Harry Potter e il calice di fuoco

19/11/2005. Regia: Mike Newell. Sceneggiatura: Steven Kloves Interpreti: Daniel Radcliffe, Rupert Grint, Emma Watson, Robbie Coltrane, Michael Gambon, Alan Rickman, Ralph Fiennes, Timothy Spall. GB, USA. 157 min. Giovani. (V). Dal 25 novembre nelle sale.

In ogni romanzo della serie, l’autrice della saga -J. K. Rowling- ha progressivamente limato i difetti, reso più agile il ritmo ed incisiva la coerenza del suo universo letterario, acuendo la caratterizzazione conflittuale dei personaggi, capaci ora di maggior densità drammatica ed etica. Tenendo conto di tutto ciò, l’irregolare regista inglese Mike Nowell (Quattro matrimoni e un funerale) ha saputo mantenersi fedele ai testi e far tesoro dell’esperienza dei suoi precursori.

In questa quarta avventura, Harry è invitato dalla famiglia Weasley a vedere insieme la finale di Coppa del Mondo di Quidditch, interrotta da un attacco dei sicari di Lord Voldemort, la cui ombra scura continua ad aleggiare anche sul nuovo corso della Scuola Hogwarts di Magia e Stregoneria. Harry, ormai adolescente, s’innamora ed è selezionato per partecipare al tradizionale Torneo dei Tre Magi.

Newell ci offre un prodotto cinematografico pienamente riuscito, potenziando quel naturalismo realista già inaugurato da Cuarón nel terzo film della serie. Questa scelta –che emerge nella maggiore presenza di paesaggi naturali, nell’abbigliamento e negli atteggiamenti giovanili dei protagonisti- conferisce maggior verosimiglianza alla trama e ai conflitti drammatici che propone, centrati sopratutto sul senso di responsabilità, sull’integrazione sociale e razionale, e sulle prime esperienze sentimentali. Newell mostra le sue doti di regista applicandole ad una tematica che esalta i rapporti interpersonali, senza trascurare il tono fantastico ed spettacolare del film. Per questo, tale prodotto cinematografico raggiunge momenti memorabili grazie ad una pianificazione e ad un montaggio eccellenti; per non paralare del generoso impiego di effetti visivi e sonori di ultima generazione, alcuni -come la lotta contro il drago- semplicemente strabilianti.

Per il resto, il ritmo non decade mai, malgrado la lunga durata della proiezione. Per di più, non ci sono attori che non siano all’altezza: di fatto, i tre giovani protagonisti lavorano anche meglio del solito. La rifinitura visiva e sonora del film è tanto accurata, almeno quanto quella dei suoi precedenti. La fotografia, la direzione artistica, esprimono un livello di assoluta eccellenza. Anche la musica di Patrick Doyle, che ha sostituito John Williams, non è da meno. In conclusione, un’irresistibile proposta per ogni tipologia di pubblico, anche se qualche scena violenta può spaventare i più piccoli. Jerónimo José Martín. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V (ACEPRENSA)

La marcia dei pinguini

19/11/2005. Regista: Luc Jacquet. Sceneggiatura: Luc Jacquet, Michel Fessler. Musica: Emilie Simon. Francia. 85 min. Tutti.

Ogni anno, inizia un singolare pellegrinaggio verso l’Antartide. Migliaia di pinguini imperatore, i più grandi esemplari di questa specie, abbandonano la tranquillità degli oceani per raggiungere il cuore del Polo Sud, luogo prestabilito per la riproduzione e per la cura iniziale dei loro piccoli. Le condizioni sono così rigide che nessun altro essere vivente osa abitare queste lande desolate. I pinguini, sempre in gruppo, marciano con decisione attraverso questo difficile paesaggio ghiacciato, opponendosi al più implacabile dei nemici: il gelo.

Il biologo francese Luc Jacquet esordisce, da regista e sceneggiatore, con questo bellissimo documentario di 85 minuti. E lo fa, avvalendosi di qualificate collaborazioni: Buena Vista, Canal + e National Geographic. Il racconto segue un anno della vita di questi pittoreschi animali, affidandone la narrazione ad una coppia di pinguini e al loro piccolo. La realizzazione resta decisamente convenzionale, forse perché la presenza di aerei, elicotteri o veicoli terrestri avrebbe gravemente alterato la migrazione dei pinguini.

Il risultato finale è di buon valore, anche se non raggiunge il livello de Il popolo migratore, forse per la scarsa qualità della sceneggiatura o per la monotonia di vita del pinguino e del paesaggio antartico. Ci sono momenti spettacolari come l’adunata dei pinguini, per proteggersi dal temporale o la ripresa caso dei primi passi delle nuove leve. La musica è discreta: meritano apprezzamento un paio di ballate; una di queste, firmata dall’islandese Bjork.

Il film è apparso nelle sale degli States con la voce di uno dei narratori più popolari, Morgan Freeman (in Italia la voce è di Fiorello), ottenendo buoni incassi (16 milioni di dollari), a conferma della vitalità del cinema francese specializzato sul tema del documentario naturalistico. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Pubblico: Tutti. Contenuti:- (ACEPRENSA)

I fratelli Grimm e l'incantevole strega

19/11/2005. Regia: Terry Gilliam. Sceneggiatura: Ehren Kruger. Interpreti: Matt Damon, Heath Ledger, Peter Stormare, Lena Headey, Jonathan Pryce, Monica Bellucci. USA, Chequia.115 min. Giovani-adulti (VSD)

Artefice di film di grande fantasia ed impatto visivo (come Brazil, L’esercito delle dodici scimmie), Gilliam dirige con maestria questa riproposizione del fiabesco mondo dei fratelli Grimm. Sentendosi molto più a suo agio nel paradiso straordinario delle favole, Gilliam racconta una storia, in parte romanzata e in parte reale. Jacob e Will Grimm viaggiano per paesi e città, prendendosi gioco dell’ingenuità della gente. Si guadagnano infatti da vivere, sconfiggendo mostri e streghe, puri prodotti della loro fantasia. Ma presto saranno scoperti dall’esercito di Napoleone e dovranno lottare contro una maledizione autentica, caduta su un paese chiamato Marbaden. Nelle avventure che si susseguono compaiono diversi personaggi delle loro fiabe più note: Capuccetto rosso, Hansel e Gretel, ecc.

Il film riesce a combinare il realismo di avventure alla fantasia più terrificante, ottenendo di coinvolgere -nella storia di Jacob e Will- anche lo spettatore. All’improvviso ci si sente immersi nella trama ed i 115 minuti di durata del film passano quasi senza rendersene conto.

Il disegno di produzione raggiunge un livello assai elevato al momento di delineare quel mondo magico, che si alterna al mondo reale storico dell’Ottocento. Il film, anche se non racconta la vita reale dei fratelli Grimm (ma non è questo il suo fine) vuole però rispettarne lo spirito e, al contempo, renderli protagonisti di quel racconto. Ci riesce in gran parte, grazie ad un copione ben realizzato, a grandi interpreti e all’evidente intenzione di render omaggio non soltanto all'immaginazione, ma anche al lato un po’ macabro, caratteristico dell’opera dei Grimm. Su questo peraltro, Gilliam calca troppo la mano, senza che ce ne fosse davvero bisogno. Se è vero poi che nell'opera dei Grimm ci sono valori morali indubbi (l’audacia, il bene arduo, la fraternità), lo sfondo cristiano dei Grimm è però qui sostituito da una bonomia razionalista, con alcune battute derisorie del sentimento religioso, proprie di un’ideologia laicista. Sofía López. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani-adulti. Contenuti: V, S, D. (ACEPRENSA)

Oliver Twist


19/11/2005. Regia:Roman Polansky. Sceneggiatura: Ronald Harwood. Interpreti: Ben Kingsley, Barney Clarc, Jamie Foreman, Leanne Rowe, Jamie Foreman.130 min.Gran Bretagna/ Cechia/ Francia/ Italia 2005. Pre adolescenti.

Oliver Twist (Barny Clarc) riesce a fuggire dall' orfanotrofio dove subiva solo angherie e a raggiungere Londra dopo una settimana di cammino. Affamato e senza un soldo, finisce per unirsi a una banda di ladruncoli capeggiati da un torvo ebreo di nome Fagin (Ben Kingsley). L'accoglienza che il ragazzo riesce ad avere dal ricco e generoso sig. Brownlow fa credere a Oliver che i tempi peggiori sono passati, ma Fagin lo sta cercando per riprenderlo con se....

Di Oliver Twist si contano almeno altri due film in versione italiana (in quella inglese almeno 219). Il primo, Le avventure di Oliver Twist del 1948 è di David Lean, mentre il secondo, di Clive Donner è dell' '82. Molti di più i remake de i Miserabili (almeno otto versioni), per citare un'altro famosissimo romanzo ottocentesco. E' naturale che quando si tratta di classici di ogni tempo, si cerchi di riproporli periodicamente alle nuove generazioni.

L' ultimo lavoro di Polansky (premio Oscar per Il pianista) va pertanto analizzato in due modi: come può apparire ad un giovane che scopre questo racconto per la prima volta e come possono giudicarlo gli adulti, quelli che hanno potuto vedere, magari alla televisione, la precedente edizione del '48 e che forse hanno letto il libro. Il film ci appare di grande qualità da un punto di vista scenografico, fotografico e dei costumi: la ricostruzione (a Praga) di Londra all'inizio ottocento è di grande effetto: gli squallidi viottoli di Jacob's Island popolati di straccioni, mendicanti e baby prostitute; gli opifici sul porto, primi segni di una industrializzazione vivace ma non ancora massificata o King Street, affollata di carrozze dei benestanti mentre una massa informe di povera gente si accalca sugli stretti marciapiedi.

Vera opera di maestria è la sequenza notturna dove la fioca luce dei lampioni stradali lascia intravedere nella fitta nebbia il profilo incappottato di due loschi figuri che trascinano con se il piccolo Oliver così come è indimenticabile la grande sala della una working house dove centinaia di bambini, pigiati uno contro l'altro per il poco spazio, cercano di confezionare della stoppa. La polemica di Dickens contro le teorie maltusiane molto diffuse all'epoca (tenere la massa crescente dei poveri sotto rigida disciplina e sempre affamata, quindi debole) trova nella versione di Polansky una vivida rappresentazione.

Per merito della magia narrativa di Dickens emergono anche questa volta come indimenticabili i protagonisti della storia, sopratutto quelli cattivi: Fagin, il curvo e torvo ebreo, Bill Sykes, il violento e irascibile scassinatore e la dolce Nancy. Merito invece di Polansky aver reso cinematograficamente i personaggi dickensiani come lo scrittore li aveva concepiti: non delle rappresentazioni realiste di persone in carne ed ossa, ma dei tipi, delle categorie comportamentali. Esemplare a questo riguardo la sequenza della lunga camminata in fuga per la campagna del torvo Sykes dopo aver commesso un atroce delitto: il mantello lungo fino a terra, la bombetta calata sulla fronte, lo sguardo rivolto in basso, accompagnato da un onnipresente cagnone bianco, simbolo inquietante di una forza bruta (nel film di Lean era un innocuo bastardino bianco e nero). Non stiamo vedendo quel preciso signor Sykes: stiamo ricevendo la rappresentazione della "figura" del cattivo.

Il film ripercorre fedelmente la storia pubblicata da Dikens nel biennio 1837-38 su di una rivista mensile con alcune giustificate eccezioni (la versione del '48 era molto più aderente all'originale): manca la sequenza iniziale della morte della madre e conseguentemente la conclusione con la scoperta delle nobili origini del ragazzo. Scelta saggia, dal momento che oggi non è più necessario forzare un lieto fine che riporti il ragazzo al suo "giusto rango". Infine una originale costruzione del personaggio Fagin (Ben Kingsley), figura di cattivo volutamente complessa che lascia intravedere anche barlumi di bontà. Un discorso a parte merita la scelta, a nostro giudizio infelice, dell'attore che impersona Oliver Twist (Barny Clarc): fisicamente centrato, con la sua aria dolce e remissiva, ma con una espressività da pinocchio di legno: per sapere se sta piangendo o se fa il serio bisogna concentrarsi sui dettagli per controllare se c'è una lacrima che gli sta scorrendo sul viso .

Complessivamente la trasposizione del romanzo in pellicola é risultata oltremodo professionale ma impersonale. Roman Polansky, tre premi oscar per Il pianista nel 2003, questa volta non ci ha messo del suo: sembra aver compiuto un serio studio filologico sull'Inghilterra dell'ottocento e il mondo di Dickens, più che una trasfigurazione artistica. Fatte questi dovuti rilievi,il film è senz'altro consigliabile alle nuove generazioni di ragazzi: come argutamente ha sottolineato Natalia Aspesi su la Repubblica: "Film troppo colto e crudele per i bambini di oggi, potrebbe essere usato come punizione esemplare ogni volta che uno di loro fa scenate ai genitori tremanti, per ottenere da loro l’ennesimo telefonino o i jeans firmati o qualunque altra scemenza i tempi bestiali li obbligano a desiderare". Franco Olearo. Per gentile concesione di FAMILYCINEMATV.

Valori/Disvalori: Il riscatto/sacrificio di una donna, la bontà di un gentiluomo verso un bambino povero e orfano.

Pubblico: Pre- Adolescenti. Per alcune scene impressionanti.

Giudizio tecnico: *** . Riproduzione fedele e curata dello spirito del grande romanzo, ma sembra un saggio d'accademia diligente ma poco inspirato.

Flightplan - Mistero in volo

5/11/2005. Regia: Robert Schwentke. Sceneggiatura: Peter A. Bowling, Billy Ray. Interpreti: Jodie Foster, Peter Sarsgaard, Sean Bean, Erika Christensen, Kate Beahan, Marlene Lawston. USA. 98 min. Giovani. (V).

Una donna, da poco divenuta vedova in circostanze drammatiche, viaggia da Berlino a New York per seppellire il marito ed iniziare una nuova vita. La accompagna la figlia di 6 anni. Ma la bambina sparisce in pieno volo… Tutto sembra indicare che la madre risulti vittima di disturbo mentale, perché nessuno ha visto la bambina; ma il comandante dell’aereo ed il responsabile della sicurezza danno credito alla sua angoscia materna.

In questo potente thriller psicologico, il tedesco Robert Schwentke (Tattoo) si è avvalso di uno splendido cast e di una curatissima scenografia (ivi incluse musiche e fotografia), che miscela elementi usati in altri film recenti come I dimenticati e Panic Room. La Foster, splendida nella sua maturità, offre un’ennesima dimostrazione di grandissimo talento, agevolata dalla recita di due altri eccellenti attori, Sean Bean e Peter Sarsgaard. Uno degli scritturisti del copione, Ray, (Sotto corte marziale- Hart’s war) è da poco passato alla regia con L’inventore di favole, il film sul giornalista che s’inventava i reportage.

Il progetto di produzione del film è così minuzioso da facilitare il coinvolgimento in un evento apparentemente inverosimile, pervaso da un crescente clima di oppressione. La pianificazione, le luci, la cura della scenografia esaltano l’atmosfera inquietante di un film dal copione molto elaborato che, come in tutti quelli di questo genere “a puzzle” (il più recente è Cellular), risulterebbe incapace di reggere, senza validi attori ed effetti tecnici riusciti. Ana Sánchez de la Nieta. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V (ACEPRENSA)

The legend of Zorro

5/11/2005. Regista: Martin Campbell. Sceneggiatura: Roberto Orci, Alex Kurtzman. Interpreti: Antonio Banderas, Catherine Zeta-Jones, Adrián Alonso, Rufus Sewell, Nick Chinlund, Raúl Méndez, Pedro Armendáriz Jr. USA.108 min. Giovani (VS).

In mezzo ad un complotto destinato ad impedire che la California sia assorbita dagli Stati Uniti (chiara allusione all’11 settembre), Zorro -don Alejandro-, la moglie e il figlio, attraversano diverse crisi famigliari. Elena vuole che Zorro scompaia una volta per tutte ed anche Alejandro desidera diventare un marito e padre normale, sebbene ancora non riesca a mandare in pensione l’eroe che impersona. Il figlio Joaquín, di 10 anni, che non conosce questo doppio ruolo, disprezza il padre, che per lui è solo il codardo don Alejandro, mentre si esalta per il giustiziere mascherato. In piena bagarre matrimoniale subentra un nobile francese, vecchio amico di Elena, che le offre sostegno e consolazione…

Campbell, responsabile de La maschera di Zorro, supera qui sé stesso, e lo fa senza mai dimenticare che sta raccontando una commedia di avventure, di cappa e spada. Così, davanti alla cinepresa, alterna a scene di duello, dipinte però sempre in modo incruento, le piroette ed i salti prodigiosi di Zorro, nonché i frizzanti attriti coniugali. Niente che sia fuori dal cliché, ma con la capacità di stupire lo stesso: finanche il piccolo Joaquín appare un portento di faccia tosta e simpatia. Non ci sono sorprese, soltanto azione, ma anche -sulla linea degli ultimi film interpretati da Banderas- una decisa presa di posizione a favore della famiglia. Fernando Gil- Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: V, S (ACEPRENSA)

Valiant

5/11/2005. Regia: Gary Chapman. Sceneggiatura: Jordan Katz, George Webster, George Melrod. Colonna sonora: George Fenton. Animazione. GB. 109 min. Tutti. (V)

L’azione di questo film animato digitale, è una parodia di alcuni episodi della II Guerra Mondiale: mentre i falchi del III Reich regnano sovrani nei cieli, il Royal Air Force Pigeon Service (il servizio di piccioni viaggiatori della RAF) serve la causa alleata, portando messaggi vitali sui movimenti del nemico, attraverso il Canale della Manica. I falchi tedeschi producono stragi tra le file dei coraggiosi messaggeri, ma la propaganda incoraggia giovani aspiranti “piccioni viaggiatori” ad arruolarsi per condividere le avventure dei nuovi eroi dell’aria. Valiant, “piccioncino” di campagna, va a Londra per arruolarsi.

Il primo contributo significativo della Gran Bretagna all’industria dell’animazione digitale preferisce evitare i rischi iniziali della sperimentazione. Perciò sceglie il tema, già noto al grande schermo, della battaglia d’Inghilterra. La semplice storia ricalca canoni classici: il giovane e piccolo eroe supera tutti gli ostacoli grazie alla bravura tecnica e ad amici che oggi si qualificherebbero come “politicamente scorretti”. Il risultato è positivo, anche se non eccellente: l’animazione, senza eccessi, resta valida e competitiva, ma manca al copione una scintilla di genialità. Inoltre, gli autori si limitano alla sola vis comica per sostenere la trama del film, ricorrendo spesso a gag verbali peraltro penalizzate dalla traduzione. A ciò si aggiunge che se la scelta dei personaggi (i piccioni) è coraggiosa, non risulta però abbastanza attraente. Anche se la RAF è nata per volare, i personaggi più deliziosi del film sono i due topolini francesi. Come film famigliare è dunque degno e gradevole, ma privo di spessore. Fernando Gil- Delgado. ACEPRENSA.

Pubblico: Tutti. Contenuti: V. (ACEPRENSA)

La sposa cadavere

5/11/2005. Regia: Tim Burton e Mike Johnson. Sceneggiatura: Caroline Thompson, John August e Pamela Pettler. Voci originali: Johnny Depp, Helena Bonham Carter, Emily Watson, Tracey Ullman, Paul Whitehouse, Joanna Lumley, Albert Finney, Richard E. Grant, Christopher Lee. USA. 76 min. Giovani.

Quasi immediatamente dopo Charlie e la fabbrica di cioccolato, Tim Burton ci regala un nuovo film di animazione, con la tecnica di stop-motion –pupazzi mossi fotogramma a fotogramma, fotografati digitalmente in scenografie appositamente allestite, e con materiale trattato poi al computer- già sperimentata in Vincent (1982) e in Tim Burton’s Nightmare Bifore Chrismas (1993).

La sposa cadavere è film pienamente coerente con il corpus burtoniano, che ci ripropone creature tristi e derelitte, sole contro il mondo, assorbite da una romantica ed inesausta ricerca della felicità. Rifacendosi ad antiche leggende popolari russe, il copione di Caroline Thompson, John August e Pamela Pettler prende le mosse dai preparativi di matrimonio tra Victor e Victoria. Lui è il rampollo di una famiglia di nuovi ricchi. Lei proviene da una famiglia anch’essa agiata, però caduta in disgrazia, che a malapena tollera le nozze: consentite soltanto per evitare la rovina. Contro ogni pronostico i due giovani s’innamorano, ma il timido Victor in una prova del matrimonio recita in modo maldestro la formula delle promesse. Perciò, per allenarsi, si reca solitario in un bosco, non rendendosi conto di pronunciare le fatidiche promesse nel luogo dove è sepolto il cadavere di una donna, che da quel momento si considera la sposa di Victor. Non sarà facile sistemare il disguido.

Con i film animati già citati, questo prodotto presenta numerose affinità. Ad esempio, il disegno dei personaggi, che risulta attraente e inquietante al contempo, nonché il ritmo agilissimo e lo stupendo senso dello humour; per non parlare della musica e delle canzoni ispirate. Stupendo il duetto al piano di Victor con la sposa cadavere, come pure la danza macabra che riecheggia quella più celebre, nel film Fantasia di Walt Disney. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: - (ACEPRENSA)

The interpreter

5/11/2005. Regia: Sydney Pollack. Sceneggiatura: Charles Randolph, Scott Frank e Steven Zaillian, da una storai di Martin Stellman e Brian Ward. Interpreti: Nicole Kidman, Sean Penn, Catherine Keener, Jesper Christensen, Yvan Attal, Earl Cameron, George Harris, Michael Wright. USA. 128 min. Giovani.

Dopo un lasso di tempo di sei anni, Il veterano Sidney Pollack torna alla regia con un thriller ispirato a I tre giorni del condor, di cui ricorre il trentennale. Il punto di partenza può sembrare più o meno convenzionale: una donna -traduttrice alle Nazione Unite- da una conversazione ascoltata per caso, viene a conoscenza di un complotto per uccidere il presidente di un immaginario paese africano. Uno degli agenti incaricati della sicurezza all’ONU dubita della veridicità della storia, a maggior ragione quando scopre che la donna si trova emotivamente implicata nella tragedia di quel paese, gravato da un’intollerabile tirannia.

A parte il fatto aneddotico di trovarsi di fronte alla prima fiction girata all’ONU –che non riuscì nemmeno ad Hitchcock, per Intrigo internazionale-, ci troviamo di fronte ad un film girato con mestiere, il cui copione è stato elaborato da professionisti eccellenti. La spettacolare produzione, nonché un paio di attori del valore di Nicole Kidman e Sean Penn sono alla base di un degno prodotto di studio cinematografico, uno di quei film da intrattenimento che Hollywood dovrebbe offrire più spesso. Ci sono momenti di tensione resi magistralmente (come l’inseguimento incrociato di due perone, che culmina in un autobus), ma anche una visione un po’ limitata dei problemi che assediano l’Africa. Non era forse compito del film addentrarsi nella complessa situazione politica di questo continente, ma il disegno del presidente e dei suoi oppositori non poteva risultare più convenzionale. Purtroppo c’è una breve scena in un locale a luce rosse, che risulta concessione di dubbio gusto, totalmente superflua ed estranea al film. José María Aresté. ACEPRENSA.

Pubblico: Giovani. Contenuti: X. Qualità tecnica: *** (Mundo Cristiano)