Orgoglio e pregiudizio

18/2/2006. Regista: Joe Wright. Sceneggiatura: Deborah Moggach, Lee Hall. Interpreti: Keira Knightley, Matthew Macfadyen, Judi Dench, Brenda Blethyn, Donald Sutherland. 127 min. UK, Francia. 2005. Giovani.

Il titolo è famoso. La celeberrima opera di Jane Austen ha stimolato diverse versioni per tv di qualità -l’ultima risale al 1995-, ispirando buona parte di quelle commedie romantiche che affontano temi eterni. Il soggetto appare sempre redditizio nei botteghini, nonché fonte di ispirazione per il tema attuale del “conflitto tra sessi”. Recentemente è stata rivista in chiave di “Bollywood” da Gurinder Chadha (Matrimoni e pregiudizi). Tuttavia bisogna risalire al 1940, per trovare -su grande schermo- un precedente simile a quello proposto da Joe Wright. Risulta un’opera letterale, di fedeltà a tutta prova, sia al testo che al contesto da cui è stato tratto il romanzo.

Avvalendosi di un curato disegno di produzione -dal trucco all’abbigliamento o ai dettagli di arredamento- l’esordiente Wrigth riesce a ricreare la campagna inglese dell’ultimo settecento; ovvero, la cornice dove la signora Bennet -una magnifica Blenda Blethyn- soffre ogni tipo di patemi d’animo, fin quando non vedrà maritate le sue cinque figlie. Ciò contrasta con l’apparente passività del marito.

Forse uno dei piú rilevanti meriti del regista britannico è quello di aver rispettato lo spirito del romanzo. Conserva così l’eleganza e il senso dello humour del testo, raccogliendo in certi magistrali dialoghi -molto cinematografici, malgrado l’origine- alcune indovinate riflessioni di Jane Austen. Per di più, riesce a rendere credibile, o per lo meno verosimile, una problematica femminile, ad anni luce dalla attuale.

Nella recitazione, eccelle Keira Knightley (La maledizione della prima luna) che, a soli 21 anni, offre un intimo e divertente ritratto di Lizzi. A fronte della sua fresca recitazione, Matthew Macfadyen dà vita ad un signore Darcy un po’ troppo rigido e freddo, che fa rimpiangere quello impersonato dal Colin Firth della versione televisiva della BBC. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA

Pubblico: Giovani. (ACEPRENSA)

Munich

18/2/2006. Regista: Steven Spielberg. Sceneggiatura: Tony Kushner ed Eric Roth, dal libro di George Jonas. Interpreti: Eric Bana, Daniel Craig, Ciarán Hinds, Mathieu Kassovitz, Hanns Zischler, Geoffrey Rush. 164 min. USA. 2005. Adulti. (VX)

Forse il film più rischioso di Steven Spielberg, con una posta in palio superiore a quella dello stesso Schindler’s List. Il regista utilizza da sfondo intermittente, per tutta la durata del film, i tragici eventi delle Olimpiadi del 1972 a Monaco. Si tratta del sequestro ed assassinio di undici atleti israeliani da parte di un gruppo terrorista palestinese, Settembre Nero, cui segue la risposta dello stato di Israele: un mandato all’omicidio clandestino dei responsabili, affidato ad gruppo di cinque agenti segreti, co-protagonisti del film.

Con questi elementi, ne trae un film vibrante -da cinepresa nervosa, di studiata freddezza-, che non lascia un attimo di tregua. Lo spettatore condivide l’inquietudine dei personaggi: la loro tensione è la nostra. E si trova situato di fronte alla violenza, terribile –mai visto tanta efferatezza in un film di Spielberg- con un chiaro messaggio: togliere la vita ad un nostro simile non fa mai onore al “giustiziere”, di qualunque parte egli sia. E lascia sempre un conto aperto.

Il film inizia, immergendo lo spettatore nel clima degli eventi del 1972. La complessità dei fatti, a maggior ragione quando una parte di essi non si svolge alla luce del giorno, è difficile da ricostruire. George Jonas, autore del libro che ispira il copione di Tony Kusher ed Eric Roth, si lamenta di distorsioni: ad esempio i rimorsi di Avner, leader del commando israeliano, esecutore -a modo suo- della “legge del taglione”.

Risulta difficile giudicare l’attendibilità della ricostruzione, basata su trame oscure, ma Spielberg riesce nel principale suo obiettivo: descrivere la ripercussione mediatica istantanea di fronte all’attuale terrorismo, mostrando però come la vendetta del giustiziere, fredda ed extralegale, fallisce i suoi obiettivi. Non solo dilata il ricorso alla violenza, ma provoca un vuoto interiore nella vita degli esecutori che niente -neanche l’armonia della famiglia- riesce più a riempire.

Spielberg è stato accusato ingiustamente di mettere sullo stesso piano Settembre Nero e il Mossad: in realtà Spielberg non pone in discussione il patriottismo e la sincerità con la quale i protagonisti ritengono di servire il proprio paese; ma non giustifica la rispettiva azione: cavar l’occhio e il dente a quanti si sono resi responsabili della stessa azione. Riaffiora piuttosto la citazione biblica eletta a proverbio: “chi di spada ferisce, di spada perisce”.

C’è sincerità nel regista e vari spunti per il dibattito. La violenza disumanizza. Nella polemica scena dove gli agenti israeliani condividono lo stesso appartamento dei terroristi palestinesi, sottolinea il rischio che la linea di distinzione tra chi ha torto e chi ha ragione- si possa dileguare all’improvviso, da un momento all’altro. Lo vediamo nelle discussioni del gruppo israeliano, uno stupendo gruppo di attori, o nel rifiuto di un agente di coprire pudicamente il cadavere nudo di una assassina, fatto che poi gli peserà sulla coscienza. Spielberg ha realizzato un film potente, che sancisce una maturità e un dominio del mezzo cinematografico innegabili. Che il suo lavoro esaurisca il tema del terrorismo è però un’altra questione, ma non credo che nemmeno il noto regista pretenda tanto. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: V, X (ACEPRENSA)

Memorie di una geisha

18/2/2006. Regista: Rob Marshall. Sceneggiatura: Robin Swicord, dal romanzo di Arthur Golden. Interpreti: Zhang Ziyi, Gong Li, Michelle Yeung, Ken Watanave, Koji Yakusho. 144 min. USA. 2005. Adulti. (XS)

Nel 1929, due bambine di un paese della costa sono vendute dal padre e trasferite a Kyoto. La più grande diventa prostituta, mentre la piccola, Chiyo, serve in una casa di geishe, raffinate donne la cui formazione è incentrata esclusivamente nell’intrattenere uomini importanti con la loro compagnia, la loro conversazione, i loro canti e danze, nonché, al momento opportuno, i favori sessuali. Col passar del tempo, Chiyo si converte nella bellissima geisha Sayuri, invidiata dalla compagna Hatsumono, nonché tormentata dal il suo impossibile amore per un imprenditore, conosciuto quando era ancora bambina.

Per la sua esecuzione, questo adattamento del best seller di Golden sembra un colossal dell’epoca classica di Hollywood, con tutto il suo glamour, il suo romanticismo scatenato e la dovizia di mezzi profusi. Emergono l’ambientazione, la coloristica fotografia di Dion Beebe, nonché la sconvolgente colonna sonora sinfonica di John Williams, vincitrice del Globo d’Oro. Anche le recitazioni sono molto buone, sopra tutto Go Ling e Zhang Ziyi, fronte a fronte. La messa in scena di Rob Marshall (Chicago) risulta vibrante, specialmente quando estenua il ricorso alle sequenze di danza, per risolvere le sequenze più emotive.

Resta il fatto che il film manca un po’ di credibilità, e molto di profondità morale. Eccessivi alcuni toni melodrammatici, talvolta enfatici e tediosi. In ogni caso, rimane un film gradevole, sufficientemente elegante nel trattamento di un tema, che sembrava già condannato in partenza ad una sordida deriva. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Adulti. Contenuti: X, S (ACEPRENSA)

I segreti di Brokeback Mountain

18/2/2006. Regista: Ang Lee. Sceneggiatura: Larry McMurty,Diana Ossana da un romanzo breve di Annie Proulx. Interpreti: Jake Gyllenhal, Heath Ledger, Michele Williams. 134 min. USA. 2005. Sconsigliato.

Wyoming, 1963.Jack Twist e Ennis Del Mar, giovani mandriani alla ricerca di un impiego stagionale, si incontrano sulla montagna di Brokeback, entrambi assunti da un rancher locale per guardare il suo gregge. Quasi per caso, nasce tra loro la passione, ma alla fine dell’estate le loro strade si dividono. Tra mille difficoltà, i due continueranno a vedersi, saltuariamente e con alti e bassi, per una ventina d’anni.

“L’amore è una forza della natura” recita la tag-line del film. Eppure di amore non si parla mai in questo film ambientato in Wyoming e Texas, tra paesaggi vastissimi e vuoti e desolazioni interiori. I due protagonisti vivono senza certezze e senza farsi domande, in equilibrio precario tra un ruvido pessimismo di fondo e uno scarso interesse per sé e per gli altri. Ma per Jack (Jake Gyllenhal) e Ennis (Heath Ledger) vivere è da sempre un’abitudine ostile, il lavoro è mal pagato e difficile da trovare (ma facilissimo da perdere) e riflettere sulla propria vita è un vezzo inaccessibile.

Sono coraggiosi, quindi, i due protagonisti, perché vanno avanti da soli, resistendo alla quotidianità con leggero cinismo e paraocchi difensivi (Ennis) oppure con ironia volenterosa (Jack), in fondo pensando che prima o poi la vita riserva sorprese. Sono coraggiosi come cow-boy, e costretti alla stessa vita di innaturale solitudine e durezza. Ma le analogie finiscono qui, perché Brokeback Mountain non è un western e il 1963 è l’anno dei Beatles, insomma non si tratta certo di difendere la frontiera, ma di sopravvivere in un piccolo mondo che, sfortunatamente, si trova fuori dal mondo. In questa periferia povera i due protagonisti si muovono come condannati senza una causa e quando si incontrano, si riconoscono. È amore? Forse potrebbe, ma non è descritto così: la fotografia resta livida, la solitudine resta inguaribile. Il regista sembra soprattutto interessato a giocare sul contrasto cowboy/omosessuale più che a raccontare una storia d’amore, come invece dichiara.

Intanto i due protagonisti si incontrano tutte le estati e parallelamente convivono con mogli e figli. Più in là, uno dei due si tira indietro, mentre l’altro, uscito con la moglie e una coppia di amici, accidentalmente scopre che anche il marito dell’altra in realtà è un cow-boy gay. La malinconia si fa più densa e gli sceneggiatori a questo punto avrebbero fatto arrossire i Village People per mancanza di idee nuove. E la storia, pervasa da una passione intermittente, senza slancio e senza sogno, si avvia verso una conclusione altrettanto esangue.

Se non si fosse trattato di una storia omosessuale, la sceneggiatura avrebbe destato forse poco interesse a causa della qualità “operistica” della scrittura, che mette una passione contrastata e schematica in primo piano, mentre tutte le figure di contorno si riducono a macchiette noiose e stolide. La regia, che appare sobria e distaccata, in realtà colora di stereotipi una storia che non dovrebbe essere soltanto “di genere”. Oltre a questo va segnalata la pessima, imbarazzante recitazione di Heath Ledger, che sembra John Wayne con una paresi labiale, oltre alla generica inadeguatezza dei due attori principali, mandriani con espressioni da spot pubblicitari. E le due mogli, volutamente rese da Ang Lee simboli di opposti luoghi comuni, sono appunto solo “le mogli”, tarocchi bidimensionali in tinta con la tappezzeria.

La pellicola, dunque, mentre sembra dire che questa storia gay è innanzitutto “una grande storia d’amore” che ha, quasi per caso, come protagonisti due rudi mandriani invece che un uomo e una donna (seguendo l’assunto di una totale indifferenza degli “orientamenti sessuali”), dall’altra sottolinea il peso delle convenzioni dell’epoca (quelle del club maschile dei cow boy, pronti ad emarginare se non a punire chi manifesta “gusti” differenti, ma anche quelle meno violente ma altrettanto stringenti della società, seguendo le quali i due protagonisti si sposano infelicemente) suggerendo che siano il solo vero ostacolo alla realizzazione di una sublime unione di anime. Come a dire che se solo si fosse stati nel “civilizzato” XX secolo non ci sarebbe stato alcun vero problema….

Questa impostazione, però, tralascia completamente di problematizzare seriamente il percorso dei due protagonisti che si trovano di fronte alla reciproca attrazione e vi cedono (uno più convinto, l’altro più incerto) come se fosse inevitabile, trovandovi una verità di sentimenti (l’idea è che il rapporto di Ennis con Alma, che poi sposerà, fosse bacato molto prima dell’incontro di questi con Jack) che il resto del loro mondo sembra incapace di offrire.
Il risultato è che il legame omosessuale dai due, la cui origine resta comunque ambigua (semplice solitudine da riempire? Innamoramento? O altro ancora?), è chiaramente presentato come l’unica cosa preziosa (e sana) in un orizzonte di mediocrità e fallimento che travolge tutto e tutti. Giulia Gibertoni, Luisa Cotta Ramosino. Per gentile concesione di FAMILYCINEMATV.

Elementi problematici per la visione: per le tematiche delicate, trattate a volte con una certa superficialità, se ne sconsiglia la visione a un pubblico di giovanissimi.

Valori/Disvalori: Il film segue l'assunto della totale indifferenza degli orientamenti sessuali

Sconsigliato: Sconsigliato perché viene sviluppata la teoria della equipollenza fra amori omo ed etero sessuali. Scene di amori gay e nudità femminili.

Giudizio tecnico: **. Se non si fosse trattato di una storia omosessuale, la sceneggiatura avrebbe destato ben poco interesse. La regia colora di stereotipi una storia che non dovrebbe essere solo di genere. Pessima interpretazione di Heath Ledger.