questa esibizione al vetriolo -talvolta ridicola- di sesso e violenza. L’impostazione appare elementare, se non anche artificiale. L’evoluzione dei personaggi è inverosimile (si veda il personaggio di Maria Bello, che pure è brava attrice). La cosa più interessante (il comunitarismo americano, la cultura dell’autodifesa, l’esaltazione della forza, l’importanza della figura dell’eroe, la curiosa percezione popolare della polizia, il ricorso alla violenza per combattere il male) rimane svalutato da uno sguardo tanto morboso, quanto immaturo. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, X, D (ACEPRENSA)

Le Cronache di Narnia

14/1/2006. Regia: Andrew Adamson. Sceneggiatura: Ann Peacock, Andrew Adamson, Christopher Markus e Stephen McFeely. Interpreti: Georgie Henley, Skandar Keynes, William Mosely, Anna Popplewell, Tilda Swinton. USA. 2005. 140 min. Tutti (V)

Si tratta della versione cinematografica della prima delle sette Cronache di Narnia, saga di fantasia eroica scritta tra il 1950 e il ’56 dal filologo e apologista anglicano C. S. Lewis. In questo racconto, quattro fratelli inglesi vengono sfollati in una casa di campagna, durante i bombardamenti tedeschi del 1940 su Londra. I ragazzi scoprono, ben presto, un armadio magico attraverso il quale accedono a Narnia, mondo di fantasia abitato da ogni tipo di animale, e tutti dotati di parola. Qui, i giovani protagonisti dovranno lottare contro la cattiva Strega Bianca, che tiranneggia Narnia, contro la volontà di Aslan, splendido esemplare di leone, terribile e bello al contempo, compassionevole ma anche giusto, Figlio dell’Imperatore di Oltre Mare.

Il pregio principale di questo potente film è la fedeltà al romanzo originale, nonché alla ricca tradizione letteraria di prospezione fantasy, su cui pure si appoggia. Così, una densa caratterizzazione del tipico modo di essere britannico dissemina l’epica fantastica di costanti dosi di humour; soprattutto, riempie di umanità tutti i personaggi, tanto realistici come fantastici, offrendo così agli attori le migliori chance per conquistarsi lo spettatore. Da parte sua, il neozelandese Andrew Adamson -coregista delle due parti di Shreck- esalta le possibilità attuali dell’animazione digitale, con un inizio da antologia, uno sviluppo un po’ irregolare, ma anche diverse splendide sequenze –come il sacrificio di Aslan- fino alla brillante battaglia finale, un ispirato mix di mitologia classica e nordica.

Per il resto, il film disegna con nitidezza l’innocenza, il coraggio e la capacità di sacrificio dei bambini, ma anche i loro difetti, alle volte forieri di gravi conseguenze. Nel duello tra Aslan e Jadis, emerge chiaramente l’allusione a quello tra Gesù Cristo e Satana. E nonostante questo pathos, il film continua a rappresentare un eccellente messaggio per un pubblico familiare. Infatti, la violenza è qui saggiamente dosata, mentre al contempo sviluppa con rigore e buon umore un’antropologia cristiana così attraente da far pensare a Il Signore degli anelli. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Tutti. Contenuti: V (ACEPRENSA)

King Kong

14/1/2006. Regista: Peter Jackson. Sceneggiatura: Fran Walsh, Philippa Boyens e Peter Jackson, dal testo di Merian C. Cooper ed Edgar Wallace. Interpreti: Naomi Watts, Adrien Brody, Jack Black, Jamie Bell, Andy Serkis. 187 min. Nuova Zelanda, USA. 2005. 120 min. Giovani. (V)

Dopo aver realizzato in modo magistrale il difficile adattamento de Il Signore degli Anelli, il neozelandese Peter Jackson ha realizzato un vecchio sogno d’infanzia: raccontare la storia di King Kong, che nella versione del 1933 di Merian C. Cooper, fin da bambino, gli fece sorgere il desiderio di lavorare nel mondo del cinema. Il risultato è un film non solo notevole, ma anche ambizioso, perché cerca di ampliare la trama dell’originale. Perciò, nel copione di Jackson, Fran Walsh e Philippa Boyens, si curano fino al minimo dettaglio la ripresa dei quartieri di New York che fanno da cornice al racconto. Per esempio agli inizi, quando descrive i duri anni della Depressione, per poi ricostruire il magnifico ambiente creato con l’erezione dell’Empire State Building. Tra le due epoche si inserisce il viaggio per nave che porta il team cinematografico ad un’isola misteriosa, con avventurosi incontri con creature preistoriche e spaventosi indigeni.

C’è l’intento consapevole, in Jackson, di realizzare un gran film, dove spettacolarità e intimismo non si combattano tra loro: è ben presente l’influenza del Titanic di James Cameron. Una perfetta ricreazione di Times Square e di territori selvaggi si coniuga all’accuratezza riservata alla recita dei vari personaggi, anche nei ruoli secondari. Incoraggiato dalla buona tenuta dei suoi lunghi film tolkieniani, il regista punta ancora sul lungometraggio. C’è forse, in questo caso, un certo errore di calcolo, perché la semplice trama di avventura vecchio-stile, anche se di molto arricchita, non consente di dilatare l’estensione del film più di tanto, come invece avviene in questo caso. Il film avrebbe tratto vantaggio se fosse stato più conciso, abbreviando specialmente la sezione “Giurassica”. Comunque, c’è tanta passione nella regia che il risultato resta lo stesso brillante.

Naomi Wats confeziona bene il personaggio femminile, un’attrice di vaudeville, e la speciale sequenza dove il regista esalta le sue capacità scenografiche: il rapporto tra “la bella” e “la bestia”(King Kong). Adrien Brody esprime bene il suo ruolo di autore teatrale, costretto a scrivere sceneggiati per il cinema, coraggiosamente, suo malgrado. E Jack Black ci contagia il suo primitivo entusiasmo, un misto dell’Orson Welles giovanile e di John Hammond in Jurassic Park. Il gigantesco gorilla risulta sorprendentemente espressivo, lavoro encomiabile del team di effetti speciali e dell’attore Andy Serkis, riferimento perfetto al momento di conferire ai gesti della scimmia, qualcosa di molto simile all’umanità. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V (ACEPRENSA)

Crash - Contatto fisico

14/1/2006. Regista: Paul Haggis. Sceneggiatura: Paul Haggis e Robert Moresco. Interpreti: Sandra Bullock, Don Cheadle, Matt Dillon, Jennifer Esposito, Brendan Fraser. USA, Germania. 2004. 100 min. Adulti. (VXD)

Un paio di giovani delinquenti di colore rubano la macchina di una giovane coppia di “bianchi”. La moglie, isterica, diffida di tutti i non bianchi e offende il fabbro di casa sua -di origine latina- e la sua servitù, tutta composta di latini. Un poliziotto bianco razzista abusa della sua autorità fermando e perquisendo una coppia di neri, ma a sua volta è umiliato dalla segretaria di un centro medico, una donna di colore. Un commerciante iraniano non capisce perché lo chiamano arabo e diffida dal fabbro, perché di colore. Crash s’impegna a lasciare bene in chiaro tre messaggi: non viviamo da soli; tutti abbiamo pregiudizi; e i pregiudizi impediscono di vedere la realtà innanzi a noi.

Paul Haggis, sceneggiatore di Million Dollar Baby, conclude paradossalmente che “ci dobbiamo scontrare (crash) contro qualcuno, per renderci conto che esiste”. Il film presenta alcune ore, non molte, della vita di diversi personaggi, bianchi, neri, gialli, brown, poliziotti, ladri, politici importanti e piccoli negozianti. Tutti sono autentici, e colmi di pregiudizi sulle altre comunità; utilizzano un linguaggio normale, dicono quello che pensano e sono “politicamente scorretti”. Tutti reagiscono in modo naturale, davanti alle situazioni che si presentano loro. Tutti provocano, peraltro, la simpatia dello spettatore.

Paul Haggis passa da un personaggio all’altro, con la stessa facilità di quanto avviene in Grand Canyon. I crash sono, su momento, di impatto violento, creando situazioni dolorose ma sane, che poi si superano. Perciò i protagonisti, alla fine della storia, non sono più felici, ne più saggi, ma migliori in quanto persone. Senza svelare la trama, si può dire che, anche se molte delle sequenze sono eccellenti, due almeno sono da antologia: la storia della bambina figlia del fabbro, e la scena che descrive l’opera di salvataggio della polizia. Fernando Gil-Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, X, D (ACEPRENSA)

Match point

14/1/2006. Regia e sceneggiatura: Woody Allen. Interpreti: Scarlett Johansson, Jonathan Rhys-Meyers, Emily Mortimer, Matthew Goode, Brian Cox, Penelope Wilton. GB. 2005. 124 min. Adulti. (XD).

Terribile e disperato film di Woody Allen, nonché dimostrazione del suo enorme talento. Con aria british -chi mai potrebbe supporre che dietro si nasconda il regista di New York, nonostante siano presenti i suoi temi ricorrenti- racconta l’ascensione sociale e l’inabissamento morale di Chris, giovane di umili origini, con trascorsi nel cuore dell’élite del tennis mondiale, ora maestro di tennis di ricchi clienti inglesi. Ciò gli permette d’introdursi nell’entourage di una famiglia inglese di alto livello, arrivando perfino ad integrarsi con i vari componenti della stessa. Il problema sorge quando s’invaghisce della fidanzata americana del figlio, un’aspirante attrice senza futuro. Il protagonista, che ha capitolato senza condizioni alla sua bellezza, si lascia trascinare, pur cercando di salvare le apparenze.

Ci imbattiamo nel miglior film del nuovo ciclo “serio” di Woody Allen, anche se qualche passaggio non risulta sempre all’altezza. Gli attori, come abituale, lavorano molto bene. Nella sua abile narrazione, il regista imprime un forte impatto emotivo, una perfetta manovra da mago del cinema, trasformando un dramma sull’infedeltà nella pianificazione fredda di un assassinio: Chris pretende di togliere di mezzo chi, fino ad allora, era divenuta l’oggetto di suo godimento, la sua amante, trasformatasi ormai in ostacolo al suo ordinato e perfetto cliché. Così, arriva il momento intellettualistico-delirante, alla Raskolnikov di Delitto e castigo, opera non a caso citata.

Il film include il riferimento alla giustizia divina, in forma impegnativa. Ma Allen, fedele al suo agnosticismo e all’idea che -se Dio esiste- altri non è che un bambino capriccioso che tratta gli uomini come giocattoli, a sua volta, gioca con lo spettatore. Tutto ciò rappresenta il suo ace vincente, il match point del titolo, che può piombare in un qualsiasi posto del campo, per puro, assurdo e semplice azzardo. Lo stesso azzardo che provoca una gravidanza indesiderata, mentre si fa attendere ciò che invece si vuole. Alla fine, fa trapelare il regista, rimane solo la coscienza con il peso della colpa. È pur sempre un passo avanti, rispetto a Crimini e misfatti, anch’esso imperniato su un omicidio premeditato. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: X, D (ACEPRENSA)