The Aviator

29/1/2005. Regia: Martin Scorsese. Sceneggiatura: John Logan. Interpreti: Leonardo Di Caprio, Cate Blanchett, Kate Beckinsale, John CX. Reilly, Alec Baldwin, Alan Alda, Ian Holm, Danny Huston. 170 m. USA. 2004. Adulti.

Howard Hughes (1905-1976), figlio unico, rimane orfano di entrambi i genitori all’età di 18 anni. Dopo aver ottenuto dai tribunali il riconoscimento della maggior età (allora coincideva con i 21 anni), si mette alla guida della Hughes Tools, la miliardaria impresa lasciatagli dal padre. Attratto da cinema ed aeronautica, nel 1930 dirige e produce Gli Angeli dell’inferno (Hell’s Angels), un film di guerra costatogli l’incredibile cifra (per l’epoca) di 3,8 milioni di dollari. Dopo una tormentata fase di produzione, il film riscuote autentico successo e la conseguente fama. Nel 1932 fonda Hughes Aircraft, società aeronautica che, nel 1935, gli allestirà un aereo con cui sarà capace di superare il record mondiale di velocità, e nel 1938, di fare il giro della terra più veloce del mondo.
Nel 1939, Hughes passa a controllare la TWA, mentre prosegue l’attività di produttore a Hollywood. Nel frattempo si susseguono le relazioni sentimentali, con attrici come Katherine Hepburn e Ava Gardner. Poi è coinvolto dalla produzione bellica nella II Guerra Mondiale. Nel 1948, dopo aver dato vita a diversi film di rilievo, ottiene la direzione della RKO, ma presto se ne disinteressa. Nel 1966 vende le azioni TWA trasferendosi a Las Vegas. Vivrà da recluso, in solitudine fino alla morte, preda di una malattia mentale degenerativa, già manifestatasi in episodi di disturbi ossessivi e paranoici.

È facile intuire l’interesse di Scorsese a portare sul set la vita di Hughes, uno di questi suoi prediletti eroi itineranti, sempre sulla corda, capaci di toccare vertici incredibili e finire poi all’inferno, in totale solitudine, pagando il prezzo degli eccessi, anche in campo sessuale. Con il vigoroso copione di John Logan (RKO 281, Gladiator), il regista ci dà un affresco davvero affascinante di un personaggio che si muove tra genialità ed eccentricità, esplorando quel lato oscuro così amato da Scorsese (in questo caso, le fobie del personaggio, ossessionato dal timore di perdere la ragione, corroso dalla sifilide negli anni trenta, infine in condizioni patetiche, di recluso, negli ultimi anni di vita). Il livello interpretativo, la qualità di fotografia, allestimento, montaggio, musica e disegno di produzione, sono semplicemente affascinanti.

Dopo alcuni film assai ondivaghi, Scorsese modera la sua megalomania cinematografica. Anzi ricava molte sequenze cedendo ad una narrazione quasi convenzionale, dimostrando ancora che si lascia attrarre più dalle storie in sé, che dal loro genere di appartenenza. Sinuoso, barocco, espressionista, Scorsese tratta le situazioni drammatiche in una strabiliante luce.

Questo progetto potrebbe consentire a Scorsese l’ambito e finora negato riconoscimento di un Oscar -di fatto il film ha ricevuto 11 nominations-. Tuttavia, come in quasi tutta la sua produzione, i suoi personaggi sono carenti di umanità e di trascendenza, sottomesi ad uno stereotipo da ampollosità operistica. Scorsese rinuncia, per evidenti motivi, ad avvicinarsi alla quotidianità di un uomo che -anche se nel film è taciuto- ebbe tre matrimoni, manifestandosi persona non del tutto equilibrata, anzi dal carattere piuttosto schivo e pieno di stranezze. Anche se il regista tenta di moderarsi maggiormente, rispetto al suo standard, e il film sia meno torbido e tragicista di quanto ci si poteva attendere (negli USA ha la qualifica PG-13), non manca di essere presente quell’aspetto di corruzione e decadenza fatalistiche, di frustrazione, di miserie nascoste e inconfessate. Se si vuole, Scorsese utilizza gli strumenti del genere di film “biografico” (biopic), per analizzare un’epoca passata, infondendovi il suo caratteristico afflato parareligioso ed esaltandone gli ambienti che più lo affascinano: quelli che associano lotte di potere a tormentate passioni. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Ray

29/1/2005. Regia: Taylor Hackford. Sceneggiatura: James L. White. Interpreti: Jamie Foxx, Kerry Washington, Regina King, Clifton Powell, Harry J. lennix, Bokeem Woodbine. 152 m. USA. 2004. Adulti.
Se c’è un genere che mette in evidenza le debolezze del cinema, al momento di approfondire l’intimo dell’essere umano, questo è il genere biograficista. Ossia, storie che pretendono di comprendere e trarre un bilancio di quello che è stata la vita di una persona realmente esistita. Tuttavia, il più grande elogio che si può fare di Ray è proprio quello che sa avvicinarci straordinariamente a Ray Charles Robinson (1930-2004), una leggenda musicale capace di far convivere stili così diversi come jazz, rythm&blues, gospel, rock&roll e country. Taylor Hackford (regista di Il sole a mezzanotte e Rapimento e riscatto, nonché produttore di Quando eravamo re) evita di propinarci una serie di frammenti biografici, ricuciti con una certa dose di buona volontà, per merito del solido copione di James L. White.

La storia inizia dal viaggio in pullman che porta il giovane non vedente, Ray, dalla Florida all’ambiente jazzistico di Seattle. Il copione lineare, con ascendenze di stile classico, aiuta a penetrare l’handicap della cecità del protagonista, il suo incipiente genio musicale, le persone che gli stanno intorno, i primi successi e il rapporto con la casa discografica Atlantic Records, sorprendentemente umano. I trionfi nel corso della carriera artistica si alternano ad una vita personale piuttosto agitata. La presenza di una moglie che gli vuol bene, Della Bea, non impedisce a Ray avventure e rapporti extraconiugali con altre donne, alcuni assai prolungati, né la trappola della tossicodipendenza. Ma ciò che impregna di profondità emotiva la narrazione delle complesse vicende professionali e famigliari di Ray sono i flash-back, che lo riportano all’infanzia, felice età dell’oro, ma anche epoca di traumi: la meravigliosa figura materna di Aretha Robinson, emerge prepotentemente in queste e in altre scene oniriche.

Prima della morte, è stato lo stesso Ray Charles a dare il proprio consenso al film, evitando un prodotto apologetico, ma accettando di veder rappresentata la sua tragica caduta nell’inferno della droga e dell’instabilità affettiva, con sincerità, ma anche eleganza.
Ne emerge il tentativo di raccontare una storia di superamento del male, grazie a sostegni adeguati. Rappresenta una riedizione del “sogno americano”, basato su azioni di riscatto, come il sapersi distinguere nella lotta per l’eguaglianza razziale. Jamie Foxx offre una grande rappresentazione del geniale musicista, per l’intera durata del film. Altri attori, anche se secondari, risultano però all’altezza. In particolare, la sconosciuta Sharon Warren nel ruolo di indimenticabile madre. José María Aresté. ACEPRENSA.

Closer

29/1/2005. Regista: Mike Nichols. Sceneggiatura: Patrick Marber. Interpreti: Jude Law, Natalie Portman, Julia Roberts, Clive Owen. 104 m. USA. 2004. Sconsigliata.

Mike Nichols (Berlino, 1931), veterano regista di film famosi come Il laureato, A proposito di Henry o I colori della vittoria, dirige e produce Closer. Si tratta dell’adattamento di un’opera teatrale di Patrick Marber, prolifico sceneggiatore televisivo. La storia si centra su due personaggi, il giornalista Dan e il dermatologo Larry, e relative fidanzate, Alice, e la fotografa Anna. Il conflitto nasce quando Dan s’innamora di Anna, e a Larry adesca Alice.

Il problema è che non si tratta di adolescenti, bensì di uomini e donne adulti. Alla fine, l’intreccio di relazioni arriva a distruggere tutti i protagonisti.
Il film ricalca il Bolero di Ravel, un tema sul quale si gira e si rigira; ma a differenza del noto e attraente brano musicale, qui si sfocia nella noia esistenziale. Closer vuol essere un riflesso inquietante e brutale della dissoluzione affettiva in cui precipitano molte persone, apparentemente mature per età e status professionale. L’incapacità dei personaggi di mantenere un rapporto personale, la debolezza con cui accettano che il sesso si impadronisca delle loro vite è raccontato in modo così trasparente e insistito, da conferire ripetitività tediosa e puerile a dialoghi infarciti di trivialità insopportabili, con sequenze troppo lunghe, più adatte a cultori dell’esibizionismo voyeristico.
Certamente gli attori sono bravi, con una Natalie Portman sorprendente, nella sua aggressività sensuale. Ma Julia Roberts, Jude Law e Clive Owen non vanno oltre la mera sufficienza. Il film è fondamentalmente d’interpreti (Owen e Portman hanno vinto due Globi d’Oro). La sua forza sta proprio nei dialoghi: ma dialoghi ripugnanti, pregni di pesante nichilismo e di scurrilità offensive.Lo sfiancante narcisismo del film ne elimina ogni pretesa terapeutica. Juan Orellana. ACEPRENSA

Tutte le ex del mio ragazzo

29/1/2005. Regista: Nick Hurran. Sceneggiatura: Melissa Carter, Elisa Bell. Interpreti: Brittany Murphy, Holly Hunter, Kathy Bates, ron Livingston, Jualianne Nicholson. 97 m. USA. 2004. Adulti.

Stacy Holt (Murphy) è produttrice associata in un reality show che presenta la veterana Kippie Kann (Bates). Si sente delusa perché il fidanzato Derek, rappresentante di una squadra di hockey, rifiuta di raccontare le precedenti relazioni. Un giorno, per caso, Stacy accede al palmare del fidanzato e, istigata dalla scaltra collega Barb (Hunter), decide di indagare sulle ex-partner del suo ragazzo.
Nick Hurran (Bara con vista) offre una miscellanea non equilibrata, per narrare in modo molto televisivo una complicata storia romantica sullo sfondo della lotta -all’arma bianca- per scalare il mondo della tv e attirare l’audience a qualsiasi costo.
Il pasticcio che ne deriva, è infarcito di eccessivo istrionismo interpretativo, e la trama attinge spudoratamente ad altri film come Una donna in carriera e Dentro la notizia, o anche a serials tv come Ally McBeal, Friends e Sesso a New York.
Il tema ispiratore del reality sarebbe anche accettabile, ma per seguirlo costringe a subire la vellutata e frivola voce in diretta di una protagonista esasperante, tutta smorfie e pose artificiali, di insolita magrezza. Holly Hunter offre una parodia di sé stessa, e Kathy Mates ripete quello stesso personaggio da lei tante volte interpretato. Molto bene le parti secondarie, specialmente Joyce, la carina cuoca pellirossa dagli occhi verdi, che interpreta con grande scioltezza Julianne Nicholson. È un’attrice da tenere in conto, per il futuro. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Nicotina - La vita senza filtro

29/01/2005. Regia: Hugo Rodriguez. Sceneggiatura: Martín Salinas. Interpreti: Diego Luna, Lucas Crespi, Jesús ochoa, Daniel Giménez Cacho, Carmen Madrid, Rosa María Bianchi, Rafael Inclán, Marta Belaustegui. Durata: 93 m. Messico 2004. Giovani.

Divertente e scatenato film messicano, si svolge nel corso di una notte. Con la complicità di un genio dell’informatica, una banda di piccoli furfanti locali vuol vendere alla mafia russa un dischetto con i dati di diversi conti correnti svizzeri. In cambio, pretendono un baratto: venti preziosi diamanti. Al momento della losca transazione, l’operatore informatico confonde dischetto, consegnando quello con le immagini della vicina di casa, di cui è innamorato, e che spia ossessivamente con ogni tipo di apparecchio fotografico. La controparte crede di esser vittima di una frode, il che provoca confusione e spreco di sparatorie. Risultato: il mafioso russo fugge, mentre uno della banda locale resta ferito. Ne segue un vertiginoso gioco da gatto con il topo, in cui entrano in scena nuovi personaggi.

Con il copione di Martín Salinas, Hugo Rodríguez ne trae un film fresco, dal ritmo indiavolato, intonato perfettamente alla storia, esaltato dalla musica e dalla partitura delle sequenze su grande schermo. Si tratta inoltre di un film molto corale, dove la scelta degli attori è davvero azzeccata. Uno dei migliori momenti del film è quando diversi personaggi si rifugiano da un tabaccaio, il cui proprietario non può nascondere il suo cattivo umore dovuto ai tremendi sforzi cui si sottopone per smetterla con il fumo: lo scatenarsi dello humour intorno al tabagismo, nel bel mezzo di un’imbrogliata situazione, è un piccolo capolavoro.

Invece, sembra eccessiva, malgrado l’ilarità che provoca, l’humour nero a base di violenza nel negozio del barbiere, dove la ricerca delle pietre preziose nella pancia del morto piacerebbe giusto a Quentin Tarantino. Nel tono leggero, sulla falsariga di Nove regine o Lo strappo (Snatch), a parte qualche concessione volgare, si ripropone il principio, spesso non adeguatamente evidenziato in questo genere di film, che il delitto non paga. José María Aresté. ACEPRENSA.

Ocean's twelve

15/1/2005. Regia: Steven Soderbergh. Sceneggiatura: George Nolfi. Interpreti: George Clooney, Brad Pitt, Matt Damon, Julia Roberts, Andy Garcia, Catherine Zeta-Jones. 125 m. USA. 2004. Giovani.

Il ladro, Danny Ocean, si vede costretto a riunire di nuovo la sua squadra, a causa delle minacce dell’impulsivo proprietario del casinò, svaligiato in Ocean’s Eleven. L’equipe dovrà mettere a segno diversi colpi, per poter saldare debito ed interessi. C’è però una donna poliziotto (Catherine Zeta-Jones), sulle loro tracce.

Il film ha avuto 110 milioni di dollari di budget, rispetto agli 85 dell’originale, (con incassi per 183 milioni solo negli Stati Uniti). Soderbergh cambia sceneggiatore, ma l’esito è del tutto irrilevante. Non che la storia di Ocean’s Eleven fosse un prodigio creativo, ma implicava un certo fascino nel disegno dei personaggi, nelle loro relazioni, nell’esecuzione del colpo.

In questa seconda parte, gli attori fanno semplice atto di presenza. Soderbergh dice di annoiarsi: sta pensando di abbandonare il cinema. A ragione, se si guarda ai suoi tre ultimi film: Solaris, Full Frontal e Ocean’s Twelve.

Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Che pasticcio, Bridget Jones!

15/1/2005. Regista: Beeban Kidron. Sceneggiatura: Andrew Davies, Helen Fielding, Richard Curtis. Interpreti: Renée Zellweger, Colin Firth, Hugh Grant, Jacinda Barret, Jim Broadbent. 111 m.USA. 2004. Adulti.

Alla regista Beeban Kidron (Antonia&Jane) è stato commissionato un seguito a Il diario di Bridget Jones. Lo sceneggiatore principale è Richard Curtis, autore di altri film-commedia, come Quattro matrimoni e un funerale, Notting Hill, Love Actually, e Il diario di Bridget Jones. Che pasticcio, Bridget Jones rimane tuttavia su livelli assai inferiori. Questa volta, Bridget Jones, zitellona ossessiva e prosperosa, si è infine fidanzata con Mark Darcy, avvocato equilibrato, pieno di soldi, buon amante. Ma lei, sempre insicura di sé, avverte improvvisa gelosia per una collega di Mark. Inoltre, l’impenitente seduttore Daniel Cleaver entra in scena, cercando di conquistare il cuore di Bridget Jones.

Renèe Zellweger, Colin Firth e Hugh Grant danno vita a questa romantica commedia, alternando all’istrionismo di Bridget la sobrietà di Mark e il ripugnante cinismo di Cleaver. Ma è il tono istrionico a prevalere. Tuttavia, se all’inizio del film ne risulta ingrediente divertente, diviene in seguito indigesto, per indebito abuso. Malgrado alcune gags brillanti, gli scherzi si fanno sempre più pesanti, danneggiando l’interpretazione della Zellweger. Inoltre il film, insistendo in modo eccessivo sul sesso, ci propina l’ennesima scena lesbica, secondo l’attuale voga. Il risultato è un prodotto di facile consumo per adolescenti, privo di ambizioni cinematografiche. Juan Orellana.. ACEPRENSA.

Alexander

15/1/2005. Regista: Olver Stone. Sceneggiatura: Oliver Stone, Chistopher Kyle, Laeta Kalogridis. Interpreti: Colin Farell, Angelina Jolie, Rosario Dawson, Anthony Hopkins, Val Kilmer, Christopher Plummer. 175 m. USA. 2004. Adulti.

Re, generale e statista, Alessandro Magno (356-323 a.C.) è uno dei personaggi storici più attraenti. Oliver Stone (New York, 1946) ne fa il tema di un film di quasi tre ore, con budget vicino ai 200 milioni di dollari, peraltro, con un protagonista, Colin Farrell, inadatto al ruolo. In soli tredici anni di regno, l’erede di Filippo, educato dallo stesso Aristotele, porta in dote al suo piccolo regno il controllo della maggior parte del mondo civilizzato, per oltre un secolo. Conquista Egitto e Persia, inoltrandosi fino all’India.

Stone, già autore di due lunghi documentari encomiastici su Fidel Castro, scrive un copione da telenovela venezuelana. Ricorre a fantasie morbose e sensazionalistiche, basate su fonti parziali. Dopo i primi 30 minuti di buona qualità, diventa chiaro che Stone non è all’altezza della storia da lui scelta: la sua formazione culturale e artistica è incapace di coniare in modo organico gli elementi storico-leggendari di un mito, alimentato dall’epica omerica e capace di riecheggiarla. Al di là delle spettacolari scene belliche e di alcune scenografie grandiose, ci restano impresse sequenze di scene impietose, con un Alessandro rozzo, isterico, sentimentale, perso in ridicoli proclami, immerso nella libido. Alberto Fijo. ACEPRENSA.

Il fantasma dell'opera

15/01/2005. Regia: Joel Schumacher. Sceneggiatura: Andrew Lloyd Webber, Joel Schumacher. Musiche: Andrew Lloyd Webber. Interpreti: Emmy Rossum, Gerard Butler, Patrick Wilson. Durata: 130 m. Gran Bretagna /USA 2004. Genere:Dramma musicale. Censura USA: PG-13. Pre-adolescenti.

All'Opera di Parigi Christine è solo una ballerina di fila ma sa anche cantare molto bene. Raccolta come orfana, é vissuta sempre dentro il teatro, con un segreto: una persona di cui non ha mai visto il volto, per lei un angelo ma per gli altri un fantasma, le ha insegnato a cantare ed ora che il soprano protagonista ha dato forfait, spaventata proprio dal fantasma, Christine riesce ad esibirsi mostrando il suo talento. Tutto sta andando per il meglio fino a quando lei non si innamora del bel visconte di Chagny, dimenticandosi del suo pigmalione....

Il fantasma dell'opera di Andrew Lloyd Webber, con i suoi 80 milioni di spettatori dalla sua prima a Londra nel 1986 ed un botteghino di 3,2 miliardi di dollari, è finora il musical di maggior successo mondiale. Portarlo sullo schermo ha voluto dire farlo conoscere alle nuove generazioni e nei paesi non di lingua inglese (molto correttamente nella versione italiana tutte le canzoni sono state tradotte). Il genio musicale di Andrew Lloyd Webber (Evita, Cats, Jesus Christ Superstar) si è incontrato con la sensibilità estetica di Joel Schumacher che prima di diventare regista (Batman e Robin, Batman Forever, Tigerland,...) è stato un costumista. In effetti il film è un piacere per gli occhi, per i colorati costumi (la scena del ballo in maschera), le scenografie (sopratutto l'originale e suggestivo cimitero, pieno di grigie statue incombenti e lugubre), e per l'accurata ricostruzione dell'Opera di Parigi, sia l'esterno che l'interno animato di operanti (grazie ad un uso sofisticato e non invasivo della computer grafica).


Chi ha visto l'opera a teatro potrà notare che vi sono alcune significative differenze apportate dai due sceneggiatori-amici: tutti i personaggi sono meglio sviluppati, coerentemente con le maggiori possibilità offerte dal cinema di ottenere primi e primissimi piani : il fantasma dell'Opera non è un mostro terribile ma un romantico incrudelito dalla sofferenza; il visconte di Chagny (Raul) è un coraggioso giovane deciso a difendere il suo amore, degno rivale del fantasma ed infine Christine, grazie alla giovanissima età della protagonista (19 anni) sviluppa la tematica del risveglio di una adolescente che diventa donna. Merito di A Schumacher occorre riconoscere il merito di aver vinto la sfida di non scegliere star di prima grandezza e sopratutto di farci scoprire la sensibile Emmy Rossum, che in altri film della passata stagione era ancora una liceale (The day after tomorrow) o figlia adolescente di Sean Penn .in Mystic River. Se un appunto si può fare al Fantasma dell'Opera, sopratutto se confrontato con Moulin Rouge, è che si tratta di un prodotto di alta professionalità che può vivere di rendita sulla qualità delle musiche, ma manca di quel guizzo di sorpresa genialità innovativa che era presente nel film di Baz Luhrmann. Franco Olearo. Per gentile concesione di FAMILYCINEMATV.

Valori/Disvalori: La comprensione riesce a sciogliere anche i cuori più incupiti.

Si suggerisce ai genitori la visione a partire da: Pre-adolescenti. Alcune scene di lotta e altre che possono spaventare.

Giudizio tecnico: **** Bella musica, stupendi costumi, suntuose sceneggiature (anche se un po' kitsch) supportate da una efficace computer grafica, ottimo casting ed in particolare la rivelazione Emmy Rossum.